martedì 3 luglio 2012

Conferenza internazionale sulla decrescita

Decrescita e "commons"
di Paolo Cacciari - 02/07/2012
Fonte: comune-info 

paolo cacciari 20120702
La prossima Conferenza internazionalsulla decrescita chesi terrà a Venezia dal 19 al 23 settembre (programma definitivo su: www.venezia2012.it) seguirà alcuni assi tematici tra cui non poteva mancarquello decommons («LFaq della decrescita»). Una locuzionsemprpiù usata da movimenti sociali e gruppi di cittadinanza attiva per qualificarl’oggetto dellloro rivendicazioni.
Beni, saperi, servizi, strumentazioni, infrastrutture, normistituzioni sociali vengono definiti «beni comuni» con l’intento di sottrarli dalla sfera del domino della proprie esclusiva (tanto privata, quanto pubblica-statale) e dalllogichdel mercato per instaurare, invece, un sistema di gestionchconsenta un loro uso universalmentaccessibil(condiviso ed inclusivo) e “capacdi futuro” (rispettoso dei cicli geo-bio-chimici e dei tempi di rigeneraziondellrisorsnaturali).
Prima di esserdell«cose» (common goodsi beni comuni sono quindi un processo di auto-riconoscimento socialdi presa di coscienza collettiva; un repertorio di pratichcondivischegenerano legami conviviali e comunitari tesi a trovaruna buona relazioncon l’ambiente, con ogni forma vivente, con gli esseri umani tutti.
Ha scritto Raj Patel: «Ciò chdefiniscun bencomunè il nesso chsi instaura tra gli individui. Nella gestioncollettiva del bengli individui si uniscono e creano una communitas, realizzano un progetto collettivo, operano pratichcondivis(…) La pratica decommon, la gestioncollettiva dellerisorscomuni, richieduna retdi relazioni sociali finalizzata tenera freno gli istinti più vili (egoismo, avidità, soprafazione) e a promuoverun diverso modo di valutaril mondo e di relazionarsi con gli altri” (Raj Patel, Il valordellcose, Feltrinelli, 2010).
Chrelazionvi è tra beni comuni e decrescita? Slcaratteristichdei beni comuni sono la loro indispensabilità alla vita e la loro irriproducibilità, allora nconseguche la loro gestiondeverispettardusemplici e forti criteri: la preservaziondel ben(anchin una ottica intergenerazionale)e la condivisionuniversalista dei benefici chsnpossono ricavare.
La «società dei beni comuni» e la «società della decrescita» hanno in comununa idea di fruizionesostenibiled equa dellricchezznaturali e culturali in un processo di un mutamento di civiltà nel segno della responsabilità collettiva. Cioè, un progetto propriamentpolitico di mutamento dei modellieconomici, dei comportamenti e degli stili di vita personali, dei sistemi di organizzaziondei poteri edel governo pubblico.
Decrescita e beni comuni sono dufaccdella stessa medaglia. Sdecrescita a qualcuno può sembrarsolo la partdestruens del discorso (per via della particella «de», privativa), beni comuni costituiscono la partconstruens della società auspicata. La decrescita, infatti, mira a liberarspazitempi di vita dal tritacarndella megamacchina termo-industrialper lasciarfiorirun’altra idea di società meno in disarmonia con i cicli naturali e meno squilibrata a danno dei più deboli.
Più si riuscirà a ridurre la sfera dellattività mercificat(dovvige la dittatura dell’accumulo senza fine, del profitto e del Pil), più si potrà allargare la sfera dellattività libere, scelte, volontarie, creative, utili per sstessi e per gli altri. Sdecrescita significa rifiutarllogicheconomichepredatoridellrisorsnaturali e i meccanismi giuridico-istituzionali distruttivi dellstessrelazioni umane, il prendersi cura dei beni comuni significa allora rovesciaril modo di pensaral mondo e a noi stessi, darun senso profondo e un obiettivo etico al farumano
I beni comuni sono risorsspeciali, beni primari «della vita», basilari, originari, nel senso chesono precondizionper poter svolgerqualsiasi attività.
Sono ricchezznaturali e lasciti sedimentati dal lavoro creativo svolto dallgenerazioni precedenti allenostre: materiprimsaperi, codici, lingue, norme, sistemi di risorsconnettivsistemi di valori relazionali. Nel concreto sono servizi idrici, istruzioncultura, internet, foreste, fiumi, beni demaniali, semi, infrastrutture, lavoro. Beni indispensabili e insostituibili per il buon viverassieme, per rendereffettivi dei diritti fondamentali degli individui.
I beni comuni sono lcoschcondividiamo e di cui non possiamo fara meno. Beni chperesserdi tutti non possono appartenerin esclusiva ad alcuno. Per talragionessi devono esseresottratti alla gestionprivatistica e affidati a formdi gestionpubblica partecipata.
Se la proposta politica della decrescita alluda una società di comunità aperte, tra loro solidali nellapratica della sussidiarietà, fortementlegatai territori, chdisegnano una retdi democrazilocali basatsullbioregioni, cioè comunità ecologichdovlpiante, gli animali, lacqugli uomini formano un insiemrelativamentcoerente, allora i beni comuni costituiscono la sostanza dellerelazioni sociali tra gli individui.
I beni comuni, quindi, aprono al tema dell’empowerment, della «capacitazione», decoinvolgimento coscientresponsabildellpersondella formaziondi una cittadinanza attiva chsi attiva dal basso attraverso innumerevoli pratichdi autogoverno partecipato, di mutualità, di auto aiuto, di volontaria collaborazione. Pensiamo ai gruppi di acquisto solidale, allbanchdel tempo, agli orti urbani condivisi, alla microfinaza, allmonetcomplementari, allinnumerevoli formdi co-abitazione, allvariformdi mobilità condivisa, ai creativcommons e ai feesoftware… Insomma agli innumerevoli modi di auto-organizzaziondal basso chstanno prendendo piedalla basdellenostrsocie e chchiedono solo di essere lasciatliberdi sperimentare, riducendo al minimo possibildeleghrappresentanze.
Qui si apruno sconfinato campo di elaborazionsperimentazionpolitica per trovarmodelli di governo pubblico partecipato (non necessariamentstatale) nei processi decisionali e nella gestionepratica dei beni comuni, immediatamentpraticabili, declinando la noziondi bencomuncomuna nuova categoria del politico e del giuridico. Lesperienzavviatdal Comundi Napoli con l’assessorato ai beni comuni e alla partecipazionindicano una via replicabile.

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