I poteri forti e il Partito Democratico
di Federico Cenci - 30/01/2013Fonte: agenziastampaitalia
Appena scoppiato lo scandalo Mps, tra le file del centro-sinistra italiano si è assistito a manifestazioni isteriche tipiche di chi avverte venir meno le proprie certezze elettorali. Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato del Partito democratico, stizzita verso quei media intenti a rimarcare la contiguità tra via del Nazareno e la banca senese, così sbottava: “I poteri forti ci temono”. E ancora: “Tutti si sono uniti contro il Pd. C’è un tentativo di non farci vincere, vedo risorgere la vecchia conventio ad exludendum”.
Locuzioni latine a parte, fa un certo effetto sentire un dirigente del Pd evocare lo spettro dei poteri forti ad ostacolare il cammino del proprio partito verso la vittoria elettorale. Si tratta di un tentativo in salsa democrat di parlare - come si usa dire in certi casi - alla pancia degli italiani. Un tentativo che, guardato alla luce degli stretti legami tra Partito democratico e certe realtà oltreconfine e sovranazionali, appare alquanto maldestro e inopportuno.
Il Gruppo Bilderberg.
Quasi tutti, in Italia, si sono convinti che il governo Monti - anche poiché non eletto - sia stato emanazione dei poteri forti, rappresentati da banche, massonerie e influenti organizzazioni. Grazie soprattutto all’incessante fiorire di informazioni in Rete, i quasi 14 mesi di governo tecnico sono serviti almeno ad inoculare nell’opinione pubblica una maggior consapevolezza circa l’influenza che simili realtà esercitano sugli Stati. Oggi, infatti, quasi tutti gli italiani mediamente informati sanno dell’appartenenza del presidente Monti ad associazioni segrete, su tutte il Gruppo Bilderberg. E molti di essi ritengono che ciò costituisca un elemento di anti-democraticità, volto a cancellare ogni traccia di sovranità nazionale.
Quasi tutti, in Italia, si sono convinti che il governo Monti - anche poiché non eletto - sia stato emanazione dei poteri forti, rappresentati da banche, massonerie e influenti organizzazioni. Grazie soprattutto all’incessante fiorire di informazioni in Rete, i quasi 14 mesi di governo tecnico sono serviti almeno ad inoculare nell’opinione pubblica una maggior consapevolezza circa l’influenza che simili realtà esercitano sugli Stati. Oggi, infatti, quasi tutti gli italiani mediamente informati sanno dell’appartenenza del presidente Monti ad associazioni segrete, su tutte il Gruppo Bilderberg. E molti di essi ritengono che ciò costituisca un elemento di anti-democraticità, volto a cancellare ogni traccia di sovranità nazionale.
Molti meno italiani, tuttavia, sanno che il medesimo Gruppo Bilderberg, oltre ad accogliere al suo interno membri del governo tecnico, da qualche tempo a questa parte sta insistentemente strizzando l’occhio alla parte politica posizionata a centro-sinistra. Nel giugno scorso, ad una delle ultime e più importanti riunioni dell’associazione segreta svoltasi in Virginia, negli Usa, pochi esponenti del nostro Paese erano presenti. Tra questi pochi, tre rappresentanti del mondo industriale (Bernabè e Conti del gruppo Enel e John Elkann della Fiat), una giornalista di La7 con un passato da europarlamentare dell’Ulivo (Lilli Gruber) e il vicesegretario del Pd, Enrico Letta. Questa concessione di esclusiva rivolta al centro-sinistra italiano di partecipare alle proprie riunioni da parte del Bilderberg, vale più di qualsiasi esplicito attestato. Gli effetti del sostegno (oendorsment, dato che i poteri forti parlano inglese) del Bilderberg al Pd hanno trovato concreta espressione nelle parole che Enrico Letta pronunciava appena sbarcato in Italia di ritorno da suddetta riunione. Come un neofita pervaso di entusiasmo, noncurante dell’allora embrionale alleanza con Vendola e del tradizionale legame con i sindacati, il vice-presidente del Pd si faceva apostolo del libero mercato e affermava con sorprendente fede: “Dobbiamo lavorare molto sul tema privatizzazioni”, mettendo nel mirino “pezzi di Eni, Enel e Finmeccanica”(1). La malizia è fin troppo scontata: in cambio del loro determinante appoggio al Pd, i potentati economici avrebbero “suggerito” a Letta di farsi portavoce in patria di una linea di economia industriale assai appetita dalle multinazionali. Non c’è da stupirsi, quindi, se a settembre la banca d’affari Goldman Sachs si è esposta scommettendo su un governo italiano presieduto dal centro-sinistra(2).
What’s american Pd.
Per dimostrare quanto il Pd sia debole al fascino a stelle e strisce, si può risalire a fatti ancor più recenti. La settimana scorsa, in una Washington imbellettata come un set di Hollywood, è avvenuta la cerimonia di insediamento del presidente americano Obama, eletto per il secondo mandato. Immancabile all’evento, anche una delegazione del Pd guidata dal suo responsabile esteri, Lapo Pistelli(3). L’occasione di un viaggio oltreoceano è valsa a Pistelli e ai suoi una serie di incontri con esponenti della Casa Bianca e dei vari organismi ad essa collaterali (i cosiddetti think tank). “Gli americani conoscono bene i numeri, sanno che fra poco più di un mese saremo noi al governo e siamo qui per spiegargli cosa abbiamo in mente di fare”, annunciava orgoglioso Pistelli agli inviati della stampa italiana. Con l’aria supponente del primo della classe innanzi alla maestra, il responsabile esteri del Pd ha mostrato ai suoi interlocutori americani l’agenda Bersani, indicando i punti a loro più graditi. In primo luogo, ha rivendicato l’appoggio del suo partito al governo Monti, apprezzatissimo a Washington e anche a Wall Street, affermando: “Le riforme sono state possibili grazie ai nostri voti in parlamento”. Dopodiché ha dato garanzie su un’intesa post-elettorale con Monti: “Faremo un governo di coalizione anche se avremo il 51 per cento al Senato”. In barba a una tradizione che vuole la sinistra attenta alle istanze sociali, Pistelli ha poi ricordato che Bersani “ha firmato le privatizzazioni nel governo Prodi dimostrando nei fatti quale modello economico persegue”. Lo stesso segretario del Pd, d’altronde, in un’intervista rilasciata al Washington Post qualche giorno prima, ammiccava ai poteri forti della finanza americana con un rassicurante “i mercati non hanno nulla da temere”, per poi aggiungere: “Capisco che possa sembrare bizzarro vedere la sinistra italiana che apre ai mercati, ma questo deriva dal fatto che in Italia la destra non ha una tradizione liberista, ma tende a essere statalista”(4).
Per dimostrare quanto il Pd sia debole al fascino a stelle e strisce, si può risalire a fatti ancor più recenti. La settimana scorsa, in una Washington imbellettata come un set di Hollywood, è avvenuta la cerimonia di insediamento del presidente americano Obama, eletto per il secondo mandato. Immancabile all’evento, anche una delegazione del Pd guidata dal suo responsabile esteri, Lapo Pistelli(3). L’occasione di un viaggio oltreoceano è valsa a Pistelli e ai suoi una serie di incontri con esponenti della Casa Bianca e dei vari organismi ad essa collaterali (i cosiddetti think tank). “Gli americani conoscono bene i numeri, sanno che fra poco più di un mese saremo noi al governo e siamo qui per spiegargli cosa abbiamo in mente di fare”, annunciava orgoglioso Pistelli agli inviati della stampa italiana. Con l’aria supponente del primo della classe innanzi alla maestra, il responsabile esteri del Pd ha mostrato ai suoi interlocutori americani l’agenda Bersani, indicando i punti a loro più graditi. In primo luogo, ha rivendicato l’appoggio del suo partito al governo Monti, apprezzatissimo a Washington e anche a Wall Street, affermando: “Le riforme sono state possibili grazie ai nostri voti in parlamento”. Dopodiché ha dato garanzie su un’intesa post-elettorale con Monti: “Faremo un governo di coalizione anche se avremo il 51 per cento al Senato”. In barba a una tradizione che vuole la sinistra attenta alle istanze sociali, Pistelli ha poi ricordato che Bersani “ha firmato le privatizzazioni nel governo Prodi dimostrando nei fatti quale modello economico persegue”. Lo stesso segretario del Pd, d’altronde, in un’intervista rilasciata al Washington Post qualche giorno prima, ammiccava ai poteri forti della finanza americana con un rassicurante “i mercati non hanno nulla da temere”, per poi aggiungere: “Capisco che possa sembrare bizzarro vedere la sinistra italiana che apre ai mercati, ma questo deriva dal fatto che in Italia la destra non ha una tradizione liberista, ma tende a essere statalista”(4).
Nei colloqui occorsi durante questa trasferta americana, si è parlato anche di politica estera. Philip Gordon, braccio destro di Hillary Clinton, ha preteso dagli esponenti del Pd “un maggior impegno dell’Italia a favore delle riforme in Russia”, di modo da recidere definitivamente quel legame nato tra Berlusconi e Putin e foriero per il nostro Paese di opportunità energetiche e d’investimento alternative a quanto rema esclusivamente nella direzione dell’interesse americano. Si è inoltre discusso di Medio Oriente. Anche su questo tema, Pistelli ha pronunciato un copione che suonava come musica per le orecchie dei suoi interlocutori: si è detto a favore di un “maggior impegno dell’Ue a sostegno delle primavere arabe” e delle sanzioni nei confronti dell’Iran.
Pd kosher.L’Iran è stato al centro di un’altra conversazione, risalente al dicembre scorso, che ha visto protagonista Lapo Pistelli. In quel caso, si è trattato di un’intervista rilasciata al Jerusalem Post, quotidiano israeliano(5). Neanche a dirlo, la posizione del Pd, sempre per bocca del suo responsabile esteri, è stata altrettanto solerte. “L’embargo ha effettivamente ridotto l’economia iraniana”, ha affermato Pistelli così osannando le sanzioni che in Iran stanno colpendo la popolazione civile. Si è poi spinto in un pronostico con troppa sicurezza per non lasciar insinuare che il dirigente del Pd sia a conoscenza dell’arrivo su Teheran di una nuova “ondata verde” guidata da Occidente: “Le elezioni sono in arrivo ed è previsto che Ahmadinejad lascerà la scena”.
Nella stessa intervista, Pistelli è stato interrogato anche su un’altra spinosa questione, quella palestinese. Il responsabile esteri del Pd ha giustificato il sostegno del suo partito al governo italiano quando questi, in sede Onu, ha votato in favore di un riconoscimento della Palestina quale Stato osservatore. Pistelli ha detto di aver invitato il premier palestinese Abu Mazen a non “trarre indebitamente vantaggio da questa sua vittoria all’Onu”, perciò a non puntare ad altri riconoscimenti e a non ricorrere presso la Corte internazionale di giustizia per i crimini israeliani. Come a dire, gli abbiamo regalato la bicicletta ma gli abbiamo chiesto di non pedalare.
Del resto, la laconica quanto eloquente frase “Amo Israele (…) uno dei cuori del mondo e un avamposto della cultura occidentale e della democrazia” aveva aperto l’intervista di Pistelli al Jerusalem Post.
Affetto evidentemente reciproco, visto che nell’estate 2011 il segretario del Pd Bersani, durante una visita in Israele, venne accolto dal presidente della Repubblica Peres e dal primo ministro Netanyahu ricevendo - come esultava il giorno dopo L’Unità - “un trattamento da capo di governo” (6). In Israele, d’altronde, sia la destra di Netanyahu che la sinistra di Barak sanno bene che sull’alleanza dei democratici italiani possono sempre contare. Così come il Pdl ha Fiamma Nirenstein e Fli Alessandro Ruben, anche il Pd, nella persona di Furio Colombo, ha il suo parlamentare che cura gli interessi israeliani. L’anziano deputato piemontese è, pertanto, presidente nazionale di “Sinistra per Israele”, un’associazione che si propone si sradicare dalla sinistra italiana la storica etichetta di anti-sionista. Vista la linea del Pd, non si può non riconoscere che stia lavorando bene.
Del resto, la laconica quanto eloquente frase “Amo Israele (…) uno dei cuori del mondo e un avamposto della cultura occidentale e della democrazia” aveva aperto l’intervista di Pistelli al Jerusalem Post.
Affetto evidentemente reciproco, visto che nell’estate 2011 il segretario del Pd Bersani, durante una visita in Israele, venne accolto dal presidente della Repubblica Peres e dal primo ministro Netanyahu ricevendo - come esultava il giorno dopo L’Unità - “un trattamento da capo di governo” (6). In Israele, d’altronde, sia la destra di Netanyahu che la sinistra di Barak sanno bene che sull’alleanza dei democratici italiani possono sempre contare. Così come il Pdl ha Fiamma Nirenstein e Fli Alessandro Ruben, anche il Pd, nella persona di Furio Colombo, ha il suo parlamentare che cura gli interessi israeliani. L’anziano deputato piemontese è, pertanto, presidente nazionale di “Sinistra per Israele”, un’associazione che si propone si sradicare dalla sinistra italiana la storica etichetta di anti-sionista. Vista la linea del Pd, non si può non riconoscere che stia lavorando bene.
Pd in grembiulino.
Più casareccio è invece quel groviglio di fili che legano il Partito democratico alle massonerie italiane. Le recenti rivelazioni sui rapporti con la Monte dei Paschi non solo rispolverano l’aspro tema della contiguità tra banche e politica (un segreto di Pulcinella), ma anche - dato che la tradizione massonica di Siena e della sua banca non fa mistero - la questione legata ai frequentatori di logge con tessera del Pd in tasca. Si conta che almeno 4mila massoni italiani siano legati al centro-sinistra (7). Rispetto alle macro-alleanze che oltrepassano i confini nazionali, forse queste cifre appariranno come provinciali bazzecole. Tuttavia, in rapporto ai 21mila iscritti al Pd, 4mila è un numero elevato. E poi, in ragione dell’influenza che da sempre la massoneria esercita sulla politica italiana, forse è utile che alla Finocchiaro vengano rammentate anche queste cifre. Tanto per dimostrarle che, da parte del suo partito, lamentare persecuzioni di poteri forti è alquanto maldestro e inopportuno.
Più casareccio è invece quel groviglio di fili che legano il Partito democratico alle massonerie italiane. Le recenti rivelazioni sui rapporti con la Monte dei Paschi non solo rispolverano l’aspro tema della contiguità tra banche e politica (un segreto di Pulcinella), ma anche - dato che la tradizione massonica di Siena e della sua banca non fa mistero - la questione legata ai frequentatori di logge con tessera del Pd in tasca. Si conta che almeno 4mila massoni italiani siano legati al centro-sinistra (7). Rispetto alle macro-alleanze che oltrepassano i confini nazionali, forse queste cifre appariranno come provinciali bazzecole. Tuttavia, in rapporto ai 21mila iscritti al Pd, 4mila è un numero elevato. E poi, in ragione dell’influenza che da sempre la massoneria esercita sulla politica italiana, forse è utile che alla Finocchiaro vengano rammentate anche queste cifre. Tanto per dimostrarle che, da parte del suo partito, lamentare persecuzioni di poteri forti è alquanto maldestro e inopportuno.
Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia
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