mercoledì 17 ottobre 2012

Tre milioni di poveri chiedono aiuti in cibo


Anche in Italia c'è chi soffre la fame

Secondo i dati della Fao è allarme per il nostro Paese, dove oltre tre milioni di poveri chiedono aiuti in cibo

Il primo parametro comprende le famiglie con capacità di spesa inferiore a un valore determinato da alcune variabili statistiche (che per le famiglie composte da due persone è fissato a 983 euro mensili), il secondo quelle che non si possono permettere l'acquisto dei beni del cosiddetto «paniere minimo».

Dalla povertà alla fame il passo dovrebbe essere lungo. Ma secondo l'indice del rischio alimentare, elaborato ogni anno sui dati Fao degli esperti inglesi della Maplecroft, nel 2013 l'Italia non sarà più Paese «a basso rischio fame» bensì - come Russia, ex Jugoslavia, Cina e Sudafrica - Paese a rischio medio. Segno che una parte di quelle famiglie indigenti potrebbe trovarsi in difficoltà letteralmente drammatiche.
A conferma della fondatezza dello scenario giungono i dati diffusi ieri, in occasione della giornata mondiale dell'alimentazione, dall'Agea (l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura): l'anno scorso le persone che hanno chiesto un pacco alimentare o un pasto gratuito alle organizzazioni no profit sono state oltre tre milioni e 300mila. E quelli resi noti dalla Coldiretti: la spesa per il latte è diminuita del 10%; i furti nei supermercati sono aumentati del 7,8%, incremento più elevato da quando, cinque anni fa, ha preso il via la rilevazione.
Apparentemente è un paradosso, in un Paese che produce e consuma cibo in eccedenza: il 16% della spesa alimentare in Italia va sprecato e ogni famiglia, in media, butta nella spazzatura più di 40 chili di cibo l'anno. Ma i numeri parlano di una situazione «di disagio e sofferenza che incide su fasce sempre più allargate di popolazione, perché la crisi ha colpito trasversalmente segmenti sociali diversi, dagli anziani titolari di pensioni esigue alle famiglie e gli immigrati». Lo dice Stefano Masini della Coldiretti, che evidenzia anche una forte flessione nell'acquisto dei prodotti che fanno parte del paniere alimentare di base.
«Da decenni - spiega Marco Lucchini, direttore generale della fondazione Banco alimentare onlus - l'Italia è dei grandi Paesi europei quello con il più alto numero di poveri. Fino al 2008 l'obbiettivo era ridurre quel numero, poi è diventato mantenerlo stabile». Ma l'allarme sul «rischio fame»? «Una statistica a livello mondiale - osserva Lucchini - dice poco delle realtà locali. Indubbiamente quella italiana a causa della crisi è cambiata. Nel milione e 700mila persone che aiutiamo ogni giorno è entrata gente poco abituata alle difficoltà economiche e quindi poco abituata a chiedere». Una mutazione qualitativa, dunque, affrontata con successo, se così si può dire, dalle organizzazioni no profit che rappresentano «una specificità, una grande ricchezza tutta italiana», come spiega Lucchini, che aggiunge: «se venissero meno la nostra rete e le altre che svolgono quella funzione di aiuto, allora sì rischieremmo di diventare un Paese africano o asiatico».
E tornando a livello mondiale, il Wwf avverte che il cibo che scegliamo - e quello che sprechiamo - rischia di «affamare» il pianeta insieme con molti dei suoi abitanti. A incidere infatti non sono solo le quantità in cui viene consumato ma soprattutto l'impatto ambientale della filiera produttiva che lo fa approdare sulle tavole dei Paesi avanzati: consumo di suolo per l'agricoltura intensiva e le infrastrutture, utilizzo di acqua, imballaggi, trasporto e produzione di emissioni inquinanti. Problemi evidenti anche a Benedetto XVI che nel suo messaggio alla Fao ha sottolineato che «la crisi economica mondiale e l'eccesso di competitività pesano sulla crescente carenza di risorse alimentari a livello mondiale».

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