Alfonso Gianni, 04 febbraio 2012, 21:36
Politica - Ci piacerebbe chiedere al premier Mario Monti se, tra un'esternazione e l'altra sull'articolo 18, trova il tempo di rendere noto al paese quale è l'esatta quantità dei titoli derivati in possesso del nostro Tesoro e se è consapevole dei pericoli che ne derivano. Mentre da noi tutto o quasi tace, altrove ce se ne occupa attivamente. L'autorevole International Financing Review, sabato scorso, ha pubblicato un interessante articoletto in proposito
A volte spiace non essere più parlamentare. Non solo per lo stipendio - direbbero i più smaliziati - oggetto dei desideri e delle reprimende di molti, ma perché non è possibile avvalersi dello strumento del sindacato parlamentare, ovvero le interrogazioni e le interpellanze. Uno strumento spesso usato del tutto a sproposito - par farsi vedere e sentire - ma che se bene indirizzato può essere utile per una puntuta critica politica.
In particolare mi piacerebbe chiedere al premier Mario Monti se, tra un'esternazione a l'altra sull'articolo 18, trova il tempo di rendere noto al paese quale è l'esatta quantità dei titoli derivati in possesso del nostro Tesoro. Mentre da noi tutto o quasi tace, altrove ce se ne occupa attivamente. L'autorevole International Financing Review, sabato scorso, ha pubblicato un interessante articoletto che ha suscitato solo l'attenzione dei giornalisti specialisti in materia finanziaria, tra questi Niccolò Cavalli.
L'IFR ricorda che il Tesoro italiano ha usato massicciamente i derivati in particolare tra il 1998 e il 2008. Si tratta in particolare dei cross currency swap e degli interest rate swap, utilizzati largamente dagli enti pubblici. Di per sé la cosa non suscita stupore. Del resto i derivati hanno invaso negli anni zero il mercato finanziario internazionale. Come ho già detto in altre occasioni - ma giova ricordarlo ancora - il valore nozionale dei titoli over the counter, ovvero quelli trattati fuori Borsa - o, come dice Luciano Gallino, quasi fossero merendine sotto i banchi di scuola - aveva raggiunto nell'estate del 2008 una cifra pari a 12 volte il Pil mondiale. Va altresì notato che dopo la flessione del biennio 2009-2010, il loro volume in circolazione è tornato allegramente ad aumentare, per posizionarsi probabilmente poco al di sotto dei valori del 2008.
Ovvero pare che nulla di questa terribile crisi sia servito da insegnamento. Come il neoliberismo ha ripreso saldamente in mano lo scettro del comando (Colin Crouch infatti dedica il suo ultimo libro a spiegare "perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo"), così la finanza allegra è tornata a danzare su una bolla di proporzioni gigantesche, pronta a scoppiare da un momento all'altro.
Gli analisti internazionali sostengono che l'Italia è in possesso di derivati per un valore complessivo di 30 miliardi di euro: il che significherebbe che l'Italia è il più grande utilizzatore sovrano di questi strumenti finanziari. Fino al 2006 le cose non sono andate male. Il nostro paese ci ha guadagnato, ma dopo il 2006 la tendenza si è invertita. Il che mette a serio rischio la reale sostenibilità del nostro debito, al di là dei recenti ottimismi generati dalla discesa dello spread.
Il caso che IFR solleva meriterebbe una risposta puntuale. Infatti secondo questa rivista solitamente bene informata, la Morgan Stanley avrebbe recentemente ridotto la sua esposizione in swap nei confronti dell'Italia di circa 3,4 miliardi di dollari. I casi sono a questo punto due. Se l'interest rate swap fosse stato ristrutturato e assegnato ad altre banche non vi sarebbe stato esborso da parte del nostro paese. Ma se così non fosse, e negli ambienti finanziari questa è l'ipotesi più accreditata, per l'Italia l'operazione avrebbe avuto un costo non inferiore ai 2 miliardi di euro, cifra, di questi tempi, di tutto rispetto.
Ma il caso della Morgan Stanley è solo uno fra tanti altri possibili. Infatti l'Autorità bancaria europea (la famosa Eba nell'acronimo inglese) sostiene che l'Italia è esposta per 5,1 miliardi di euro in swap nei confronti delle banche dell'eurozona, ovvero al netto di quelle statunitensi, svizzere e inglesi. Se si considerassero anche queste ultime l'esposizione italiana sul fronte dei derivati sarebbe ben maggiore. Se tutti facessero come la Morgan Stanley che cosa succederebbe? Quanti miliardi di euro dovrebbe sborsare il nostro paese?
Ecco una domanda cui Mario Monti dovrebbe rispondere, perché dalla sua risposta dipende l'esatta conoscenza del rischio cui è appeso il nostro paese. C'è qualche parlamentare in carica disponibile a porgli un simile quesito, magari in un question time, così si potrebbe sentire e vedere la risposta in diretta Tv?
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