Meritocrazia? Da Monti per ora solo propaganda
di Vito Laterza*
ROMA – Il premier Mario Monti ha occupato la scena politica italiana come il “nuovo”. Senza dubbio egli rappresenta quei poteri del “nuovo ordine mondiale” che, passo dopo passo, si scoprono quali salvatori degli interessi del capitalismo globale. Il “nuovo” montiano, però, non proviene da Marte.
Di fatto, la lista dei tecnici al governo contiene soggetti “vecchi”, non soltanto in termini di età. Essi hanno operato all’interno del vecchio sistema politico italiano, facendo da cerniera tra le forze europee/globali del capitale e della tecnocrazia e la complessa galassia locale di micro-interessi nazionali e territoriali.
Di fatto, la lista dei tecnici al governo contiene soggetti “vecchi”, non soltanto in termini di età. Essi hanno operato all’interno del vecchio sistema politico italiano, facendo da cerniera tra le forze europee/globali del capitale e della tecnocrazia e la complessa galassia locale di micro-interessi nazionali e territoriali.
Il loro modello operativo è quello delle multinazionali come, per esempio, quelle del settore energia che hanno realizzato i grandi investimenti nel rinnovabile degli ultimi anni, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. Sono le stesse aziende che costruiscono centrali in Svezia, Germania, Cina e Africa, eppure, in ognuno di questi contesti, devono adattarsi al sistema locale, regolato non soltanto da leggi nazionali e regionali, ma anche e soprattutto da prassi non scritte, operazioni opache, modi di agire non codificati necessari a conquistare il consenso e l’agibilità sul territorio.
I cosiddetti tecnici del governo Monti sono parte integrante di questo sistema. Le lauree e i dottorati di ricerca all’estero sono di certo serviti a costruire la loro “unicità”, il loro farsi portavoce di istanze globali. Ma, al ritorno in Italia, hanno ben adeguato questi modi di fare al concetto e alla prassi italica della “raccomandazione”, ben difficili da sradicare posto che il sistema continua a “chiedere” alla politica.
Il consenso a Monti (e anche a Berlusconi nel ’94, o a Grillo in versione anti-politica nel 2012) proviene sicuramente da una grossa fetta dell’elettorato italiano, giovani ma non solo, che al di là dell’appartenenza ideologica, vuole rompere con il sistema clientelare in quanto affossatore della meritocrazia. Ma l’interesse vero del sistema capitalista (anche oltre la razionalità conscia del profitto dei singoli) è rimanere in vita e, più volgarmente, continuare a fare affari, impresa, economia. La realtà vera non è quella illustrata dal bocconiano Monti, o nelle lezioni della London School of Economics e di Cambridge, vale a dire “il governo dei migliori”. L’ideologia del merito, del cambiamento a favore di un sistema che premia chi lavora sodo, è sempre stato uno specchietto per le allodole, a Londra come a New York, a Pechino come a Roma. I grossi interessi del capitale sono sempre stati gestiti, in tempi di protezionismo statale come in quelli di iperliberismo globale, da pochi potenti e oscuri network di individui, fuori dai riflettori e dai luoghi non solo della rappresentanza democratica, ma anche delle varie arene “ufficiali” delle professioni. Queste strutture “invisibili” servono anche a produrre e sostenere il mito del potere, quello che nella storia è sempre stato oscuro, e si nutre di questa invisibilità per intimidire e affascinare tutti coloro che ne sono al di fuori, ma ne vivono gli effetti, spesso deleteri, nel proprio quotidiano. Questo vale per i faraoni d’Egitto, gli imperatori romani, gli ultimi monarchi assoluti, e i nuovi “re” della tecno-burocrazia, tra cui Monti e i suoi sodali del Club Bilderberg.
I rituali cambiano, le giustificazioni ideologiche sono diverse, ma la sostanza rimane: la meritocrazia, il “nuovismo”, servono a legittimare i curriculum di chi ha il potere vero, in questo frangente i tecnici in senso lato, dai manager pubblici ai manager dell’industria privata. La propaganda attesta i giovani come Michel Martone o la figlia della Fornero, tra i “migliori”, per i loro curriculum e le loro qualifiche prestigiose, ci dicono. Ma i curriculum di questi giovani, anche quando non sono stati manufatti e sono pubblicati online, non riescono a dare contezza di come le relazioni tra individui, istituzioni, imprese e enti pubblici e non-governativi, si sono poi effettivamente sviluppate. Certo, le mappe familistiche sono un forte indice dove questi network “invisibili” vengono in parte messi a nudo, ma, come ci insegnano le esperienze delle élite anglosassoni, si fa “network” in tanti modi. Quando ci sono in ballo carriere, privilegi, grossi capitali, la vera storia non si scrive e non si legge, spesso nemmeno nelle intercettazioni telefoniche o negli scambi privati via email.
Questa analisi ci porta a dire basta alle ipocrisie e alle illusioni dell’equazione montismo uguale meritocrazia. Dobbiamo analizzare il “vero” Monti, quello che siede nell’advisory board di Moody’s, che fa il commissario UE, e poi anche il primo ministro italiano, senza soluzione di continuità, per comprendere quali siano i margini di manovra per perseguire con forza le istanze di quella grossa fetta di elettori che vuole un cambiamento vero, con più opportunità e più equità per tutti.
Cosa vuol dire riforme strutturali? Come si intendono portare avanti le liberalizzazioni? Quali sono le ricette di Monti per una scuola e una università più efficiente e competitiva? Come si intende riformare la sanità? I tagli, al di là degli allarmismi e delle usuali proteste, possono essere fatti in vario modo. In Gran Bretagna, per esempio, la riforma dell’università del premier conservatore James Cameron ridisegna il panorama in senso più elitario, con maggiori fondi concentrati in poche università, e meno opportunità per le classi più povere di entrare nel sistema. La riforma della sanità approvata quest’anno rischia di contribuire all’aumento delle ineguaglianze, favorendo la competizione tra pubblico e privato e facilitando l’accesso a cure specialistiche ai più ricchi.
Invece di fare proclami anglofili in astratto, soprattutto quando si parla di merito e libero mercato, impariamo dalle cose buone della Gran Bretagna: in quel Paese si entra nel merito delle riforme, non ci si ferma agli slogan propagandistici del “bisogna cambiare”. In questo senso, Monti e il suo governo non hanno ancora convinto. Monti evoca lo spettro della Grecia, senza dirci veramente come egli intende rilanciare la crescita e aiutare i giovani ad essere parte integrante del sistema Italia. Le opposizioni continuano ad evocare lo spettro dei tagli e il diavolo dell’austerity senza offrire politiche e misure concrete alternative alla tecnocrazia pilotata da Bruxelles.
Tutti loro vengono favoriti da un sistema mediatico che nel suo complesso non si è ancora ripreso dall’overdose di berlusconismo e anti-berlusconismo, e ancora oggi preferisce il “burlesque” a discussioni approfondite e con cognizione di causa su come la politica e l’economia stanno cambiando le nostre vite.
*Vito Laterza è ricercatore dottorando in Antropologia Sociale all’Università di Cambridge, vive all’estero dal 2000 e segue le vicende italiane “a distanza”, in un’ottica geopolitica globale. Si occupa principalmente di questioni politiche, economiche e socio-culturali in Africa del Sud (in particolare Sudafrica, Zambia e Swaziland, dove ha svolto ricerca sul campo) ed Europa (Italia e Gran Bretagna).
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