«Io, soffocato dalle banche e costretto a chiudere»
La disperata denuncia di Giorgio Turatello: «Non voglio dichiarare fallimento e lasciare a casa i miei dipendenti»
PADOVA. «Dopo un grande passato imprenditoriale non voglio mollare, ma le banche non mi aiutano, anzi». Lo sfogo amaro è di Giorgio Turatello, titolare insieme al fratello Adolfo della ditta Maes, con sede a Limena, nel Padovano, che quest’anno compie i cinquant’anni di attività, ma che ha gran poco da festeggiare. La crisi ha messo in ginocchio anche loro, che si occupano di riparazione di macchinari e lavori di edilizia stradale; e la mazzata finale gliel’hanno data gli istituti di credito, che a luglio, nel giro di cinque giorni, gli hanno chiuso due conti correnti, l’accesso al credito, mutuo e fido: tutto bloccato in poche ore.
«Non voglio arrivare a dichiarare il fallimento» annuncia Turatello, «specialmente per i dipendenti che lavorano con me, alcuni da oltre vent’anni. Capisco il mio amico Giovanni Schiavon, che a dicembre si è tolto la vita nella sua ditta a Peraga di Vigonza. Le banche ti portano a pensare di arrivare alla soluzione estrema». Non ha intenzione di mollare, Giorgio Turatello, e da ieri ha dato vita ad una nuova società. Ma deve tenere in piedi la prima, l’azienda storica di famiglia, cinquant’anni nel settore con risultati da “numeri uno”.
Cosa è successo alla sua azienda, signor Turatello?
«Come per tutti è arrivata la crisi, pertanto in questi ultimi quattro anni, tra mancanza di lavoro, fallimenti e insoluti di imprese nostre clienti, ci troviamo in grossa difficoltà al punto da dover ridimensionare l’azienda, mettendo in crisi trenta posti di lavoro. Le ditte che mi appaltavano i lavori di manutenzione stradale o di riparazione dei loro macchinari, lavorando spesso con enti pubblici, asseriscono di non venire pagate e a loro volta non pagano me. Io però i ricambi, che li prendo da ditte estere, devo pagarli entro 60 giorni. Ed è questo che ci ha messo in crisi. Sono passato infatti da 17 milioni di fatturato ad appena 3 e ho dovuto rinunciare ad alcuni dei dipendenti. Ed è a loro che penso la sera, perché un’azienda è come una famiglia, specie se si lavora insieme da tanti anni. Penso che se fallisco, che fine faranno queste persone e le loro famiglie?».
«Come per tutti è arrivata la crisi, pertanto in questi ultimi quattro anni, tra mancanza di lavoro, fallimenti e insoluti di imprese nostre clienti, ci troviamo in grossa difficoltà al punto da dover ridimensionare l’azienda, mettendo in crisi trenta posti di lavoro. Le ditte che mi appaltavano i lavori di manutenzione stradale o di riparazione dei loro macchinari, lavorando spesso con enti pubblici, asseriscono di non venire pagate e a loro volta non pagano me. Io però i ricambi, che li prendo da ditte estere, devo pagarli entro 60 giorni. Ed è questo che ci ha messo in crisi. Sono passato infatti da 17 milioni di fatturato ad appena 3 e ho dovuto rinunciare ad alcuni dei dipendenti. Ed è a loro che penso la sera, perché un’azienda è come una famiglia, specie se si lavora insieme da tanti anni. Penso che se fallisco, che fine faranno queste persone e le loro famiglie?».
Per arginare la situazione, cosa ha fatto finora?
«Innanzitutto ho dato fondo ad ogni liquidità in mio possesso e poi mi sono rivolto alle banche. Un tempo bastava andare dal direttore, chiedere un prestito e questi te lo concedeva con grande generosità. Adesso con i direttori è inutile parlare, perchè sono logiche e direttive superiori a decidere. Ho un’ipoteca sulla casa per un valore di 2 milioni, dove la banca me ne ha conteggiato uno solo, trattenendosi ben 600 mila euro. Mi hanno dato solo 400 mila euro, quasi mi avessero pure fatto un favore. Alla fine nessuna banca mi ha accordato alcun prestito e anzi, dopo alcuni insoluti, a metà luglio Antonveneta e la Bcc Sant’Elena mi hanno chiuso i conti. Pretendono anche la restituzione di denaro che proprio non ho».
«Innanzitutto ho dato fondo ad ogni liquidità in mio possesso e poi mi sono rivolto alle banche. Un tempo bastava andare dal direttore, chiedere un prestito e questi te lo concedeva con grande generosità. Adesso con i direttori è inutile parlare, perchè sono logiche e direttive superiori a decidere. Ho un’ipoteca sulla casa per un valore di 2 milioni, dove la banca me ne ha conteggiato uno solo, trattenendosi ben 600 mila euro. Mi hanno dato solo 400 mila euro, quasi mi avessero pure fatto un favore. Alla fine nessuna banca mi ha accordato alcun prestito e anzi, dopo alcuni insoluti, a metà luglio Antonveneta e la Bcc Sant’Elena mi hanno chiuso i conti. Pretendono anche la restituzione di denaro che proprio non ho».
Antonveneta chiedeva nel giro di cinque giorni di rientrare in possesso di quasi 120 mila euro quale “saldo debitore in linea capitale figurante sul conto corrente”, e di un rischio di portafoglio di 317 mila euro da dover coprire. Negli stessi giorni anche la Bcc Sant’Elena ha avanzato le sue richieste, invitando la Maes in soli tre giorni a restituire 175 mila euro. «Una situazione così metterebbe in ginocchio chiunque e dopo cinquant’anni di lavoro mi sento un pezzente. Mi hanno detto che ormai non devo più pensare al passato, ma guardare al futuro. Ma come me lo costruisco un futuro se non mi danno credito?». Sulla vicenda Maes, Antonveneta dichiara che «con riferimento alla lamentela riferita, di cui peraltro non risulta essere stato presentato reclamo formale alla banca, Antonveneta ritiene di aver operato all’interno dei propri margini di legittima valutazione, sulla base degli elementi informativi disponibili, ed in linea con le politiche aziendali definite». La Bcc Sant’Elena ha preferito invece non rilasciare alcuna dichiarazione in merito.
Signor Turatello, come se ne esce dalla crisi?
«Rilanciando le opere pubbliche e riavviando i cantieri, togliendo l’obbligo per gli enti pubblici di rispettare il patto di stabilità, perché adesso chi lavora lo fa con sconti del 40 per cento, rimettendoci solo, senza rientrare nemmeno nelle spese vive».
«Rilanciando le opere pubbliche e riavviando i cantieri, togliendo l’obbligo per gli enti pubblici di rispettare il patto di stabilità, perché adesso chi lavora lo fa con sconti del 40 per cento, rimettendoci solo, senza rientrare nemmeno nelle spese vive».
Come immagina il futuro?
«Ha il nome “AF mecc and service”, da Alessandro e Filippo, mio nipote e il figlio del mio socio. E’ la nuova azienda con cui intendiamo ripartire, affidandola, intanto nel nome, alle nuove generazioni, anche come segno di speranza».
«Ha il nome “AF mecc and service”, da Alessandro e Filippo, mio nipote e il figlio del mio socio. E’ la nuova azienda con cui intendiamo ripartire, affidandola, intanto nel nome, alle nuove generazioni, anche come segno di speranza».
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