Il sequestro è stato emesso dalla Corte d’Appello di Roma su rogatoria della Corte di Giustizia dell’Aia, che oltre al mandato di cattura internazionale per il leader libico e gli altri due soggetti, aveva emesso una richiesta di individuazione dei beni a loro riconducibili. Quanto sequestrato dal Nucleo di polizia tributaria di Roma della Gdf era già stato ‘congelato’ in seguito a 2 risoluzioni dell’Onu (febbraio-marzo 2011) e al regolamento dell’Ue, che dava attuazione ai provvedimenti delle Nazioni Unite.
Per ricostruire i beni riconducibili a Gheddafi, i finanzieri hanno svolto accertamenti tramite le proprie banche dati ma anche attraverso il ministero dell’Economia e la Banca d’Italia. Una volta conclusi gli accertamenti, il consigliere della Corte d’Appello, Domenico Massimo Miceli, ha firmato il provvedimento di sequestro. Visto il coinvolgimento di società quotate in borsa, la Consob è stata informata dell’attività in corso.
Un’attività che ha portato al sequestro dell’1,256 per cento di Unicredit (pari ad un valore di 611 milioni di euro), il 2 per cento di Finmeccanica e l’ 1,5 per cento della Juventus. Non solo. L’ex Rais deteneva anche lo 0,58 per cento di Eni, pari a 410 milioni, e lo 0,33 per cento di alcune società del gruppo Fiat, come Fiat Spa e Fiat Industrial, pure sequestrate. Oltre alle quote azionarie, le Fiamme Gialle hanno apposto i sigilli anche a 150 ettari di terreno nell’isola di Pantelleria, due moto (una Harley Davidson e una Yamaha) e un appartamento in via Sardegna, a Roma. Diversi anche i conti correnti posti sotto sequestro: il deposito più consistente, 650mila euro in titoli, è quello presso la filiale di Roma della Ubae Bank, una joint venture italo-libica.
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