Grecia, da paese ad azienda
di Carlo Musilli - 23/02/2012Fonte: Altrenotizie
Dopo settimane di piroette e 15 ore di Eurogruppo, i signori di Bruxelles hanno finalmente deciso di salvare la Grecia, credendo così di mettere al sicuro se stessi. In realtà, è improprio perfino parlare di salvataggio. Quello garantito ad Atene è un gigantesco bis del maxiprestito da 110 miliardi scucito nel 2010, e rischia seriamente di fare la stessa fine, perché non scaccia in via definitiva gli spettri della bancarotta.
L'unica vera certezza è che si guadagna del tempo: se e quando la prospettiva del defau
L'unica vera certezza è che si guadagna del tempo: se e quando la prospettiva del defau
t si ripresenterà, la speranza è di aver ridotto al minimo il cosiddetto "rischio contagio" alle altre economie europee, disinnescando il potenziale effetto domino che minaccia il sistema finanziario del continente.
Cosa succederebbe davvero se la Grecia fosse risucchiata nel vortice di un fallimento incontrollato - fra Cds da pagare e titoli di Stato da bruciare - nessuno sa dirlo di preciso. Ma a quel punto non sarebbe sufficiente rabberciare una soluzione nelle stanze di Bruxelles, anche perché probabilmente nessuno sarebbe in grado.
Rispetto a due anni fa, però, c'è almeno una differenza sostanziale. La Grecia non viene più trattata come uno Stato sovrano, ma come una gigantesca azienda da ristrutturare. In quest'ottica, quando si apre generosamente il portafogli, diventa legittimo pretendere dalla controparte il massimo possibile delle garanzie e della sottomissione. Sul terreno della politica, però, questo si traduce in un commissariamento da record, di gran lunga il più vasto e il più rigido della storia d'Europa.
Nel dettaglio, ad Atene arriveranno fondi per 230 miliardi complessivi: 130 sotto forma di prestito (frazionato da qui al 2014) e altri 100 dal taglio del 53,5% sul valore nominale dei titoli di Stato in tasca alle banche private. A due norme equivalgono due trucchi. In primo luogo, la Bce ha trovato il modo di dribblare le norme che le impediscono di fornire aiuti diretti ai singoli paesi. Le basterà distribuire i guadagni sui titoli greci in suo possesso alle Banche centrali nazionali, che a loro volta li gireranno agli Stati e di qui, come previsto, torneranno in Grecia.
Per quanto riguarda il taglio sui bond già in pancia alle banche private, invece, la svalutazione è presentata come un'operazione "volontaria" da parte dei creditori, in modo da non far scattare i rimborsi sui credit default swaps (derivati che funzionano come polizze assicurative sulle obbligazioni, con un premio da pagare in caso di default). E' evidente a chiunque come di "volontario" non ci sia assolutamente nulla: se le banche non avessero accettato di perdere una parte dei soldi investiti in Grecia, li avrebbero persi tutti. La scelta non era difficile.
Tutto questo consentirà al Paese ellenico di non dichiarare bancarotta il prossimo 20 marzo, quando arriveranno a scadenza bond per 14,5 miliardi. Resta invece da dimostrare (le variabili sono troppe) che questo piano, unito all'austerity draconiana, sia davvero in grado ridurre il debito dal 170% al 120,5% entro il 2020. In ogni caso, tanta generosità dell'Europa non è certo gratuita.
Oltre alle misure da film dell'orrore che nei prossimi anni affameranno diverse migliaia di greci, Atene è stata costretta ad accettare altre tre novità: invece di andare e venire ogni tre mesi, i commissari della troika (Ue, Bce e Fmi) rimarranno in modo permanente sul suolo ellenico, per controllare che il piano di risanamento venga portato avanti come d'accordo; sarà creato un fondo bloccato su cui i greci dovranno versare d'ora in poi i soldi per coprire gli interessi sul debito pubblico; nella Costituzione sarà inserita una norma sulla priorità dei pagamenti delle scadenze del debito. Manca solo la frase di rito: "Faccia a terra, mani dietro la schiena".
Insomma, dei greci non si fida nessuno e la paura che le carte in tavola possano cambiare dopo le elezioni anticipate di aprile è molto forte. Non c'è dubbio che ad Atene si siano meritati tutta la diffidenza possibile. Sono stati loro a truccare i bilanci presentati per entrare nell'euro. Ma è anche vero che qualcuno avrebbe potuto controllarli, quei bilanci.
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