Il Tribunale delle imprese
di Francesco Mario Agnoli - 15/02/2012
Fonte: Arianna Editrice
Governo e politica dell'immagine e dell'apparenza sono una definizione adeguata del governo Monti e della sua politica. Naturalmente non siamo così sciocchi da credere che nel nostro mondo l'immagine e l'apparenza non valgano nulla. Tutt'al contrario contano molto tanto in bene quanto in male ed è singolare che un uomo di televisione come Silvio Berlusconi non lo abbia compreso
L'annuncio di grandi riforme, la copertina di Time, gli apprezzamenti di Obama, le comparsate Tv al fianco della Merkell e Sarkozy, il tè a Downing Street con la possibile ipotesi di un contraltare italo-britannico al duopolio franco-germanico hanno immensamente giovato all'immagine di Monti e, in misura minore, anche all'Italia. Lo spread , pur restando altissimo, è sceso a livelli più accettabili e l'immagine del nostro paese si è allontanata da quella (sempre più drammatica) della Grecia, dove l'altro uomo della Goldman Sachs, Lucas Papademos, non ha avuto un ritorno d'immagine paragonabile a quello di Mario Monti.
Tuttavia non tutto è oro quello che luccica. Se l'immagine negativa è, quasi senza eccezioni, per sempre, non così quella positiva. Quanto meno nel mondo della politica e, ancor più, in quello dell'economia, nel quale, come dimostra la terribile crisi che stiamo vivendo, gli effetti positivi dileguano e tutto crolla se sotto l'immagine non spunta la sostanza. E purtroppo è appunto la sostanza quella che manca nella politica del governo Monti.
Molto si è detto delle liberalizzazioni che non hanno liberalizzato nulla di ciò che andava davvero liberalizzato, dei nuovi carrozzoni burocratici, dei costi della politica che è tanto se non aumentano. Un po' meno a fondo si è andati, tranne che fra gli addetti a lavori, che però stentano a farsi ascoltare dall'opinione pubblica, sui provvedimenti in tema di giustizia civile, nonostante che, per comune consenso, sia proprio questa che, col suo mal funzionamento e i suoi ritardi, danneggia l'industria nazionale, allontana dal nostro paese gli investimenti stranieri e spinge alla fuga molte delle aziende che già vi operano.
In realtà il governo e i mass-media del coro hanno annunciato con molto trionfalismo il varo di un miracoloso toccasana: i tribunali delle imprese, che con la loro specifica competenza, la loro professionalità, la loro concentrazione, la rapidità del loro lavoro renderanno l'Italia la Mecca di tutti gli imprenditori.
Indovinatissimo il nome, “Tribunale delle imprese”, che lascia immaginare (ecco l'apparenza) una giustizia civile del tutto diversa, più tecnica ed efficiente, di quella riservata ai comuni cittadini.
In realtà nulla di tutto questo. I cosiddetti Tribunali delle Imprese non sono che le “Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale” esistenti ed operanti in Italia dal 2003. Il governo Monti si è limitato a cambiarne il nome in “Sezioni specializzate in materia di imprese” e ad allargarne la competenza ad un buon numero di materie prima attribuite ad altri organi giudiziari (rapporti societari, appalti pubblici, class action).
Di conseguenza, non solo nessuna speranza di accelerazioni, ma anzi forti probabilità di nuovi ritardi. Come si è detto, queste sezioni, con gli stessi locali, le stesse strutture, gli stessi organici di personale amministrativo, erano già in funzione di vari anni e operavano, dal più al meno, con la stessa efficienza, gli stessi tempi e gli stessi arretrati di tutti i tribunali italiani. Di conseguenza l'aumento di competenze si tradurrà in un minor carico di lavoro per gli uffici che vengono liberati delle relative procedure, ma comporterà un notevolissimo aumento di quello dei cosiddetti Tribunali delle Imprese, tanto più notevole in quanto queste sezioni, dodici in tutta Italia, hanno una competenza territoriale vastissima (a titolo di esempio, quella bolognese si occuperà delle imprese dell'Emilia-Romagna e delle Marche; la romana addirittura di quelle del Lazio dell'Abruzzo e della Sardegna). La celerità dei procedimenti non potrà che diminuire anche una volta superati gli adempimenti e le inevitabili lentezze della (lunga) fase iniziale, dedicata allo spostamento di decine di migliaia di processi con tutti gli annessi e connessi.
Se qualche ingenuo investitore estero si sarà lasciato attirare non tarderà ad accorgersi che di nuovo ci sono soltanto le belle parole di una politica che ha un'unica carta da giocare: l'apparenza.
Siamo onesti. Non è esatto: qualcosa di nuovo c'è. Il governo alla riforma ha dato anche un contenuto quanto mai sostanziale. Difatti proprio per le imprese, che di solito le cause le fanno solo se non possono evitarle, sicché il ricorso alla giustizia è uno strumento del loro lavoro, è stato quadruplicato il “contributo unificato” (in pratica la tassa che deve pagare chi vuole iniziare una causa civile). Si conta di ricavarne poco meno di otto milioni di euro.
C'è sostanza. C'è.
Un gruppo di magistrati ha commentato: “Il governo ha scelto di fare cassa cambiando la targa sulla porta di 12 uffici”.
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