venerdì 27 aprile 2012

Banche CONTRO Democrazia


26 marzo 2012

Le banche si sono messe contro la democrazia


Tratto da "Il Don Chisciotte", di Eduardo Febbro, traduzione a cura di Fabrizio Di Buono, intervista a Stéphane Hessel, autore del libretto “Indignatevi”, partigiano nella Resistenza, sopravvissuto ai campi di concentramento, diplomatico umanista e protagonista attivo nella redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti umani.

Riportiamo in questo numero l’intervista rivolta aStéphane Hessel (nato a Berlino il 20 ottobre 1917, è un diplomatico, politico e scrittore tedesco naturalizzato francese, combattente nella Resistenza Francese durante la seconda guerra mondiale e deportato nel campo di concentramento di Buchenwald), di Eduardo Febbro, pubblicata sul quotidiano argentino Pàgina 12, del 19 dicembre 2011. Perché l’esigenza di pubblicare questa intervista? Crediamo che al suo interno sia riportata la fiducia che non bisogna mai lasciar cessare nell’essere umano. Questo articolo ci permette di soffermarci con i nostri pensieri, per un momento in più, sulle conseguenze delle politiche adottate dal governo sia italiano quanto dai vari governi europei e trans europei, in quanto ogni decisione economica è interconnessa con le decisioni assunte in altri paesi. Diventa perciò imprescindibile interrogarci su quale sia il ruolo dell’essere umano in queste decisioni in materia economica, ossia capire se queste scelte portino ad una socializzazione dell’essere umano o ad una reclusione individuale negando l’essenza umana, composta dalla molteplicità delle relazioni. La base dell’intero ragionamento di Hessel si può trovare nella fiducia del risveglio dell’umanità sotto anestetici dal neo liberismo, la teoria monetaria che dirige ogni riforma economica adottata dagli anni ’80, segnando la cessazione dell’intervento dello Stato nell’economia. Il fondamento dell’essere cittadino del mondo risiede nel riconoscere il proprio essere umano e il contesto psicopatico, che ci estranea dall’umanità. Lottare e rifiutare queste forze di alienazione sociale diventa l’unica soluzione e strada percorribile. 

La rivolta non ha età, né condizione. Ai suoi affabili, lucidi e combattivi 94 anni, Stéphane Hessel incarna un momento unico della storia politica umana: essere riuscito ad innescare un movimento mondiale di contestazione democratica e cittadina con un libro di 32 pagine scarse, Indignatevi. Il libro, apparso in Francia, nell’ottobre 2010 e nel marzo 2011, si è convertito nello zoccolo duro del movimento spagnolo degli indignados. Il quasi secolo di vita di Stéphane Hessel si è connesso con ogni angolo del mondo e con differenti denominazioni; il messaggio di Hessel ha incontrato un eco impensabile. Indignatevi e gli indignados si iscrivono in una corrente del tutto avversa a quella che si sollevò con le rivolte del Maggio del ’68. Quella generazione era contro lo Stato. Il libro di Hessel e i suoi adepti reclamano il ritorno dello Stato, della sua capacità regolativa. Nulla riflette meglio questo obiettivo, se non uno slogan, tra i più famosi, apparso alla Puerta del Sol (Madrid): “Noi non siamo antisistema, il sistema è anti-noi”. L’ultraliberismo predatore, la corruzione, l’impunità, la servitù della classe politica al sistema finanziario, l’annessione della politica alla tecnocrazia finanziera, le industrie che distruggono il pianeta, l’occupazione israeliana della Palestina, insomma, le grandi devastazioni del pianeta e della società umana hanno incontrato nelle parole di Hessel un nemico inaspettato, argomentazioni fatte da enunciati basilari, profondamente umanista e con un’efficacia immediata. Senza altra armatura se non quella di un passato politico da socialdemocratico riformista e un libro di 32 pagine, Hessel ha opposto al pensiero liberista consumista e al consenso uno degli antidoti più temuti, cioè l’azione.

 Lei è stato in qualche maniera l’uomo dell’anno. Il suo libro ha avuto un successo mondiale ed è finito per convertirsi nel fulcro del movimento globale degli indignati. Si sono avute, di fatto, due rivoluzioni quasi simultanee nel mondo, una nei paesi arabi e l’altra, quella su scala mondiale, che in un certo modo ha scatenato lei.

Mai avrei potuto pensare che il libro potesse avere un simile successo. Mentre lo scrivevo, avevo pensato ai miei compatrioti, per dirgli che il modo in cui sono governati pone interrogativi e che era doveroso indignarsi davanti ai problemi mal risolti. Tuttavia non speravo che il libro venisse diffuso in più di quaranta paesi, per i quattro punti cardinali. Non mi attribuisco nessuna responsabilità riguardo al movimento mondiale degli indignati. È stata una coincidenza che il mio libro sia apparso nello stesso momento in cui l’indignazione si stava espandendo in tutto il mondo. Oggi viviamo in società interdipendenti, interconnesse. Questo cambia la prospettiva. I problemi con i quali dobbiamo confrontarci sono mondiali.

Le reazioni provocate con il suo pamphlet provano che esiste sempre una purezza morale intatta nell’umanità.

A restare intatti sono i valori della democrazia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale risolvemmo i problemi fondamentali dei valori umani. Già conosciamo quali siano questi valori fondamentali i quali devono essere preservati. Tuttavia quando cessa il controllo, quando ci sono rotture nella forma di risolvere i problemi, come è successo dopo degli attentati dell’11 settembre, con la guerra in Afghanistan e in Iraq, e la crisi economica e finanziaria degli ultimi quattro anni, prendiamo coscienza che le cose non possono continuare così. Dobbiamo indignarci e comprometterci per far si che la società mondiale adotti un nuovo corso.

Chi è il responsabile di tutto questo disastro? Il liberismo dilagante, la tecnocrazia, la cecità delle elite?

I governi, in particolare i governi democratici, soffrono una pressione da parte delle forze del mercato alle quali non sanno resistere. Queste forze economiche e finanziarie sono molto egoiste, alla ricerca del beneficio in tutte le forme possibili, senza tenere conto dell’impatto che questa ricerca sfrenata del profitto ha sulla società. Non gli importa né il debito dei governi, né i salari scarni della gente. Io attribuisco la responsabilità di tutto questo alle forze finanziarie. Il loro egoismo e la loro esacerbata speculazione sono anche responsabili del deterioramento del nostro pianeta. Le forze dietro al petrolio, le forze delle energie non rinnovabili ci conducono verso una direzione molto pericolosa. Il socialismo democratico ha avuto il suo momento di gloria dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per molti anni abbiamo avuto ciò che è stato definito come Stato della provvidenza, un ottimo modo per regolare le relazioni tra i cittadini e lo stato. Tuttavia dopo abbiamo abbandonato questo cammino previa influenza dell’ideologia neoliberista. Milton Friedman e la Scuola di Chicago dissero:” lascino la mano libera all’economia, anziché far intervenire lo Stato”. Si imboccò una strada sbagliata e oggi ci rendiamo conto che ci siamo chiusi in una strada senza vie d’uscita. Quello che è successo in Grecia, Italia, Portogallo, Spagna è la prova che non si trovano soluzioni conferendo maggiori poteri al mercato. Questo compito è proprio dei governi, sono loro che devono imporre le regole alle banche e alle forze finanziarie per limitare il sovra sfruttamento della ricchezza che detengono e l’accumulazione dei benefici immensi, mentre gli Stati si indebitano. Dobbiamo riconoscere che le banche si sono poste contro la democrazia. Questo è inaccettabile.

È scioccante vedere ogni volta l’indifferenza della classe politica davanti la rivolta degli indignati. I dirigenti di Parigi, Londra, Stati Uniti, insomma, li dove si è istaurato il movimento, non abbiano prestato attenzione alle richieste degli indignati.

Per ora si è sottovalutata la forza di questa rivolta e di questa indignazione. I dirigenti si saranno detti: questo già lo abbiamo visto altre volte, nel maggio ’68, etc., etc. Credo che i governi si sbaglino. Il fatto che i cittadini protestino per la forma che li governa è qualcos’altro di più nuovo e questa novità non si placherà, mentre i governi si impegnano a mantenere intatto il sistema. Tuttavia, la questione collettiva del funzionamento del sistema non è stata mai tanto forte come ora. In Europa stiamo attraversando un momento molto discutibile, come tempo fa accadde in America Latina. Io sono molto orgoglioso per la forma in cui l’Argentina ha saputo superare la gravità della crisi. Ciò comprova che è possibile agire e che i cittadini sono capaci di cambiare il corso delle cose.

In qualche modo, lei invitò ad una sorta di rivoluzione democratica. Tuttavia, non chiama a una rivoluzione. Qual è allora il cammino per rompere il cerchio dentro il quale viviamo? Qual è la base della rinascita di un mondo più giusto?

Dobbiamo trasmettere due cose alle nuove generazioni: la fiducia nella possibilità di migliorare le cose. In secondo luogo, dobbiamo fargli prendere coscienza di tutto ciò che si sta facendo attualmente e che segue una dritta via. Penso al Brasile, per esempio, in cui abbiamo molti progressi, penso alla Presidente Cristina Fernàndez de Kirchner, la quale ha fatto in modo che le cose progredissero di molto, penso anche a tutto ciò che si realizza nel campo dell’economia sociale e solidale in tanti e tanti paesi. In tutto questo ci sono nuove prospettive per affrontare l’educazione, i problemi della disuguaglianza, i problemi relativi all’acqua. Credo che, ogni volta, sempre di più, i cittadini del mondo stiano capendo che il proprio ruolo può essere più decisivo. La forma in cui i tunisini e gli egiziani hanno conquistato il potere, sottraendolo ai governi autoritari, mostra due cose: uno, che è possibile; due, che con questi governi non esiste progresso. Il progresso è reso possibile solo se si approfondisce la democrazia. Negli ultimi venti anni l’America Latina ha approfondito la democrazia e questo ha portato progresso. L’indignazione trova giustificazione in tutto ciò: gli sforzi realizzati sono insufficienti, i governi sono deboli, i partiti politici della sinistra sembrano disgregati davanti l’ideologia neoliberista. Per questo dobbiamo indignarci. Se i mezzi di comunicazione, se i cittadini e le organizzazioni della difesa dei diritti umani sono sufficientemente potenti per esercitare una pressione sui governi, le cose possono iniziare a cambiare anche domani.

In che momento, lei crede, il mondo abbia cambiato rotta, perdendo la sua base democratica?

Il momento più grave credo siano gli attentati dell’11 settembre 2001. La caduta delle torri di Manhattan ha scatenato una reazione da parte del presidente nord americano Bush estremamente dannosa: la guerra in Afghanistan è stato un episodio in cui si commentano gli orrori spaventosi. Le conseguenze dell’economia mondiale sono state allo stesso modo molto dure. Si sono consumate ingenti somme in armi e nella guerra anziché investire risorse nel progresso economico e sociale.

Indignazione è oggi una parola chiave. Quando lei ha scritto il libro, è stata questa parola a guidarla.

La parola indignazione è una definizione di ciò che si può aspettare dalla gente quando, aperti gli occhi, trova una realtà inaccettabile. Si può addormentare un essere umano, ma non ucciderlo. In noi c’è una capacità generosa, di azione positiva e costruttiva che può svegliarsi quando assistiamo alla violazione dei valori. La parola “dignità” figura dentro la parola “indegnità”. La dignità umana si sveglia quando la si necessita. Il liberismo ha cercato di anestetizzare queste due capacità umane, la dignità e l’indignazione, però non c’è riuscito.

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