LE ORIGINI DELLA BANCA D’ITALIA
di Salvatore Tamburro
L’articolo 1 dello Statuto della Banca d’Italia recita che:
<< La Banca d’Italia è istituto di diritto pubblico.
Nell’esercizio delle proprie funzioni, la Banca d’Italia e i componenti dei suoi organi operano con autonomia e indipendenza nel rispetto del principio di trasparenza, e non possono sollecitare o accettare istruzioni da altri soggetti pubblici e privati.
Quale banca centrale della Repubblica italiana, è parte integrante del Sistema europeo di banche centrali (SEBC). Svolge i compiti e le funzioni che in tale qualità le competono, nel rispetto dello statuto del SEBC. Persegue gli obiettivi assegnati al SEBC ai sensi dell’art. 105.1del trattato che istituisce la Comunità europea (trattato).
La Banca d’Italia emette banconote in applicazione di quanto disposto dall’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43. assolve inoltre gli altri compiti ad essa attribuiti dalla legge ed esercita le attività bancarie strumentali alle proprie funzioni. >>
Prima di giungere alla odierna definizione della Banca d’Italia espressa nel suo Statuto, esiste un percorso storico che andrebbe ricordato per capire le origini dell’istituto.
La Banca d’Italia nacque con la legge 10 agosto 1893, n. 449, in cui venne sancita la fusione della Banca Nazionale del Regno d’Italia con le due banche di emissione toscane: la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito per le industrie e il commercio d’Italia, al fine di costituire un istituto di emissione nuovo, in forma di società anonima (l’odierna società per azioni).1
Bisogna prima fare , però, un passo indietro nella storia e risalire al 1849, quando si costituiva in Piemonte la Banca Nazionale degli Stati Sardi, di proprietà privata. Il maggiore interessato, Cavour - che aveva interessi propri in quella banca2 - impose al parlamento savoiardo di affidare a tale istituzione compiti di tesoreria dello Stato.
Si ebbe così una banca privata che emetteva e gestiva denaro dello Stato.
A quei tempi l'emissione di carta moneta veniva fatta solo dal Piemonte. Il Banco delle Due Sicilie emetteva invece monete d'oro e d'argento.
La carta moneta del Piemonte aveva anch'essa una riserva d'oro - circa 20 milioni di lire - ma il rapporto era: tre lire di carta per una lira d'oro, dunque una sorta di convertibilità in oro .
Inoltre, per le continue guerre che i Savoiardi facevano, anche quel simulacro di convertibilità crollò, tanto che la carta moneta piemontese - per l'emissione incontrollata che se ne fece - era diventata carta straccia già prima del 1861.
Una volta conquistata tutta la penisola, i piemontesi presero il controllo sulle banche degli Stati appena conquistati e dopo qualche tempo fu la banca Nazionale degli Stati Sardi a divenire la banca d'Italia.
In pratica, la Banca Nazionale nel Regno D’Italia deve considerarsi il successore diretto di quella sarda, essendosi semplicemente mutata la denominazione sociale di questa durante il periodo che seguì immediatamente l’unificazione politica e nel quale essa aveva intrapreso a estendere rapidamente la rete delle proprie filiali dall’ambito delle antiche province a tutta la penisola.3
La fusione con le due banche toscane e la liquidazione di quella romana4 non portarono, tuttavia, a compimento il processo di unificazione delle emissioni. Occorsero altri trentatré anni, fino al 1926, perché ai due banchi meridionali venisse tolto il diritto di emissione di cui avevano continuato a godere dopo il 1893, sebbene dopo questo anno i rapporti di collaborazione con l’istituto maggiore fossero divenuti molto più stretti e fattivi che in passato.
In pratica con l'occupazione piemontese era stato immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia ) di raccogliere dal mercato le proprie monete d'oro per trasformarle in carta moneta secondo le leggi piemontesi, poiché in tal modo i Banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e sarebbero potuti diventare padroni di tutto il mercato finanziario italiano.
Quell'oro pian piano passò nelle casse piemontesi, nonostante la nuova banca d'Italia non risultasse averne nella sua riserva, nonostante appunto tutto quell'oro rastrellato al Sud. Si cercò di far confluire tutto quell'oro attraverso una via sociale, naturalmente, quella del finanziamento per la costituzione di imprese al nord, operato da banche, costituitesi per l'occasione come socie della banca d'Italia: Credito mobiliare di Torino, Banco sconto e sete di Torino, Cassa generale di Genova e Cassa di sconto di Torino.
Le ruberie operate e l'emissione non controllata della carta moneta ebbero come conseguenza che ne fu decretato già dal 1° maggio 1866, il corso forzoso: la lira di carta non poteva più essere cambiata in oro.5
La posizione della banca d'Italia subì profonde modificazioni ad opera di una serie di decreti-legge emanati negli anni 1926 e 1927, tra cui assume rilevante importanza quello n. 812 del 6/02/1926 che, unificando in capo alla Banca d'Italia il servizio di emissione dei biglietti di banca, stabilì la cessazione dell'analoga facoltà per il banco di Napoli ed il banco di Sicilia.6
Cosicché la Banca d'Italia assunse il monopolio dell'emissione dei biglietti di banca, rafforzando, anche con tale attribuzione, il ruolo di banca Centrale, cui era certamente predestinata fin dalla nascita.
L’ultimo stadio dell’evoluzione funzionale della Banca d’Italia si compì nel 1936, attraverso il R. D. L. 12/03/1936, n. 375 (convertito con modificazioni nella Legge 7 Marzo 1938, n. 441), e con il successivo statuto, approvato con R. D. 11/06/1936, n. 1067. Queste disposizioni legislative confermarono l'autonomia della Banca d'Italia, alla quale, per la prima volta, fu esplicitamente riconosciuta la qualifica di <<Istituto di Diritto Pubblico>>, nonostante che fosse sostanzialmente mantenuta la sua organizzazione interna originaria, che, come si è accennato, era quella di una società anonima (oggi "società per azioni").
Da allora l’autonomia della Banca d’Italia è cresciuta sempre più nel tempo, fino ad arrivare alla legge 82/1992, che attribuisce al Governatore della Banca d’Italia il potere di disporre variazioni del tasso ufficiale di sconto senza concordarle più con il Ministro del Tesoro. Lo status giuridico di ente pubblico esclude la possibilità di fallimento della Banca d'Italia e, tramite il suo intervento nei casi di crisi, la possibilità di fallimento delle banche private, garantendo la stabilità dell'intero sistema bancario italiano.
Salvatore Tamburro
Note:
1 - DE MATTIA R , Storia del capitale della Banca d’Italia e degli istituti predecessori, Banca d’Italia, Roma (1977)
2 - La Nazionale sarda era nata dalla fine del 1849 dall’attuazione di un disegno unificatorio alla cui accettazione aveva concorso Cavour sia presso gli amministratori e i principali azionisti che presso il governo piemontese, prima ancora che egli stesso ne entrasse a far parte.
3 - Circa il mutamento della denominazione sociale le fonti tacciono. Non vi fu un provvedimento specifico che sancì il cambio della ragione sociale.
4 - Nel 1870, con l’ingresso degli italiani in Roma, la Banca degli Stati Pontifici (fondata nel 1850) cambiò la ragione sociale in Banca Romana: la sua liquidazione , decretata nel 1893, fu affidata alla nuova Banca d’Italia, che la concluse nel 1912.
5 - Tratto da http://www.cronologia.it/mondo28s.htm
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