Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-07107
Atto n. 4-07107
Atto n. 4-07107
Pubblicato il 15 marzo 2012
Seduta n. 693
Seduta n. 693
LANNUTTI – Al Ministro dell’economia e delle finanze. -
Premesso che:
scriveva Federico Rampini in un lungo articolo su “Affari & Finanza” di “la Repubblica” il 22 febbraio 2010, quando la crisi greca era ancora gestibile: «Ci mancava solo la Grecia. Fra tutte le catastrofi e le nefandezze associate al nome della Goldman Sachs, ora si è aggiunta anche questa. La bancarotta sovrana che minaccia uno Stato membro dell’Eurozona, e mette a dura prova la tenuta e la credibilità dell’Unione monetaria, ora coinvolge in qualche modo anche il colosso di Wall Street.
Il Governo di Atene ha dovuto giustificare un “currency swap” molto sospetto, il cui montaggio finanziario fu curato dalla Goldman Sachs, e che avrebbe mascherato la vera entità del deficit pubblico. È l’ultimo scandalo di una lunga serie. Goldman Sachs implicata nel crac di Aig. Goldman Sachs destinataria di aiuti pubblici non dichiarati. Goldman Sachs e la vergogna dei superbonus. Goldman Sachs e le troppe entrature nell’Amministrazione di Washington. Su tutte le banche di Wall Street grava una cappa pesante d’impopolarità. Ma nessuna riesce a condensare su di sé da sola tanto prestigio e tanto odio come la Goldman Sachs. (…) Le si attribuisce tutto. Onnipotenza e trame diaboliche. Infallibilità e hubris. Avidità e professionalità. Dal disastro del 2007/2009 è uscita perfino rafforzata: sia perché il numero delle concorrenti si è assottigliato, sia perché la Goldman Sachs sembra aver visto arrivare la crisi un po’ prima delle altre (ma anche di questo le si fa una colpa, e non a torto). L’indignazione dell’opinione pubblica per le responsabilità di Wall Street nella crisi, per l’arroganza e l’impunità dei banchieri, ha spinto Barack Obama a far proprio il progetto radicale di riforma sponsorizzato da Paul Volcker, teso a ridimensionarne le attività speculative»;
Goldman Sachs, una banca di affari al centro di ogni scandalo finanziario che avviene in ogni parte del mondo, accusata di aver manipolato, con gli strumenti derivati, perfino i valori delle materie prime e del petrolio ponendo il prezzo del barile ad un target di 150 dollari che raggiunse negli anni scorsi facendole conseguire utili enormi e stock option di centinaia di milioni di dollari per i suoimanager, che a quanto risulta all’interrogante continua ad essere la banca di riferimento per il Ministero dell’economia dopo aver arruolato alla sua causa l’ex direttore generale ed attuale presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ed altri importantissimi uomini di Governo in modo trasversale, non aveva mai dovuto subire l’onta di una pesante accusa da parte di uno degli importanti manager;
in un articolo de “Il Sole-24 ore” del 14 marzo 2012, intitolato «Goldman Sachs, dirigente lascia e accusa: “Banca senza morale, fa soldi contro gli interessi dei clienti”», descrive un ambiente «tossico e distruttivo, dove l’etica viene accantonata e i profitti continuano ad essere messi al di sopra di tutto, anche degli interessi dei clienti. Così Greg Smith – dimessosi da direttore esecutivo di Goldman Sachs, responsabile dei prodotti derivati in Europa – descrive il clima tossico che si respira in quella che è una delle più grandi banche d’affari al mondo. Un declino morale. “Oggi è il mio ultimo giorno a Goldman Sachs”. Comincia così la lettera apparsa sul New York Times con cui Smith sottolinea come “nel modo in cui la banca funziona e pensa di fare soldi l’interesse dei clienti continua a passare in secondo piano”. Poi l’attacco ai vertici di Goldman Sachs, il ceo Lloyd Blankfein e il presidentre Gary Cohn: “Quando i libri di storia saranno riscritti su Goldman potranno mostrare come hanno lasciato cadere la cultura dell’impresa mentre loro tenevano le redini del gruppo. E un declino dello spessore morale dell’impresa – avverte Smith – nel lungo termine rappresenta una serissima minaccia per la sua sopravvivenza”»;
considerato che:
su “la Repubblica” del 14 marzo, Angelo Aquaro rincara la dose sul manager che accusa Goldman Sachs come un ambiente tossico e distruttivo: «Greg Smith il numero uno degli “equity derivatives business” lascia la banca d’affari: “Gli interessi dei clienti continuano a essere messi da parte dal modo con cui l’istituto opera e pensa per fare soldi”. Secca la replica: “Non è il modo in cui lavoriamo”»;
si legge inoltre: «Mi dispiace devo andare, il mio posto non può più essere qua. Non s’era mai vista una così drammatica, violenta, pubblica separazione tra una megamanager e la sua banca. E che banca, che manager. L’istituto è la prestigiosissima Goldman Sachs, la banca d’affari più famosa d’America che nell’ultimo secolo e mezzo ha vissuto sulla propria pelle la clamorosa trasformazione da motrice dello sviluppo a rappresentazione vivente dell’”ingordigia” messa all’indice da Occupy Wall Street e dal “Wall Street” hollywoodiano di Oliver Stone. E lui, Greg Smith, non solo è il direttore esecutivo ma il capo degli “equity derivatives business” per l’Europa, e il Medio Oriente e l’Africa. Proprio “equity” è la parola che stride con il comportamento della banca odierna. “Oggi è il mio ultimo giorno a Goldman Sachs”: comincia così l’atto d’accusa che il supermanager ha affidato in prima persona alle colonne del New York Times, il giornale che più di altri negli ultimi anni è andato a scavare nei segreti della banca d’affari del ceo Lloyd Blankfein. E proprio Lloyd “la Piovra”, secondo la celebre definizione di Matt Taibbi, il re dei reporter d’inchiesta di “Rolling Stone”, è tra i responsabili del naufragio etico che il supermanager indica per nome e cognome. “Credo di aver lavorato in quest’azienda abbastanza per capire la traiettoria della sua cultura, della sua gente e della sua identità. E onestamente posso dire che oggi l’ambiente è più tossico e distruttivo che mai. Per dirla più semplicemente, gli interessi dei clienti continuano a essere messi da parte dal modo con cui l’istituto opera e pensa per fare soldi”: parole durissime. Il dottor Smith è stato per anni addirittura il reclutatore di questi signori che lui stesso adesso descrive senza scrupoli. “Ho capito che era il tempo di lasciare quando ho realizzato che non avrei potuto più guardare gli studenti negli occhi e dire che gran bel posto è questo per lavorarci”. La colpa? Ha due nomi e due cognomi. “Quando i libri di storia verranno scritti su Goldman Sachs, spiegheranno che l’attuale Ceo, Lloyd Blankfein, e il presidente, Gary D. Coh, non hanno più tenuto conto della cultura di questa azienda. E io credo davvero che il declino nella fibra morale dell’azienda rappresenti la più grave minaccia per la sua sopravvivenza”. La risposta della banca si è fatta subito sentire a poche ore dalla messa in stampa del New York Times. La campanella di Wall Street era appena suonata quando un portavoce di Goldman ha chiarito che la lettera aperta “non riflette il modo in cui conduciamo gli affari. Nel nostro punto di vista, l’azienda può avere successo soltanto quando ha successo il cliente”. Questione, appunto, di punti di vista. Non è un’opinione scritta sul New York Times, però, ma un’inchiesta messa nero su bianco dalla Sec, la Consob di qui, quella che accusa, per esempio, Goldman Sachs di aver costruito e venduto investimenti-bidone, pensati cioè per far perdere il cliente e vincere la banca: un’accusa di truffa datata aprile 2010 che è costata alla banca mezzo miliardo di dollari di multa come patteggiamento, oltre alla disonorevole sfilata davanti ai membri del congresso. Come se non bastasse, la truffa era stata confezionata proprio su quegli investimenti legati ai mutui a rischio che hanno costruito il castello di carte che ha portato nel 2008 al crollo di Wall Street e dell’intera economia globale. Ecco perché la denuncia del dottor Smith rischia adesso di avere una risonanza che va ben oltre il mondo comunque dorato delle banche d’affari e dei loro clienti. Adesso che l’economia sta finalmente ripartendo in tanti si chiedono se davvero tutto questo disastro sarebbe stato evitabile. E com’è possibile che mentre milioni di americani – e di poveri cristi di mezzo mondo – finivano sul lastrico, a Wall Street i soliti noti continuavano a macinare profitti su profitti. A partire da una certa Goldman Sachs»,
si chiede di sapere:
se al Governo risulti se l’atto d’accusa che il supermanager ha affidato alle colonne del “New York Times”, il giornale che più di altri è andato a scavare nei segreti della banca d’affari dell’amministratore delegato Lloyd Blankfein, definito “la Piovra”, renda compatibile la banca d’affari come riferimento del Ministero dell’economia;
se il Governo non ritenga che “l’ambiente tossico e distruttivo”, che mette da parte gli interessi dei clienti con la finalità di fare soldi e contribuire in tal modo alla crisi sistemica, come comprovato dalle accuse durissime del dottor Smith che per anni ha avuto il compito di reclutare veri e propri “squali” della finanza privi di scrupoli, con l’attuale amministratore delegato, Lloyd Blankfein, e il presidente, Gary D. Coh, metta a repentaglio la reputazione del Governo che ispira la sua azione alla ricerca di principi etici per risanare il Paese;
se non ritenga che Goldman Sachs, che ha impostato una strategia di vendita e di costruzione di titoli tossici ed investimenti in perdita per i clienti e remunerativi sempre per la banca, con l’accusa di truffa nell’aprile 2010, costata alla banca mezzo miliardo di dollari di multa come patteggiamento, oltre alla disonorevole sfilata davanti ai membri del Congresso americano, con l’aggravante di aver confezionato investimenti truffaldini legati ai mutui subprimeche hanno edificato una piramide di carta e di finanza tossica che ha portato nel 2008 al crollo di Wall Street e dell’intera economia globale, non debba indurre il Governo a risolvere qualsiasi rapporto contrattuale con questa banca di affari sporchi;
se il Governo non debba porre all’ordine del giorno in sede internazionale una netta separazione tra banche di affari che operano nella finanza derivata creando bolle speculative e piramidi finanziarie edificate sulla sabbia e banche che intermediano in maniera tradizionale il credito ed il risparmio, evitando che si possa mettere a rischio, con l’azzardo morale dei banchieri, il denaro dei depositanti;
se, alla luce delle ultime pesanti accuse mosse da un altissimo dirigente reclutatore di dipendenti mossi dal cinismo e privi di qualsivoglia moralità, non abbia il dovere di porre al prossimo vertice europeo ed internazionale dei Ministri economici la questione di banche di affari e di truffa che hanno conseguito enormi profitti, obbligando i Governi a dissanguarsi con migliaia di miliardi di dollari di stanziamenti di denari pubblici per salvare le banche private, che, oltre ad aver impoverito milioni di famiglie e falcidiato 40 milioni di posti di lavoro dal 2007, hanno messo a rischio la stabilità degli Stati e la ricchezza delle nazioni.
Nessun commento:
Posta un commento