Cremaschi:
caro Ingroia, la vera mafia è quella di
Bruxelles
Caro Ingroia, l’antimafia non basta: perché oggi il vero nemico che ci minaccia è molto più pericoloso del potere delle cosche, persino di quelle che si infiltrano nell’economia fino ad avvelenarla. Deve cadere il Muro di Bruxelles, quello che ricatta i popoli dell’Eurozona sulla base dei diktat emanati dalle oligarchie finanziarie, ordini firmati da tecnocrati non eletti da nessuno, a cui – grazie all’attuale personale politico – siamo costretti a sottometterci, per fare la stessa fine della Grecia. Dopo i “garanti” dei movimenti firmatari dell’appello “Cambiare si può”, anche l’ex leader della Fiom Giorgio Cremaschi, vicino ai No-Tav e promotore del Comitato No-Debito e del “No-Monti Day”, prende le distanze dalla lista “arancione” capeggiata da Antonio Ingroia, ipotetico leader del “quarto polo”, sul quale confluiscono i partiti di Di Pietro, Ferrero e Diliberto, insieme ai Verdi di Bonelli.
«Siccome non son mai stato una vittima del nuovo in politica, di quel nuovismo attraverso il quale si sono perpetuate da trent’anni le stesse politiche e le stesse classi dirigenti – premette Cremaschi, in un intervento su “Micromega” – non mi scandalizza che la lista del cosiddetto quarto polo sia diventata l’ennesima lista personale, ove il leader è la sostanza della proposta, né mi sconvolge che i partiti siano alla fine l’architrave della lista». I partiti esistono da sempre, aggiunge Cremaschi, e chi li rifiuta «semplicemente ne sta fondando un altro». Quello che non convince, della coalizione Ingroia, è «l’ordine delle priorità e il messaggio di fondo del programma annunciato dal suo leader», secondo cui l’Italia sarebbe un paese devastato dalla corruzione e dalle mafie, grazie al ruolo attivo di una parte della “casta”, cioè i berlusconiani, e il silenzio-assenso di una componente più debole e subalterna, che va da Monti al Pd.
Secondo Ingroia, a quanto pare, una lotta vera alle mafie e alla corruzione finora non si è fatta per colpa di questa classepolitica, e il paese ne paga i costi con la crisi economica. Ergo: mettere al governo una classe dirigente che distrugga davvero le mafie è la necessaria condizione di giustizia per una possibile ripresa economica, non “pagata” dai più poveri. Intendiamoci, ammette Cremaschi: «Il peso della corruzione, dell’evasione fiscale, della criminalità nella nostraeconomia è da tempo documentato». Tuttavia, aggiunge l’ex dirigente sindacale, «non mi pare che questo possa essere sufficiente a motivare una lista alternativa ai principali schieramenti ed in particolare a Monti», che peraltro «su questo terreno ha nella sua agenda temi e proposte molto vicine a quelle di Ingroia». Anche Monti, infatti, «mette al centro del suo programma liberista l’idea che in Italia una buona economia emergerà dalla distruzione dell’economia corporativa e criminale». E non a caso, dice Cremaschi, il premier “tecnico” «individua in Marchionne l’esempio imprenditoriale da esaltare sulla via delle “riforme”». Curioso: già di per sé, «il liberismo è spesso criminale per i suoi risultati sociali». Nonostante ciò, chi lo propugna può persino «proporsi di combattere l’economia criminale».
«Naturalmente – continua l’ex dirigente Fiom – Monti mette al primo posto della sua agenda la politica di austerità, così come viene definita dai vincoli del Fiscal Compact, del pareggio costituzionale di bilancio, dei trattati europei». La lotta alla criminalità economica e mafiosa sarebbe ancora più stimolata da questi vincoli, perché essi ci imporrebbero di trovare lì i soldi che servono per lo “sviluppo”. Se Ingroia afferma di combattere il montismo, «perché allora non contesta questo punto che è il punto cardine di esso? Perché nel suo discorso d’investitura è assente la critica ai vincoli europei e del capitalismo internazionale, quello formalmente onesto?». Il guaio è che Ingroia, probabilmente, è davvero convinto che la questione sociale ed economica sia solo «una derivata della questione criminale», e che quindi «basti essere rigorosi davvero e non a parole, per creare le condizioni economiche per la giustizia e lo sviluppo». Magari fosse così.
«Per affrontare questa crisi economica da una punto di vista alternativo a quello di Monti – afferma Cremaschi – si deve programmare un gigantesco intervento pubblico nell’economia e la rottura di tutti i vincoli europei: o si segue questa strada oppure ci si deve affidare al mercato». Non è un caso che il Pd sia spiazzato dalla candidatura di Monti, «perché ha sinora sostenuto una politica di mercato e non ha alcun programma realmente alternativo ad essa». Una politica del pubblico e dell’eguaglianza sociale richiede un forte controllo democratico sull’economia, sottolinea Cremaschi. «E qui diventa decisiva la lotta a mafie e corruzione: perché il liberismo si è sempre alimentato con il corrompimento della classe politica». Infatti, «tutto il sistema delle partecipazioni statali è stato privatizzato sventolando le tangenti e le mazzette dei manager pubblici e dei politici che li controllavano: è lì che è nata l’egemonia, anche a sinistra, dell’ideologia del mercato come antidoto alla corruzione». Come diceva Brecht, «è più profittevole fondare una banca che rapinarla».
Nella crisi attuale, continua Cremaschi, la priorità è la lotta alla disoccupazione e al super-sfruttamento del lavoro e dell’ambiente. «Questa la può fare davvero solo il pubblico, e per questo il potere pubblico dev’essere liberato dalla criminalità e dalla corruzione». Allo Stato di domani, alternativo all’attuale fantasma finanziario costretto a obbedire a Bruxelles, occorre affidare «una nuova politica economica e sociale». L’alternativa a Monti «nasce dalla rottura con le politiche liberiste europee e con quella economia criminale amministrata dalla Troika internazionale che ha distrutto la Grecia, dove oggi trionfa l’economia illegale». La questione sociale comanda sulla lotta alla criminalità e non viceversa, insiste Cremaschi. «Questa è la differenza di fondo tra la lotta alle mafie dei liberali onesti e quella del movimento operaio socialista e comunista: una differenza ancora più vera oggi, se davvero ci si vuol collocare su un fronte alternativo a tutto il quadro politico liberista dominante».
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