mercoledì 25 aprile 2012

Pound, genio e furore in cattedra


Pound, genio e furore in cattedra. Maestro di Eliot. Ma anche di Hemingway, Yeats e Joyce
di Marzio Breda - 24/04/2012
Fonte: Corriere della Sera

  Il 10 marzo 1966 a Romolo Rossi, psichiatra della clinica per malattie nervose di Genova, fu affidato un uomo la cui identità era protetta da un falso nome. Quella persona, un ottantenne debilitato fisicamente e psichicamente, «con uno stato d'arresto psicomotorio e del linguaggio» e prigioniero di un «quadro melanconico», era Ezra Pound. Le prime cure richiesero un mese di ricovero. E servì quasi un anno perché la diagnosi fosse puntualizzata come psicosi maniaco-depressiva (oggi si direbbe disturbo bipolare) e il trattamento producesse risultati.
Era un caso complesso. La svolta ci fu quando il medico, mentre lavorava a stabilizzare il malato, tentò una mossa a sorpresa per aggirarne le difese. Appoggiò sul tavolo accanto a lui una copia della Divina Commedia e aspettò gli effetti che il rinvenimento avrebbe prodotto. Accadde l'imprevedibile. La scoperta bastò a ridare la parola a Pound. Che cominciò a sbloccarsi e a dialogare attraverso Dante, del quale citava a memoria i versi più appropriati in risposta alle domande dello psichiatra.
Fu una grande lezione, per Rossi, tanto da fargli dire: «Ormai non sapevo più se il motore della psicoterapia ero io o era lui». Una lezione perché gli permise di verificare il potere taumaturgico della poesia che, sosteneva Andrea Zanzotto, «è ferita e farmaco insieme». E perché, grazie a quei «colloqui didattici», ebbe la fortuna di sondare l'intelligenza di un insegnante speciale che, nell'ultimo scorcio di un'esistenza tumultuosa e carica di dolore, chiamava a raccolta ogni forza residua per spiegarsi, appigliandosi al padre Dante come alla più alta mediazione culturale di cui disponeva.
La commovente immagine di un genio spezzato dalla tragedia, che ritrova il modo di esprimersi con la voce della tradizione e che dimostra anche nell'ultimo scorcio della vita uno slancio pedagogico straordinario, alza il velo su un aspetto piuttosto trascurato di Pound: la sua vocazione di educatore, che fa tutt'uno con quella di scopritore di talenti. Non per nulla Thomas Eliot, che gli doveva le drastiche e fondamentali correzioni della Terra desolata, lo definì «a teacher and a campaigner». Un insegnante, appunto, oltreche un paladino pronto a battersi in difesa degli amici e delle idee in cui credeva.
Già i suoi Saggi letterari dimostrano questo magistero da «miglior fabbro». Nell'Abc del leggere, uscito nel 1934, Pound aveva compiuto un passo ulteriore. Aveva deciso di vestire i panni del professore, ma antiaccademico. Con il proposito di redigere solo «quanto basta per servire da manuale», anche se quel testo era molto di più, mise in comunicazione tra passato e futuro autori e aree letterarie e artistiche che da allora nessuno ha potuto trascurare.
Preoccupato di colmare la distanza tra «la vera cultura e quella che si insegna» nelle università, in quelle pagine Pound fa scuola alla sua maniera. Stretto dall'ansia di antologizzare i linguaggi dell'arte (musica, poesia, pittura), senza dimenticare la filosofia (Confucio), il supremo atto critico sembra per lui consistere nella compilazione di cataloghi degli autori «indispensabili»... Prescrittivo ma senza vizi di erudizione, offre a chi voglia studiare la poesiaun metodo scientifico, «un metodo da laboratorio... lo stesso di un biologo contemporaneo». Si propone di renderla «popolare» e di salvarci da «noia superflua» con un consiglio semplicissimo: andare oltre «l'oscurità e la solennità» e separare le opere maggiori dalle cose mediocri, la «zavorra». Infatti, spiega, «è indispensabile strappare le erbacce se il Giardino delle Muse deve restare un giardino».
È un severo tirocinio applicato alla disciplina critica, quelloche raccomandava ai lettori. Pound ragiona sul concetto di classico, «titolo» che per lui non va assegnato a opere costruite su stili e regole strutturali codificate, ma perché sono illuminate da «una certa e insopprimibile freschezza». Sonda i segreti del linguaggio, fondati sull'intreccio tra suono e vista, per il quale andrebbe colta l'origine delle parole — magari così come affiorano dagli ideogrammi — e ammonisce di «tenerlo in efficienza... preciso e netto» emendandolo da ogni sciatteria, secondo i precetti ricavabili da quello che gli sembra il paradigma, appena sopra il Cavalcanti di Donna me prega: Dante. E analizza l'importanza della «funzione sociale» degli scrittori, perché «se la letteratura di una nazione declina, la nazione si atrofizza e decade».
È un catalogo, quello poundiano, che lievita su numerosi elementi dimostrativi attraverso i quali rimanda a testi specifici. Dei quali si serve in chiave comparatista. Per esempio esaltando Omero e bocciando Virgilio come pure i tragici greci (eccetto Sofocle), mentre elogia Ovidio e resta in dubbio «se Catullo sia inferiore a Saffo». Una rassegnache include innesti disparati, scavando nei depositi sepolti della civiltà europea. Chiama in causa Cavalcanti, Donne, Dante, Chaucer e Shakespeare, senza escludere gli americani, da Whitman a Hemingway. Con lo scopo di offrire strumenti di valutazione e d'indagine a «coloro che leggono, e scrivono, soltanto in inglese». Lo scopo sottinteso era invece: emancipare chi fa poesia dalla prigione vincolo del vocabolario unico. Del resto, il big bang plurilinguistico dei suoi versi emergeva già nel Canto 86: «It can't be all in one language», non si può esprimere tutto in una sola lingua.
Non basta. Nell'Abc del leggere Pound indica dei «criteri ed esercizi di composizione», senza tralasciare prove di scrittura metrica su processi di reinvenzione connessi all'armonia delle note e, dal momento che per lui «il ritmo èuna forma incisa nel tempo», evoca Stravinskij e addirittura il jazz. Mediatore di culture, consiglia di applicare le sue formule e princìpi, seguitissimi dalle avanguardie d'inizio secolo, ponendo a confronto differenti forme d'arte. Lo fa lui stesso quando, con una sicurezza che rasenta la provocazione, sentenzia: «I disegni di Max Ernst relegano nel dimenticatoio un buon numero di romanzi psicologici. Ilcinema soppianta un bel po' di narrativa di seconda qualità e buona parte del teatro...». È un testo decisivo, questo repertorio critico-didattico di Pound.
Equivale a squadernare gli appunti di un suo seminario, se mai ne avesse tenuti, e permette di comprendere le qualitàche fecero di lui «l'insegnante di scrittura» di Eliot, Williams, Hemingway, Yeats, che stimolò a rinnovarsi. E soprattutto di Joyce, che aveva scoperto e generosamente assistito e imposto.
 

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