Sentite le dichiarazioni di Marchionne, Passera ha detto che vuole «capirne le implicazioni». Dunque, per lui, un dirigente che ha promesso 20 miliardi diinvestimento, ne ha effettuato uno, e poi dichiara che degli altri 19 non se ne parla proprio, è stato poco chiaro. Bisogna capire meglio cosa vuol dire. D’altra parte Passera ha assicurato all’ad che «non è pensabile che la politica si sostituisca alle (sue) scelte imprenditoriali e di investimento». Quanto alla ministra Fornero, ha fornito alcune datedisponibili per incontrarlo. «Non ho il potere di convocare l’amministratore delegato di una grande azienda», ha fatto sapere. Però anche lei vuole «approfondire con Marchionne cosa ha in mente per i suoi piani di investimento per l’occupazione».
Dinanzi a una simile remissività dei ministri e dello stesso presidente del Consiglio, e alle difficoltà che denunciano nel comprendere l’ad della Fiat, c’è dachiedersi se hanno capito, loro, il nocciolo della questione: sono in gioco, entro pochi mesi, decine di migliaia di posti di lavoro. Se lo capissero, la telefonata dafare sarebbe di questo tipo: «Dottor Marchionne, il governo consideragravissime le sue dichiarazioni circa le produzioni Fiat in Italia. Pertanto laaspettiamo domattina alle 8 precise a palazzo Chigi. Dovrà spiegarci con dati e cifre solide come la sua società intende operare nel prossimo futuro in questo Paese. Il governo non tollererà informazioni ambigue né generiche espressionidi intenti». A parte ministri che non capiscono e telefonate che non si faranno, Marchionne ha pure dei sostenitori. C’è la crisi, essi rammentano, che comprime le venditedi auto. I salari lordi, tasse e contributi inclusi, in Italia sono molto alti. Laproduttività dei nostri operai è scarsa. In realtà le cose non stanno così. D’accordo che la crisi ha ridotto le vendite di auto in Europa di oltre un quarto, rispetto ai 16,8 milioni di vetture del 2007. Ma ciò non spiega perché l’Italia, che ha nel gruppo Fiat l’unico produttore di autoveicoli, sia ormai soltanto il settimo produttore europeo, dopo essere stata a lungo il secondo o il terzo. Nel 2011, quella che fu una grande potenza automobilistica ha prodotto meno di 0,8 milioni di autoveicoli (vetture più veicoli commerciali leggeri). La sola Polonia hasuperato di parecchio tale cifra. Poi ci sono, a crescere, la Repubblica Ceca, con 1,2 milioni di unità; il Regno Unito (1,5 milioni); la Francia (2,3); la Spagna(2,4); infine la Germania, con 6,3 milioni in totale. Per questi Paesi sembra che la crisi sia un’altra cosa.
Del pari inconsistenti sono le altre affermazioni per cui in Italia non conviene produrre auto. Nello stesso settore, i salari lordi dei lavoratori dell’auto sono piùalti in Francia, e più alti ancora lo sono nel Regno Unito e in Germania. Quantoalla produttività, basta accostare i dati in modo appropriato. Evitando – ad esempio – di comparare stabilimenti esteri dove si lavora sei giorni la settimanatutti i mesi, tipo quello polacco di Tichy, con Mirafiori, dove da anni si lavoraqualche giorno al mese. Si scopre così che la produttività per ora effettivamente lavorata in Italia è analoga a quella di molti impianti stranieri.
In tale quadro di ministri simili al cavaliere di Calvino, inesistenti per quantoattiene alla questione Fiat (ma anche, duole dire, per altri casi recenti), e dicommentatori sovente poco o male informati, spiccano le critiche di un imprenditore, Diego Della Valle, alle due massime cariche di Fiat, l’Ad Marchionne e il presidente Elkann. Ha detto, in soldoni, che la colpa di quello che sta accadendo alla società del Lingotto è tutta loro. Pare difficile dargli torto. Se un’impresa si ritrova in basso nelle classifiche europee, dopo essere stata per decenni in prima fila, chiunque mastichi un poco di questioni industriali e manageriali non può fare a meno di pensare che il suo massimo dirigente, al governo di essa ormai dal lontano 2004, qualche responsabilità ce l’abbia. Siano queste da cercare nell’ambito delle competenze – Marchionne non è un uomo dell’industria, viene dalla finanza – oppure di un disegno volto a trasferire il peso produttivo dell’impresa verso altri lidi per i più diversi motivi.
Semmai si potrebbe obbiettare a Della Valle che al punto in cui siamo arrivati le critiche dovrebbero venir rivolte in maggior misura agli azionisti, in primo luogoalla famiglia che controlla finanziariamente la Fiat, più qualche altro grossoazionista che sta dalla sua parte, che non al dirigente di vertice. L’Ad in caricapotrebbe essere congedato anche domani. Ma questo non cambierebbe di per sé la posizione dei maggiori azionisti, i quali ormai da lungo tempo mostrano, non con quello che dicono bensì con le scelte che compiono, di considerare l’industriadell’auto come un intralcio alla loro ricerca di maggiori rendimenti per i capitalidi cui dispongono. |
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