martedì 6 marzo 2012

Recessione, la domanda che non c'è


La "cura" Draghi è peggiore della malattia

 Alfiero Grandi*,   05 marzo 2012

Economia     
Draghi è in sintonia con la linea conservatrice oggi prevalente in Europa, che rinvia ancora la creazione di un fondo europeo per lo sviluppo e gli investimenti e non pone il fondamentale problema di una nuova qualità dello sviluppo, fondata sulla creazione di occupazione e rispetto dell'ambiente. Senza ripresa economica, senza occupazione, senza qualità dello sviluppo anche lo stato sociale entra sempre di più nel mirino

Per la Prima volta, dopo il 2009, l'area Euro è in recessione. Già nel 2009 la crisi mondiale aveva portato ad un arresto dell'economia e ora, dopo appena 2 anni, l'Italia è di nuovo in recessione. In questo quadro l'Italia è messa peggio dei grandi paesi europei, perché l'Europa prevede per il 2012 un Pil al -1,3 %, mentre il Fondo Monetario prevede -1,5 %. La disoccupazione ufficiale è già arrivata al 9,2 % e la cassa integrazione fa velo a numeri che sarebbero ancora maggiori.
La cura fin qui adottata per affrontare i problemi dell'Europa sta portando alla recessione, alla diminuzione dell'occupazione, alla compressione dei redditi più bassi, alla crescita della povertà. In questo quadro la notizia Eurostat che i salari italiani sono tra i più bassi d'Europa non è altro che la conferma di quanto già era noto da tempo e che i sindacati hanno denunciato con forza. La conclusione è che con questi livelli salariali la domanda del nostro paese non può riprendere.
Draghi ammette che le misure anti deficit adottate in Europa, e anche in Italia sotto dettatura tedesca, porteranno ad effetti recessivi.
Draghi aggiunge che questo avverrà per un breve periodo, ma che occorre stringere i denti e tirare avanti perché - secondo lui - non ci sarebbero alternative.
Non è così. Alternative ci sarebbero. Il problema è che in Europa è prevalsa la linea conservatrice tedesca e più in generale liberista. In sostanza è stata preferita la strada vecchia, la stessa che ha portato alla crisi. Questa linea rinvia la ripresa economica ad un limbo senza tempo e senza scadenze. In sostanza dopo il risanamento e la recessione prima o poi arriverà la ripresa. Come dire che dopo il maltempo migliorerà, prima o poi.
C'è una bella differenza tra la precisione chirurgica delle misure cosiddette di risanamento dei bilanci pubblici e il generico auspicio che viene ripetuto dai leader europei che vi sia una ripresa economica. Chi dovrebbe esserne il protagonista? Con quali risorse? Non è chiarito e infatti la ripresa è rinviata a data destinarsi, per ora crescerà la disoccupazione, la riduzione dei redditi da lavoro e da pensione, l'area della povertà.
Anche le misure che vengono ritenute indispensabili per risanare non solo i conti pubblici ma il sistema economico, al fine di renderlo - come si afferma - più competitivo in realtà non sono affatto in grado di svolgere questo compito. 
Anche la cosiddetta riforma del mercato del lavoro di per sé non creerà sviluppo e occupazione. Perfino secondo i suoi sostenitori al massimo potrebbe convincere qualcuno ad investire in Italia, ma di questo non c'è alcuna certezza.

Viene da chiedersi: se non cresce la domanda per il taglio dei redditi e della spesa pubblica perché mai dovrebbero essere fatti investimenti? Per rispondere ad una domanda che non c'è ?
In particolare risulta stucchevole usare i risultati della predicata e soprattutto praticata flessibilità per i giovani (a cui è stato raccontato per decenni quanto fosse bella e desiderabile la flessibilità/precarietà) per togliere garanzie a chi ne ha ancora qualcuna. L'operazione che si sta tentando non è affatto togliere a qualcuno per dare ad altri (operazione già discutibile) ma semplicemente togliere senza dare. Come del resto è avvenuto in materia pensionistica, dove è stato tolto a tutti: giovani e meno giovani, con il risultato finale che avere lasciato al lavoro per 5/6 anni in più i più anziani porterà a ritardare l'entrata dei giovani nel lavoro di altrettanto, infatti la disoccupazione giovanile è cresciuta ulteriormente.

La spiegazione è di nuovo nelle parole di Mario Draghi che candidamente dichiara che l'Europa "non può più permettersi lo stato sociale che ha". Il modello sociale europeo, fino ad ora differenza e vanto dell'Europa, sarebbe quindi superato.
Nello schema di Draghi il ragionamento è coerente, meno comprensibile è perché venga accolto anche da settori del centro sinistra. 
Prima il risanamento, poi la competitività, da realizzare solo sulle spalle dei lavoratori, che debbono dire addio non tanto al posto fisso ma soprattutto all'assunzione a tempo indeterminato e, come abbiamo visto, anche a salari adeguati. Quindi la competitività viene scaricata sul mercato del lavoro, sulla condizione di lavoro, sui salari, sulla creazione di una dura gerarchia sociale, di cui Marchionne in fondo è il campione.
Risulta chiaro nelle considerazioni di Draghi il futuro economico dell'Europa. Partendo dal ragionamento che un paese non può decidere autonomamente di spendere e chiedere agli altri di farsi carico del debito che ha creato, si arriva alla sostanza che ogni paese deve essere preventivamente autosufficiente nel sostenere il debito. E' la teorizzazione della fine di ogni solidarietà tra paesi ricchi (esentati da ogni obbligo di sostegno) e paesi più deboli: Grecia docet.

Nelle considerazioni di Draghi nulla è detto sulle iniziative per garantire la ripresa, tutto è ristretto alla creazione di liquidità. Si tratta in sostanza dei prestiti che vengono concessi per 3 anni alle banche all'interesse dell'1 %, dimenticando che se le banche impiegheranno quelle risorse aumenteranno ulteriormente la loro leva e quindi entreranno clamorosamente in conflitto con le indicazioni europee che obbligano ad una diminuzione del rapporto tra mezzi propri e credito. Avere più denaro nelle banche di per sé non è erogazione di maggiori finanziamenti al sistema economico. 
Draghi è in sintonia con la linea conservatrice oggi prevalente in Europa, che rinvia ancora la creazione di un fondo europeo per lo sviluppo e gli investimenti e non pone il fondamentale problema di una nuova qualità dello sviluppo, fondata sulla creazione di occupazione e rispetto dell'ambiente. Senza ripresa economica, senza occupazione, senza qualità dello sviluppo anche lo stato sociale entra sempre di più nel mirino, aumentando ancora la divaricazione sociale e l'avvitamento in una crisi senza uscita.


*Presidente ARS - ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA

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