giovedì 9 febbraio 2012

I primi a lasciare l'euro ne usciranno meglio


L'Observatoire de l'Europe pubblica un'intervista a Stiglitz, in cui il Nobel per l'economia manifesta una sfiducia oramai totale sull'euro, paragonando l'austerità ai salassi delle sanguisughe.

Il Premio Nobel per l'economia, noto per le sue posizioni keynesiane, paragona la pratica attuale dell'austerità ai "salassi della medicina medievale." Egli ritiene che solo gli investimenti pubblici possono interrompere questa spirale verso il basso.

Che Joseph Stiglitz, Premio Nobel dell'economia, noto per le sue posizioni anticonformiste, si distinguesse per la sua analisi sulla crisi Europea, è cosa logica. Durante il Forum finanziario Asiatico di Hong Kong, tenutosi a fine gennaio, tuttavia, il famoso economista ha avuto parole di un pessimismo raro a proposito del continente. Per lui, i funzionari Europei, sotto la pressione di un dubbio consensus finanziario, stanno portando i loro paesi nel caos, e la moneta unica verso una sparizione quasi inevitabile.

L'Europa, a giudizio dell'economista, sta per "restituire il favore agli Stati Uniti", esportando a sua volta una crisi sempre più complessa e totale. Le ragioni: politiche di austerità "chiaramente insostenibili". Invece di portare a termine, nel 2010, la struttura politica che avrebbe reso l'area dell'euro coerente e sostenibile, i paesi Europei hanno imposto alla Grecia una cintura stretta che ha solo aumentato il peso del suo debito - perché il crollo dell'economia ha abbattuto le entrate fiscali. "Benché l'austerità non dia frutti, la risposta politica è quella di chiederne sempre di più", ha criticato il professore della Columbia American University . Egli paragona queste politiche a "la pratica del salasso nella medicina medievale." In definitiva, “la crisi vede vacillare paesi come Spagna e Irlanda, che prima della crisi avevano avanzi di bilancio".

Che fare? Aumentare le tasse per spendere di più, e giocare sull'effetto del moltiplicatore fiscale "alla base della teoria economica", dovrebbe moltiplicare sul PIL l'aumento della spesa pubblica "di un fattore da uno a tre".

L'urgenza vera è di ripensare l'architettura finanziaria globale, assicura Stiglitz. Con due parole chiave: regolamentazione e trasparenza. Regolamentazione, perché l'unico lungo periodo di stabilità finanziaria che il mondo ha conosciuto è quello seguito alla crisi del 1929, caratterizzato dalla presenza di forti salvaguardie. Dalla deregulation degli anni '80, "la frequenza delle crisi finanziarie continua ad accelerare." E il costo collettivo di queste crisi, dice Stiglitz, è "molto superiore a quello che sarebbe costata la attuazione di norme adeguate".

Per quanto riguarda la trasparenza, è più che mai necessaria per riportare la serenità nel mondo finanziario. Per convincersene basta guardare oggi al mercato dei CDS (credit default swaps, che assicurano un acquirente di titoli) relativi al debito sovrano Europeo. Oggi, nessuno è in grado di sapere come questi prodotti siano distribuiti nel mondo, avverte. Di qui la natura potenzialmente esplosiva di un default di un paese Europeo, che "potrebbe congelare i mercati globali del credito in modo paragonabile a quello che abbiamo vissuto nel 2008".

Infine, l'economista che, alla fine degli anni '90, criticava a ragione le politiche richieste dal FMI per aiutare i paesi Asiatici, ritiene che la domanda ovvia è "come finirà l'euro?". Fino a quando i cittadini Europei accetteranno questa pillola amara? si chiede, mentre la disoccupazione giovanile supera il 40% in Spagna dal 2008. E ricordando il destino del gold standard dopo la crisi del 1929, "i primi paesi ad averlo abbandonato sono quelli che ne sono usciti meglio."

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