lunedì 23 gennaio 2012

La cattolica Irlanda teme il default e lancia bond islamici


Sono obbligazioni particolari, i bond islamici chiamati Sukuk Bond, e proprio la cattolicissima Irlanda potrebbe lanciarle a breve. Rispettano la legge islamica, che vieta ai prestiti di generare interessi, e sono ovviamente appetibili per investitori sensibili alla Sharia, come i paesi del Golfo. La troika composta da Fmi, Bce e Ue ha certificato che Dublino, per il 2011, ha centrato gli obiettivi: ma per stabilizzarsi e scongiurare il rischio di fallimento meglio cautelarsi. Anche ricorrendo alla legge islamica. 

L’Irlanda potrebbe essere il primo Paese europeo a emettere Sukuk bond, riferiscono fonti vicine al ministero delle Finanze. Queste obbligazioni dal nome esotico stanno prepotentemente entrando sulla scena. Intercettano le necessità degli investitori arabi poiché non entrano in conflitto con la legge islamica, che vieta ai prestiti di generare interessi. Vengono strutturati in differenti tipologie, sostanzialmente attraverso accorgimenti tecnici si crea una successione di flussi di cassa che armonizza il profilo rischio/rendimento tipico delle obbligazioni europee con i precetti della Sharia. E pur essendo la legge islamica in vigore solo in alcuni paesi, molti musulmani moderati sono favorevoli all’utilizzo di questi ibridi Islam-friendly.

Una recente proiezione di Kuwait Finance House vede le nuove emissioni di tali bond sfondare la barriera dei 200 miliardi di dollari nel 2012, con un balzo anno su anno del 25-30 per cento. E, soprattutto, prospettive di sviluppo sono enormi. Alcuni Paesi europei stanno da lungo tempo valutando l’opportunità di dare il via a emissioni di questo tipo, Francia, Regno Unito e Lussemburgo ad esempio. Lo stato tedesco del Saxony-Anhalt ne emise 100 milioni di euro già nel 2004. Ma nessuno sembra ancora aver fatto la mossa decisiva. È notizia dell’ultima ora quella secondo la quale potrebbe essere l’Irlanda la prima a scendere in campo. Sebbene una ricerca di PricewaterhouseCoopers del 2010 avesse analizzato questa opportunità per Dublino, solo in questi giorni si è presa la via più concreta per la nascita di questi bond.

L’Irlanda è tuttora sottoposta alle tutele di Ue, Banca centrale europea (Bce) e Fondo monetario internazionale (Fmi) che la scorsa settimana hanno emesso il loro bollettino periodico di valutazione del piano di rientro previsto nel bailout del novembre 2010. La valutazione positiva ha sbloccato una rata dei fondi del salvataggio da più di 9 miliardi di euro, ma resta molto da fare. Dublino, che si dibatte tuttora tra strette fiscali, deleveraging bancari e tassi d’interesse sui bond oltre i limiti di sostenibilità, ha dovuto fronteggiare una tremenda crisi bancaria che ha pompato il deficit 2010 al 32 per cento. La troika composta da Ue, Bce e Fmi ha accertato che gli obiettivi 2011 sono stati centrati. In particolare l’obbiettivo del deficit al 10,6% è stato ampiamente entro le stime, con una proiezione intorno al 10 per cento. La crescita dell’economia dovrebbe essere positiva nel 2012 ma solo del 0,5%, metà di quello che era previsto fino a due mesi fa. In quest’ottica, il Paese sta cercando di riguadagnare la fiducia e pianifica di tornare sul mercato durante il 2012. Il tasso del bailout è del 3,2% mentre lo spread fra i bond decennali irlandesi e i corrispettivi tedeschi è a 627, rendimento quindi ancora superiore alla barriera dell’8% che costrinse a ricorrere all’intervento d’emergenza. In quest’ottica, l’opportunità offerta dai Sukuk bond è enorme.

I capitali provenienti dai Paesi islamici cercano sempre più canali nei quali indirizzare gli enormi surplus delle loro bilance commerciali. Oggi i Paesi occidentali offrono moltissime opportunità: banche da ricapitalizzare, infrastrutture strategiche da costruire, imprese in difficoltà da salvare. Necessità di liquidità da una parte, dotazione abbondante dall’altra. Fanno da contraltare i notevoli limiti all'azione, ad esempio, dei fondi sovrani, dovuti a fattori geopolitici. L’opinione pubblica e i governi sono spaventati. Esempi in questa crisi ce ne sono molti e c’è chi crede, come la banca HSBC, che accettarne l’intervento, non in modo solo parziale, avrebbe potuto salvare Lehman Brothers, la quarta banca statunitense collassata nel settembre 2008.

Ora è uno stato dell’eurozona, peraltro "distressed", a voler attrarre questi capitali direttamente. L’occasione è ghiotta. Con i Sukuk bond ci si può rivolgere sia a fondi specializzati sia a investitori non istituzionali, anche residenti nel paese emittente, oltre che ai già noti fondi sovrani, in questo modo limitando la sudditanza al creditore forte e concentrato, come invece succede fra Cina e Usa. Il target sarebbero, oltre ai 30.000 islamici residenti, cittadini e fondi della Malesia e dei paesi del Golfo dove cresce una classe media vogliosa di diversificare i propri investimenti.

Le manovre di avvicinamento stanno proseguendo. CIMB, il maggiore arranger mondiale di Sukuk bond, originario della Malesia, ha stabilito il suo primo equity fund europeo in Irlanda negli scorsi mesi e il paese si propone sempre più come hub della finanza islamica in Europa. È stato quotato qui un Sukuk da 2 miliardi di dollari di Goldman Sachs. Il Paese ha accordi fiscali con più di 60 paesi nel mondo per evitare la doppia tassazione su questa tipologia di asset. E dopo il primo studio di PricewaterhouseCoopers il terreno sembra definitivamente pronto, sia per Dublino sia per l’eurozona. 

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