La singolare malattia della Monti-dipendenza
di Francesco Mario Agnoli - 14/10/2012Fonte: Arianna Editrice
Chissà se gli italiani cominceranno a liberarsi dalla singolare malattia della Monti-dipendenza adesso che con la legge di stabilità il governo tecnico ha palesemente “toppato” o, per dirla altrimenti, è stato colto con le mani nella marmellata per avere fatto ricorso ad uno di quei mezzucci di cattura del consenso che sembravano appannaggio esclusivo di una deteriore classe politica. Che altro è difatti la mini riduzione dell'Irpef per i due scaglioni più bassi se non un tentativo di gettare fumo negli occhi?
Il modesto beneficio, che secondo Monti dovrebbe costituire la prova della propensione del governo alla riduzione della pressione fiscale non appena se ne affacci la possibilità, è, difatti, accompagnato dall'aumento di un punto dell'Iva. Un aumento che, secondo i calcoli degli esperti, non solo pareggia, ma supera il beneficio Irpef anche per i contribuenti che ne usufruiscono e, soprattutto, colpisce senza compensi tutta la vasta area esente da Irpef per insufficienza del reddito (circa 8 milioni di cittadini, che è corretto definire “poveri”). Intendiamoci; la recessione economica non è colpa di Monti e va attribuita a fattori (la globalizzazione anzitutto) di molto anteriori alla intronizzazione per mano di Napolitano del governo tecnico. Monti e i suoi ministri hanno soltanto la funzione di fare accettare, se non con gradimento, con rassegnazione, provvedimenti che avrebbero provocato ben più dure reazioni in caso di varo da parte del governo Berlusconi e, in realtà, di qualunque governo politico (di qui la decisione di non sostituirlo immediatamente con un governo Bersani).
Questo in realtà l'hanno capito tutti, ma non tutti (anzi pochi) sembrano rendersi conto che nulla cambierà in meglio quando Monti passerà la mano (se pure lo farà) a un politico, perché le cause della crisi economica sono tuttora vigorosamente all'opera.
Mi auguro di essere cattivo profeta, ma in fondo al tunnel non s'intravede affatto la luce vagheggiata (o vaneggiata) da Monti, ma una situazione destinata a divenire per lungo o lunghissimo tempo la nuova realtà dell'Italia e dell'Europa: una realtà che fino a pochi anni fa avremmo definito da “terzo mondo”. Prendiamo la riforma delle pensioni, adesso calcolate e liquidate per rendere il sistema sostenibile sulla base dei contributi versati, il che già di per sé comporta una netta riduzione degli importi rispetto al precedente sistema retributivo. Non per nulla già da qualche anno i lavoratori vengono sollecitati a munirsi di forme integrative di previdenza e a tal fine si sono proposte varie forme volontarie di fondi-pensione. Purtroppo è fin d'ora certo che, per effetto della crisi e della conseguente difficoltà di trovare un lavoro stabile (o, peggio, una qualunque occupazione remunerata), in particolare le giovani generazioni (ma non solo loro) avranno pensioni al limite del livello di sopravvivenza, che in nessun modo potranno integrare. Difatti i lunghi periodi di disoccupazione da un lato incidono negativamente sull'importo dei contributi versati, dall'altro non consentono di destinare parte dei propri guadagni alla previdenza alternativa. Insomma il cane si morde la coda e non ci prova gusto.
Al momento la situazione sociale è (quasi) sotto controllo non per merito di Monti, che anzi con il continuo aumento del costo della vita gioca all'amico del giaguaro, ma perché le generazioni da poco approdate alla pensione o sul punto di farlo hanno avuto la possibilità di risparmiare e possono dare una mano a chi il lavoro lo sta ancora cercando (e non lo trova o ha rinunciato).
Tuttavia questi “anziani” relativamente fortunati non dureranno in eterno e in ogni caso la loro capacità economica e, quindi, di sostegno ai giovani, già intaccata da una esorbitante pressione fiscale, è destinata a diminuire di anno in anno, perché le pensioni, d'oro o di rame che siano, non vengono adeguate ai reali aumenti del costo della vita.
L'inevitabile approdo è una generalizzata carenza di mezzi (vogliamo chiamarla col suo nome: povertà?), nella quale quasi per tutti diviene essenziale, in particolare nei momenti difficili (malattie, vecchiaia ecc.), il ricorso ai servizi pubblici, invece a loro volta oggetto di provvedimenti incidenti in negativo sul numero e l'efficienza delle prestazioni (si pensi ai continui tagli alla Sanità).
Scarse le speranze di un'inversione di tendenza, dal momento che alla recessione economica si accompagna (l'ha anzi preceduta e si pone come una delle sue cause) la crisi della società civile che, malata di individualismo amorale, si mostra incapace di reagire e assiste immobile e passiva alla disgregazione di se stessa.
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