FMI e Argentina alla resa dei conti
di William Bavone - 12/10/2012Fonte: Clarissa
"Eravamo tormentati da coloro che dicono che bisogna pagare prima le banche e poi la popolazione. Abbiamo dimostrato fermezza e siamo riusciti a costringere coloro che avevano saccheggiato il paese a cedere [...] Avevamo il 60% della popolazione nella povertà, il 26% nella disoccupazione e quasi il 30% nell'indigenza [...] Con il vostro sostegno abbiamo potuto costruire un'Argentina diversa. Per la prima volta nella storia noi argentini abbiamo potuto vincere la battaglia e costringere chi saccheggia il paese a cedere [...] da questa Plaza de Mayo io dico formalmente ‘ciao' al Fondo Monetario Internazionale. L'Argentina ha pagato il suo debito. Non dipende più dal FMI. [...] noi issiamo la bandiera dell'America Latina" queste le parole di Nestor Kirchner di fronte alla platea di Plaza de Mayo il 25 maggio 2006. Sono passati oltre 6 anni da tale data e 11 dal fatidico default che distrusse l'economia di un'Argentina targata FMI e lo stesso organo internazionale torna alla carica accusando Buenos Aires di scarsa trasparenza e minacciando la sua espulsione. Proprio nei giorni scorsi è avvenuto lo scontro diretto tra Christine Lagarde (direttore generale del FMI) e Christina Kirchner (presidente dell'Argentina) le quali non si sono risparmiate in una dialettica minacciosa a distanza - la prima a Washington e la seconda a Manhattan per la conferenza ONU.
La posizione tenuta dalla Lagarde verte sui dati provenienti da agenzie private di statistica che indicano un'inflazione sottostimata del 16% ed un PIL sovrastimato del 10%. Nello specifico il direttore generale si è espresso in questi termini: "Al momento ho fatto vedere il cartellino giallo all'Argentina, ma la data del 10 dicembre 2012, dopodiché scatterà il cartellino rosso e l'espulsione dal Fondo Monetario Internazionale". In definitiva l'accusa principale mossa contro Buenos Aires è di celare un'inflazione reale del 30% e di mettere a rischio la ripresa economica globale. Inoltre il monito palesa anche un ultimatum al seguito del quale l'Argentina verrebbe espulsa dal FMI con il rischio consequenziale che gli investitori ed il mercato finanziario battano cassa portando l'economia argentina al collasso.
Per tutta risposta la Kirchner ha dichiarato repentinamente che "L'Argentina è una grande nazione. Ma prima ancora è una nazione grande. Abbiamo un vasto territorio baciato dalla fortuna naturale. Abbiamo risorse nostre, che ci consentiranno la salvaguardia della nostra autonomia e della nostra indipendenza. Ma soprattutto siamo un paese orgoglioso che ci tiene alla propria dignità. Vorrà dire che staremo fuori [dal FMI]" ed ha continuato con sarcasmo - per via del paragone calcistico sott'inteso dalla Lagarde - dicendo che "La Fifa ha avuto più successo nell'organizzare i mondiali di calcio che il FMI nel riorganizzare l'economia internazionale nel corso degli ultimi 20 anni [...] l'Argentina non è un campo di calcio e la crisi internazionale non è una partita ma la peggior crisi degli ultimi 30 anni. Il ruolo del presidente della Fifa è stato più soddisfacente di quello svolto dai massimi dirigenti del FMI [...] ci denunciano come protezionisti quando siamo stati vittime del protezionismo che ha danneggiato le nostre economie e l'inclusione di milioni di cittadini". A tale dura posizione va ad aggiungersi quanto dichiarato pochi mesi prima ossia "Preferisco avere un'inflazione altissima e spropositata se so che la disoccupazione del 34% è scesa al 3,5%; che la povertà è diminuita del 55%; che il PIL viaggia di un +8% annuo; che la produttività industriale è aumentata del 300%; che c'è lavoro in Argentina; c'è mercato per tutti e il mio popolo è molto ma molto più felice di prima, piuttosto che avere un'inflazione del 3% come in Italia [...]".
Dall'ultimo intervento della Kirchner si evincono anche quelli che sono i dati diffusi dall'Indec, ovvero l'ente di statista nazionale, dal 2007 ad oggi alla difesa dei quali la stessa presidentessa ha sottolineato come il FMI si affidi a dati elaborati da enti privati collegati alle multinazionali J.P.Morgan, Citibank e Société Generale a loro volta interessate alla speculazione finanziaria nel mercato latinoamericano.
A tal punto c'è da chiedersi: cos'è che genera realmente il malumore del FMI? Si può presumere che si tratti della dimostrazione che un nuovo "vecchio" sistema economico è possibile. Nuovo perché si va a collocare nel modello dominante di Milton Friedman e del liberismo globalizzante; vecchio perché ripropone il modello di Keynes e della politica progressista. In pratica Buenos Aires ha deciso di investire in infrastrutture, territorio idro-geologico, salario minimo garantito, credito agevolato alle imprese, protezionismo - con alte aliquote nei confronti delle multinazionali straniere che producono in territorio argentino, ma che non reinvestono in loco i loro profitti - e aumento del disavanzo di bilancio per potenziare l'istruzione pubblica, ricerca e innovazione. Il tutto coadiuvato da una riforma della Banca Centrale Argentina, che riporta l'istituto bancario sotto un maggiore controllo governativo, e dalla nazionalizzazione di alcuni settori chiave nell'economia del paese (si rammenta il caso della Repsol tramutata nell'argentina Ypf).
In fine è opportuno riportare quella che è un'importantissima analisi fatta dal giornalista Sergio Di Cori Modigliani, dal titolo ARGENTINA: IL SALARIO GARANTITO FA IMPAZZIRE IL FMI. Il giornalista, nella sua disamina, mette in luce un ulteriore particolare capace di esplicare la motivazione per cui l'argomento ha avuto un impatto mediatico differente in Europa. Infatti, se Londra da forte rilievo alla questione - definita in terra inglese come "The Christines war" - Roma ne omette quasi del tutto ogni riferimento. La Gran Bretagna è molto attenta alle dinamiche riguardanti il suo nemico giurato oltre oceano. Perché? Resta viva la questione Malvinas e quindi a livello mediatico, ogni possibile passo falso della Kirchner acquisisce rilevanza strategica per sottolineare la vulnerabilità del nemico. In Italia invece la questione è ben custodita nella scatola nera dell'economia nazionale. Come spiega Modigliani, tra le aziende aventi interessi in Argentina, non ci sono solo la Coca Cola o le più floride aziende tedesche e cinesi, ma anche le italiane Telecom ed Enel. Queste, traendo forte sostegno nel proprio bilancio dai proventi derivanti dal mercato argentino, nell'eventualità di un default post uscita dal FMI, rischierebbero il tracollo. Pertanto gli allarmismi sarebbero controproducenti per il "perfetto" lavoro del governo Monti. Alias: i media si occupano di altro.
La preoccupazione è reale e non meramente ipotetica: l'uscita dal FMI porterebbe Buenos Aires ad accelerare il processo di nazionalizzazione dei settori chiave della propria economia. Tuttavia sarebbe utile, comunque vada la vicenda, che il governo argentino rafforzi la propria economia con una riforma agraria capace di sovvertire il sistema latifondiario, ancora persistente sul territorio, ed inoltre, appare indispensabile un ulteriore sforzo sul piano infrastrutturale per migliorare il trasporto civile e per generare nuovi centri di sviluppo industriale.
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