lunedì 5 marzo 2012

Euro: appello francese per concertarne l'uscita

Per una rimozione concertata dell’euro

12 economisti pubblicano un testo su Le Monde, dove presentano un quadro tecnico del "che fare" dopo il crollo dell'euro, perché secondo loro sarebbe meglio che i politici cominciassero a preparare la via d'uscita, piuttosto che aspettare un'implosione interna incontrollata.

13 febbraio 2012


La moneta unica Europea è destinata, prima o poi, a un’esplosione incontrollata.
Pertanto, per evitare questo disastro, i firmatari di questo testo suggeriscono che sia avviata una concertazione Europea al  fine della necessaria rimozione dell’euro. “I dodici economisti firmatari, tra cui Jean-Luc Gréau , Jacques Sapir e Jean-Claude Werrebrouck, ritenendo che : “l’ostinazione dei governanti a sprofondare, a tappe forzate, nell’impasse dell’euro, può solo portare ad un generale peggioramento della situazione economica in Europa”, propongono qui un piano per uscire dall’euro. 

di Gabriel Colletis, Alain Cotta, Jean-Pierre Gérard, Jean-Luc Gréau, Roland Hureaux, Gérard Lafay, Philippe Murer, Laurent Pinsolle, Claude Rochet, Jacques Sapir, Philippe Villin, Jean-Claude Werrebrouck, Le Monde, 23 dicembre 2011


La vera causa della crisi dell’euro, è l’inesorabile aumento del debito estero in metà dei paesi dell’area. La necessità di utilizzare capitali esteri dimostra che la questione critica è che le loro risorse proprie non sono state utilizzate abbastanza per sviluppare le capacità produttive dei paesi interessati e renderli competitivi. Se si sottraggono i crediti di ogni paese, il debito estero netto interessa i due terzi della zona euro.

I più colpiti sono i paesi meno competitivi, come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Irlanda. Un secondo gruppo comprende l’Italia, dove il debito estero netto è del 27%, e la Francia, il cui 30% è dovuto principalmente ad un accumulo di deflussi di investimenti diretti all’estero; per la Finlandia e l’Austria, l’indebitamento estero netto rimane minimo, rappresentando meno dell’8% del loro PIL. Non solo gli altri paesi della zona euro non ne sono interessati, ma al contrario appaiono dei crediti esteri netti per i Paesi Bassi, il Belgio, il Lussemburgo, e in particolare per la Germania.



In queste condizioni, l’ostinazione dei governanti a sprofondare, a tappe forzate, nell’impasse dell’euro può solo portare ad un generale peggioramento della situazione economica in Europa. Sebbene i nostri concorrenti Statunitensi e Cinesi abbiano interesse alla sopravvivenza della moneta unica Europea, essa è destinata, prima o poi, a un’esplosione incontrollata. Pertanto, per evitare questo disastro, i firmatari di questo testo suggeriscono che sia avviata una concertazione tra i paesi Europei al fine di arrivare alla necessaria rimozione dell’euro. Questo può essere fatto secondo le sei seguenti modalità.

1) Nei singoli paesi dell’area saranno ricreate delle valute nazionali. Ciò avverrà scambiando un euro attuale contro un’unità della nuova moneta. Per i biglietti, occorrerà semplicemente un breve periodo di transizione, durante il quale sulle vecchie banconote – emesse da ciascuna banca nazionale, ora recanti un segno distintivo per paese (contrassegnate con “U” per la Francia) – sarà impresso un timbro, prima che venga stampata una quantità sufficiente di nuove banconote in vista dello scambio. Per le monete, lo scambio potrà essere fatto molto rapidamente, poiché hanno già una faccia nazionale.

2) Alla data di uscita dall’euro, i tassi di cambio delle nuove valute nazionali tra loro, saranno definiti di comune accordo, per ripristinare normali rapporti commerciali. Ecco l’unico modo valido per risolvere il problema principale, che è il debito estero netto. Si prenderà in considerazione l’aumento dei prezzi in ciascun paese dopo la creazione dell’euro, e la situazione del commercio estero. Le svalutazioni e le rivalutazioni necessarie saranno definite nei confronti di una unità di conto Europea, il cui valore internazionale sarà calcolato come media ponderata dei tassi di cambio delle valute nazionali, come è avvenuto per il vecchio écu.

3) All’interno di ogni paese rimarranno invariati, alla data dell’uscita, i prezzi di beni e servizi, nonché i valori delle attività e dei conti bancari. La scomparsa dell’euro farà sì che il debito pubblico di ciascuno Stato sia convertito nella moneta nazionale corrispondente, a prescindere dei creditori, con esclusione di coloro che detengono dei crediti commerciali. Al contrario, i debiti esteri di operatori privati, come i loro crediti commerciali esteri, saranno convertiti nell’unità di conto Europea. Sebbene questa soluzione favorisca i paesi forti e discrimini i paesi più deboli, è l’unica soluzione realistica per garantire la sostenibilità dei contratti precedenti.

4) Senza che ci sia la necessità di istituire controlli sui cambi, tutti i governi dichiareranno la chiusura delle banche per un periodo limitato. Chiuderanno temporaneamente le banche per determinare quali banche sono vitali e quelle che dovranno rivolgersi alla banca centrale. Durante questo periodo le quotazioni saranno sospese. La soluzione sarà basata sul principio universale che la garanzia sia a carico delle banche centrali, che rinunceranno alla propria indipendenza e ritorneranno agli statuti degli anni ’70. Lo Stato deve proteggere i depositanti, se necessario, prendendo il controllo di una parte del sistema bancario.

5) I tassi di cambio nominali delle valute nazionali rimarranno fissi durante questo stesso periodo, secondo le parità decise di comune accordo. Poi ci sarà una fluttuazione concertata sul mercato, entro una banda di oscillazione del 10%. Potrebbe quindi essere studiato un nuovo sistema monetario Europeo, al fine di stabilizzare i tassi di cambio reali.

6) Questa operazione sarebbe facilitata se, prima della rimozione dell’euro, il suo tasso di cambio avesse perso terreno nei confronti delle altre valute. La fine di un euro alto probabilmente non sarà accettata da tutti i partners o dalla Banca Centrale Europea, ma la Francia potrebbe contribuirvi in anticipo abrogando la legge Giscard del 1973. Quest’ultima, che ha vietato il finanziamento del debito pubblico da parte della banca centrale, era anche stata consolidata per la prima volta nel trattato di Maastricht, e poi una seconda volta nel trattato di Lisbona.


In futuro, crediamo che non possiamo semplicemente ignorare i problemi che sono stati mascherati dalla crisi dell’euro, in particolare la creazione privata della moneta e la deriva mondiale dei sistemi bancari, conseguenza dell’abolizione del Glass-Steagall Act [1].


(1) Adottata negli Stati Uniti nel 1933, dopo la crisi del 1929 (e abolita nel 1999), la legislazione bancaria restrittiva Glass-Steagall Act ha separato le banche di deposito dalle banche d’investimento.

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