domenica 12 febbraio 2012

La Germania europea, non l'Europa tedesca

Mai come in questi giorni suona inquietante l'incubo che Thomas Mann agitò in una Conferenza nel 1953 agli studenti dell'Università di Amburgo, spingendoli a lottare «non per un'Europa tedesca, ma per una Germania europea». L'incubo fu ripetutamente ripreso ai tempi della riunificazione tedesca e fino a qualche giorno fa l'Europa tedesca sembrava ben disegnata dalla cancelliera Angela Merkel, indiscussa protagonista di tutti i summit europei.

Essa aveva il vantaggio di aver forse ricreato una vera classe media tedesca, classe media che è ritenuta fin dai tempi di Aristotele la base per la costruzione di una vera democrazia. L'ideologia sottostante era quella dell'Ordoliberalismo che, con un deciso intervento dello Stato, ha allontanato dalla Germania le più nefaste influenze della globalizzata speculazione finanziaria e quindi del liberalismo della scuola di Chicago e di quella a cavallo dell'altra grande crisi di origine austriaca.

È per questo che finora Angela Merkel è riuscita a imporre la sua dottrina su tutta l'Eurozona: austerità con rigide regole, al di là di ogni decisione democratica, che hanno portato all'attuale disastrosa situazione la disperata Grecia, che potrebbe trascinare con sé nel suo fallimento non solo l'Europa, ma via via gli interi mercati finanziari. Inutile sottolineare ancora una volta come, in maniera diversa, il dettato tedesco sia stato imposto a tutti gli altri Paesi dell'Eurozona creando disuguaglianze e rivolte dalla Spagna al Portogallo, dalla Francia all'Italia e riuscendo a provocare disordini economici persino in Inghilterra. Ma non sembrava finita.

Le ragioni per cui è stato trovato l'accordo dai 25 Stati europei sul Trattato "fiscal compact" è perché l'ha voluto Berlino, che continua a ripetere ai Greci che devono fare i loro compiti a casa mentre la Cancelliera tedesca sta ora indicando anche ai francesi per chi votare alle prossime elezioni presidenziali. La facile battuta che sta ora girando per l'Europa è che questa è governata non tanto da "Merkozy", ma in realtà da "Merkelzy".
Fors'anche sotto la spinta di un gruppo autorevole di intellettuali tedeschi, fra i quali principalmente Jürgen Habermas, che da tempo lotta per la creazione di una Costituzione europea, primo passo verso una società mondiale, che opponga il diritto alla forza bruta, e che spinga i cittadini europei a essere gli autori di una nuova Costituzione democratica, anche la signora Merkel sembra ora essere costretta ad abbracciare l'idea di una Germania europea più che di un'Europa tedesca.

Una democrazia liberale europea che ponesse corrette regole contro le inuguaglianze e le devianze del capitalismo finanziario, sarebbe forse la potente idea che potrebbe modellare una nuova società al di fuori dei modelli, triti e ritriti, ma già superati; una classe media europea il cui popolo non è né tra l'1% che attualmente si divide nel mondo la maggior parte della ricchezza, né nella parte più bassa che vive in termini di povertà, sprovvista di educazione, di proprietà e di lavoro.

Più che alle politiche di austerità, che rischiano di far parlare a vuoto di ripresa e di sviluppo, per anni e anni, l'ideologia e l'impegno dei Paesi europei dovrebbe essere proprio quello di ricostruire una classe media con quella prospettiva ideologica tracciata da Habermas e da altri, nell'ambito di quel progetto di sviluppo anche eco - sostenibile che era la base del messaggio politico del grande missionario intellettuale italiano, Altiero Spinelli.

Tutto ciò non può peraltro avvenire senza una mobilitazione di massa che, non affogata nella miseria, eviti, come altre volte è accaduto nella storia, di essere affascinata e cadere nelle trappole delle dominazioni oligarchiche o delle rivoluzioni populiste. L'impatto dei nuovi sviluppi tecnologici dovrebbe essere anche patrimonio dell'educazione di massa alla quale la nuova Europa dovrebbe affidarsi. Non parrà un caso che a questa nuova ideologia ciascun cittadino europeo debba contribuire, tenendo conto non solo di quel che è avvenuto recentemente nelle ideologie populiste, e religiose, alla base della cosiddetta Primavera araba e di molti movimenti dei cosiddetti indignati, ma ricordando anche che la stessa democrazia europea ha avuto nell'immediato dopoguerra il suo risveglio e la sua costruzione attraverso la partecipazione fondamentale di tre statisti democratici cristiani: De Gasperi, Adenauer e Schuman, ispirati dal pensiero del filosofo cattolico Jacques Maritain.

I recenti sussulti e le inquietudini che si verificano nel Vaticano pongono anche la Chiesa cattolica, per quel che possa essere una sua funzione, al centro del palcoscenico europeo. Non certo nella riproposizione dell'Europa cristiana, voluta da Carl Schmitt nel suo Ius Publicum Europaeum, bensì di una forte ideologia laica e democratica dell'Europa dell'Illuminismo, aliena da rovinosi tentativi totalitari. Per un'Europa multietnica, multireligiosa e quindi multiculturale, che abbia come priorità assoluta la giustizia sociale.

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