lunedì 15 ottobre 2012

Italiani afflitti dalla sindrome del grigiocrate

La singolare malattia della Monti-dipendenza
di Francesco Mario Agnoli - 14/10/2012
Fonte: Arianna Editrice

Chissà se gli italiani  cominceranno a liberarsi dalla singolare malattia della Monti-dipendenza adesso che con la legge di stabilità  il governo tecnico  ha palesemente “toppato” o, per dirla altrimenti, è stato colto con le mani  nella marmellata per avere fatto ricorso ad uno di quei  mezzucci di cattura  del consenso che sembravano appannaggio esclusivo  di una deteriore  classe politica. Che altro è difatti la mini riduzione dell'Irpef per i due scaglioni  più bassi se non un  tentativo di gettare fumo negli occhi?
Il modesto  beneficio, che secondo Monti dovrebbe costituire  la prova della propensione del governo alla riduzione della pressione fiscale non appena se ne affacci la possibilità, è, difatti, accompagnato dall'aumento di un  punto dell'Iva. Un aumento che, secondo i calcoli degli esperti, non solo pareggia, ma supera il beneficio  Irpef anche per i contribuenti che ne usufruiscono e, soprattutto, colpisce senza compensi tutta la vasta area  esente da Irpef per insufficienza del reddito (circa  8 milioni di cittadini, che è corretto definire “poveri”). 
   Intendiamoci; la recessione economica non è  colpa di Monti e va attribuita a fattori (la   globalizzazione anzitutto) di molto anteriori alla intronizzazione per mano di Napolitano del governo tecnico. Monti e i suoi ministri hanno soltanto la funzione di fare accettare, se non con gradimento, con rassegnazione, provvedimenti che  avrebbero provocato  ben più dure reazioni  in caso di varo da parte del  governo Berlusconi e, in realtà, di qualunque governo politico (di qui la decisione di non sostituirlo immediatamente con un governo Bersani).
    Questo in realtà l'hanno capito tutti, ma non tutti (anzi pochi) sembrano rendersi conto che  nulla  cambierà in meglio   quando Monti passerà la mano (se pure lo farà) a un politico, perché le cause  della crisi economica    sono tuttora  vigorosamente all'opera.
    Mi auguro di essere cattivo profeta, ma in fondo al tunnel non s'intravede affatto la  luce vagheggiata (o vaneggiata) da Monti, ma una situazione destinata a divenire per lungo o lunghissimo tempo la nuova realtà dell'Italia e dell'Europa: una realtà che fino a pochi anni fa avremmo definito da  “terzo mondo”.  Prendiamo la riforma delle pensioni,  adesso calcolate e liquidate  per rendere il sistema sostenibile sulla base dei contributi  versati, il che già di per sé comporta una netta riduzione degli importi rispetto  al precedente  sistema  retributivo. Non per nulla  già da qualche anno i lavoratori vengono sollecitati a munirsi di forme integrative di previdenza e a tal fine si sono proposte  varie forme  volontarie di fondi-pensione.  Purtroppo è fin d'ora certo che, per effetto della  crisi e della conseguente difficoltà di trovare un lavoro stabile (o, peggio, una qualunque  occupazione remunerata), in particolare le giovani generazioni (ma non solo loro) avranno  pensioni al limite del livello di sopravvivenza, che in nessun modo potranno integrare. Difatti i lunghi periodi di disoccupazione da un lato incidono negativamente  sull'importo dei contributi versati, dall'altro non consentono di destinare parte dei propri  guadagni alla previdenza  alternativa. Insomma il cane si morde la coda e non ci prova  gusto.
   Al momento la situazione sociale è (quasi) sotto controllo non per merito di Monti, che  anzi con il continuo aumento del costo  della vita  gioca  all'amico del giaguaro, ma perché le generazioni da poco approdate alla pensione o sul punto di farlo hanno avuto  la possibilità di risparmiare e possono dare una mano a chi il lavoro  lo sta ancora cercando (e non lo trova o ha rinunciato).
    Tuttavia questi “anziani”  relativamente  fortunati  non dureranno in eterno  e in ogni caso  la loro capacità economica e, quindi, di sostegno  ai giovani, già intaccata da una esorbitante  pressione fiscale, è destinata a diminuire di anno in anno, perché le pensioni, d'oro o di rame che siano, non vengono adeguate  ai reali aumenti del costo della vita. 
    L'inevitabile approdo  è una generalizzata carenza di mezzi (vogliamo chiamarla col suo  nome: povertà?), nella quale quasi per tutti diviene essenziale,  in particolare  nei momenti difficili (malattie, vecchiaia ecc.), il ricorso ai servizi pubblici,  invece a loro volta oggetto di provvedimenti incidenti  in negativo sul numero e l'efficienza delle prestazioni (si pensi ai continui tagli alla Sanità).
     Scarse le speranze di un'inversione di tendenza, dal momento che alla recessione economica  si accompagna (l'ha anzi preceduta e si pone come una delle sue cause) la crisi della società civile che, malata di individualismo amorale,  si mostra incapace di reagire e assiste immobile e passiva alla disgregazione di se stessa.

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