martedì 6 marzo 2012

Viaggio nella City

Viaggio nella City, dove nessuno tasserà mai la finanza
di Fabrizio Goria - 05/03/2012
Fonte: megachip

citylondra 20120305
Un interessante reportage sulla finanza internazionale e i suoi protagonisti. La crisi dell'eurozona vista dall'interno del più potente centro borsistico e finanziario del mondo: la City di Londra.

Camminare per le vie della City of London, il borough più importante di Londra, è fondamentale per capire come mai l’eurozona è in crisi. I banker in abito sartoriale passeggiano speditamente controllando le quotazioni del FTSE100, il principale indice della London stock exchange, su BlackBerry o iPhone, mentre leggono con curiosità le notizie che arrivano dal continente. Tutti parlano della tassa sulle transazioni finanziarie, che non va confusa con Tobin Tax. Quella ideata dal Premio Nobel James Tobin nel 1972 è infatti una tassa sulle transazioni valutarie.
La Financial transaction tax (Ftt) fu pensata originariamente da John Maynard Keynes nel 1936, ma al di fuori della City sembra che nessuno se lo ricordi. Quello che importa è che la Ftt fa paura. Nelle caffetterie, nella Tube, nei pub, nell’aeroporto London City, diviso fra i lavori per le Olimpiadi e i trolley dei business men che vanno verso Canary Wharf. La Francia la introdurrà, mentre l’Europa sta accelerando sempre di più in questa direzione. «Lasciamoli fare, che peggiorino la loro situazione come meglio desiderano, ma che non provino a metterci in mezzo», dice a Linkiesta Patrick, managing director dei Lloyd’s. Un ragionamento comune a tutti quelli che lavorano nel Miglio quadrato.
La storia della tassa sulle transazioni finanziarie è travagliata. Keynes la pensò come un palliativo per evitare che l’asimmetria informativa potesse creare situazioni di eccessiva volatilità sulle varie classi di asset. Era il 1933 quando Keynes penso per la prima volta in modo concreto a un modo per limitare le oscillazioni di Borsa. Tre anni dopo, propose a Wall Street, complice la sua grande reputazione internazionale, un’imposta su ogni transazione.L’obiettivo era semplice: se gli scambi costano di più, il disincentivo alle vendite allo scoperto è introdotto. Nonostante le premesse teoriche, non funzionò mai.
Nel 1972 James Tobin pensò invece a un’imposta sulle transazioni valutarie. «Se dopo 40 anni non è mai stata introdotta un motivo ci sarà», ci dice sorridendo Patrick. Non è facile capire il motivo. Ogni giorno avvengono scambi valutari per circa 4mila miliardi di dollari, secondo CLS Bank, la più grande clearing house globale di questo mercato. E gli interessi a mantenere lo status quo sono troppi.
Secondo un recente studio di Ernst & Young, il costo della Ftt per il sistema europeo potrebbe essere di circa 50 miliardi di euro. Fra mancati ricavi e altri costi indiretti, la Financial transaction tax potrebbe essere l’ultimo tassello verso una completa fuga di capitali dall’Europa. «Se noi introducessimo la Ftt, in poco tempo gli investitori andrebbero verso lidi più sicuri come Singapore o l’Australia, limitando le operazioni dalla City, ma non i tanto vituperati “rischi speculativi” che tanto fanno paura all’Europa», ci spiega James, trader sul fixed income di Threadneedle Investments.
Il Regno Unito non è contro l’Europa, è contro l’immobilismo. Per una City che non dorme mai, il triste balletto intorno alla Grecia e al suo fallimento è un colpo al cuore. Mike è il gestore di uno dei maggiori fondi hedge inglesi e non nasconde il suo disappunto per come è stata gestita l’emergenza ellenica. «Si poteva e si doveva risolvere ben prima. La Grecia è fallita da tempo, ma Germania e Francia la stanno trattando come si può trattare un malato terminale. Continuano a iniettare denaro in lei, ma è inutile. Tempo sei mesi e tutto tornerà come prima o peggio di prima», dice a Linkiesta. Facile pensare che sia così, data la piega che ha intrapreso la crisi dell’euro.
Eppure, nell’eurozona avanza l’idea che la soluzione a tutti i mali sia la Financial transaction tax. «Non serve a nulla», taglia corto François, giovane trader francese per Natixis. Nel palazzo londinese con vista su St.Paul e Tate, è sicuro di ciò che dice. Il suo abito Principe di Galles tradisce un gusto non tipico agli inglesi, anche se il modus vivendi è simile. «Che senso ha tassare le transazioni finanziarie? Il problema è solo uno: migliorare il rapporto fra intermediari finanziari e minimizzare il rischio di frode», ci dice. Il suo ragionamento è semplice. Invece che limitare le transazioni tassandole, meglio controllare che non ci possano essere ulteriori casi di insider trading o truffe come quella di Bernie Madoff, l’ex numero uno del Nasdaq che creò uno Schema Ponzi da 50 miliardi di dollari. «Pensiamo ai recenti casi di UBS o MF Global: è colpa del sistema bancario o dei singoli? Sono i singoli che mandano in malora il nostro mondo, non il sistema, che continua a far andare avanti i Paesi», dice con una punta di stizza François.
Nonostante siano quasi tutti contrari, i banchieri della City sono sicuri che la Financial transaction tax sarà introdotta. Linkiesta ha incrociato Tim, numero uno di uno dei principali broker londinesi, in una caffetteria vicina a Bank, la fermata della metropolitana più simbolica della City. Riemergi dal sottosuolo e di fronte hai la Bank of England, così imponente e rispettata. Anche quando piove, loro, i banker, non usano l’ombrello: «È un vezzo, anche se ogni tanto dà fastidio», dice Tim, che gestisce un impero basato proprio sulle commissioni sulle transazioni finanziarie. Eppure, non sembra spaventato dalla possibilità di una Ftt: «Per conto mio, l’eurozona può fare ciò che vuole, qui non verrà mai introdotto quell’inutile balzello. Loro sanno che il 70% delle transazioni passano da Londra e sanno che noi non diremo mai di si, quindi non ci sono problemi».
Mentre in Francia il candidato socialista all’Eliseo François Hollande vuole una maggiore tassazione per i super ricchi, nella City of London si fanno i conti coi rischi collaterali della crisi dell’eurozona. Sono mesi che il governatore della Bank of England, Mervyn King, sta mettendo in guardia Westminster e Downing Street dalla possibilità di un collasso dell’euro. «I piani di contingenza sono già pronti», è solito ripetere King. E anche la Grecia, non fa paura. Jeffrey è un analista di Royal Bank of Scotland e non ha dubbi: «In questo modo l’eurozona non ha senso, la Grecia noi la diamo già fuori e con loro è possibile che escano altri Paesi, magari anche insospettabili».
Fra molto populismo e poca concretezza, quindi, la storia della Financial transaction tax sta andando avanti. Il prossimo passo sarà quello della Francia. «Mentre Parigi spinge per andare contro quella che definiscono speculazione, noi continuiamo a fare affari. Forse i mangia-rane dovrebbero imparare da noi, invece che piangersi addosso come sanno fare benissimo», commenta acido Tim.La guerra fra Regno Unito e Francia non è finita. Si è solo traslata di piano. E Londra sembra essere, ora più come mai, imbattibile.

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