Capitalisti di tutto il mondo unitevi!
di Franco Cardini e Stefano Taddei - 08/06/2012Fonte: ilcerchio
CAPIRE LE MULTINAZIONALI
Capitalisti di tutto il mondo unitevi!
Introduzione
Come ricorda Giuseppe Giaccio, riprendendo sul numero 47 della rivista “Trasgressioni” un tema caro ad Alain de Benoist, l’ingannevole discorso liberal-liberistico sull’armonia internazionale, o se si preferisce mondiale (e siamo alla “mondializzazione”, come i francesi preferiscono definire quel che di solito chiamiamo “globalizzazione”), si fonda sull’ “armonia naturale degli interessi” determinata dalla mano invisibile del mercato. “Idea sommamente belligena” – commenta in modo inappuntabile il Giaccio – in quanto “chi rifiuta di farsi colonizzare e ‘armonizzare’ con le ‘pacifiche’ armi della borsa, della finanza e del mercato, è considerato fuori dell’umanità, nemico del genere umano contro il quale ogni misura repressiva è non solo lecita, ma doverosa”. Il fatto è che questa “belligenia” è ben celata agli occhi distratti della pubblica opinione e che, al riguardo, la stragrande maggioranza dei media o cade nella trappola e non identifica le linee di fondo dell’inganno sotto la crosta pacifica e serena di quella “armonia naturale”, oppure la conosce benissimo, è complementare ad essa cioè di essa complice e le viene affidato il ruolo di mantenerla celata. Le nuove tirannie, quelle con le quali il XXI secolo pare chiamato a confrontarsi, non hanno più il volto arcigno e militaresco dei decrepiti sistemi conservatori né quello oceanico delle masse ben inquadrate dei totalitarismi. Il consenso sul quale il totalitarismo liberal-liberistico si fonda è fondato sulla demobilitazione delle masse e sulla loro sistematica riduzione a somma d’individui più o meno soddisfatti dei loro consumi o – nella fase che andiamo attraversando – rassegnati al loro contrarsi, anch’esso “naturale”. L’inganno funziona anche, in gran parte, in quanto i suoi soggetti protagonisti restano nell’ombra: la “società dei consumi” (e dei profitti) si fonda solo apparentemente sulla “visibilità”, specchietto per le allodole che serve largamente a stornare l’attenzione e a creare falsi obiettivi. Solo negli ultimi tempi, dinanzi al fallimento drammatico di quei politici ch’erano i suoi “comitati d’affari”, in alcuni paesi – tra cui l’Italia – le oligarchie economico-finanziarie si sono viste costrette a intervenire in prima persona o quasi, quanto meno affidando ruoli politici ai loro grands oppure petits commis dal momento che il personale esecutivo selezionato da una politica sempre più degradata culturalmente, professionalmente e moralmente si era tragicamente mostrato in tutta la sua inadeguatezza. Questi sono alcuni tratti che distinguono l’età presente e che si vanno proiettando verso un futuro a tutt’oggi molto difficile non diciamo da intravedere, ma nemmeno da prospettare e da ipotizzare. Certo, la funzione del “pubblico” e del “bene comune” va ulteriormente riducendosi e assottigliandosi in questa fase: siamo allo “stato minimo”, a quella che Benjamin R. Barber ha definito la thin democracy. Nascono, o emergono, e acquistano legittimità, nuovi soggetti fino a ieri impensabili o quanto meno “impresentabili”: ci troviamo dinanzi a quella che in termini medievistici potremmo definire una “allodializzazione” dei pubblici poteri e degli interessi comuni; nel plurisecolare duello tra due valori volgarmente avvertiti come complementari ma ontologicamente antitetici, la libertà e l’uguaglianza, la prima sembra aver stravinto e proporsi nella sua nuda, brutale realtà ossimorica, cioè asservimento dei moltissimi come base e garanzia della libertà sempre più ampia di pochissimi, ingiustizia e iniquità come “naturale” (ancora!) risultato di un processo dinamico di successive cancellazioni di tutti quei corpi intermedi (stato compreso) che fino a ieri o a stamani mattina si frapponevano tra capitalismo e persona impedendo o intralciando il definitivo asservimento di questa rispetto a quello. L’imperativo marx-engelsiano, “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!”, sembra essere stato stravolto nel suo opposto: le vicende che qui richiamiamo, quelle dei “soliti ignoti” cioè delle multinazionali, dimostrano che nell’età postmoderna tutti i “lavoratori” (e i semioccupati, e i disoccupati, e i diseredati) si sono frammentati e dispersi, mentre a unirsi – salvo che ciò preluda a nuovi conflitti – per il momento sono stati invece i padroni. Non possiamo opporsi a questa dinamica, sappiamo di essere impotenti dinanzi ad essa, non c’illudiamo sul valore del nostro contributo. Che tuttavia tende, con molta modestia, a tradurre in termini politici il vecchio imperativo esorcistico, Quomodo te vocaris? Ecco: questo è un contributo al disincanto weberiano. Cominciamo a conoscerli e a chiamarli per nome, questi padroni. Cominciamo a riconoscerli, a costringerli a salire al proscenio, a farsi vedere. Cominciamo a contarli e a parlare di loro. Ce la siamo troppo a lungo presa con i politici mediocri e corrotti che essi mandavano avanti a spianare la loro strada: e, come lo stupido cane bastonato, abbiamo azzannato il bastone anziché la mano che lo guidava, e meglio ancora la gola di chi ci stava bastonando. Abbiamo perfino favorito senza volerlo le guerre tra i poveri, assistendo allo spettacolo desolante delle zuffe tra gli sventurati migranti e gli sventurati sottoproletari convinti che siano i migranti a rubar loro quel po’ di prosperità alla quale erano abituati, o meglio assuefatti. Diceva Vladimir Ilich Ulianov: “La Rivoluzione è l’elettrificazione del paese e il fucile sulla spalla degli operai”. Siamo ancora in quelle stesse condizioni. Elettrificare il paese, oggi, significa diffondere le cognizioni sulla verità a proposito della globalizzazione della quale le multinazionali sono protagonisti. Il nuovo fucile, sulla spalla dei nuovi operai del XXI secolo, sarà la lucida consapevolezza, da parte di tutti i non-privilegiati, di chi siano i loro autentici nemici.
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