Dipendenti Senato contro i tagli. La “sobria” casta degli stenografi a 287mila €
ROMA – Il dipendente del Senato non ci sta a passare per uno della Casta. E ci mancherebbe. Guadagna in media 150 mila euro l’anno e giustamente, visto che all’ultimo concorso per assistente parlamentare, per dire, ha dovuto passare una selezione durissima, 30 posti su 70 mila candidature. Poi, la sobrietà è il suo mestiere, non può nemmeno scioperare. Riunirsi per protestare e rivendicare i diritti acquisti, sobriamente, sì. E infatti ieri in Senato (17 settembre) 300 dipendenti su quasi 900 hanno tenuto la loro sobria assemblea.
Il dipendente del Senato contesta la diceria sul privilegio degli scatti automatici che rendono i loro stipendi sideralmente più alti delle corrispettive mansioni nel pubblico normale e nel privato. Una progressione economica che consente di moltiplicare per quattro l’entità della busta paga nella carriera lavorativa. Per esempio, al povero commesso del Senato non si può rimproverare il fatto che dai 38 mila euro iniziali finisca infine per prenderne 160 mila. Tanto più (lo dicono in coro Cgil, Cisl, Uil schierati a difesa del dipendente del Senato) che ha appena fatto il sacrificio di rinunciare all’aumento contrattuale che ogni tre anni è un atto dovuto. Non come qualcun altro. Si guardi piuttosto al dipendente della Camera che non ci ha mica rinunciato, lui.
Eppoi il dipendente del Senato non può ricorrere a giudici terzi, se qualcosa va storto e c’è una controversia decidono gli organi interni. Per questo ognuno dei 287 mila euro con cui lo stenografo del Senato arriva alla pensione è strameritato. Non è colpa del consigliere parlamentare se di scatto in scatto giunge automaticamente a fine carriera a mettere su un gruzzolo annuale di 417 mila euro. Il consigliere è un ruolo decisivo, gli emolumenti sono giustificati dalla delicatissima funzione e comunque gli scatti non è vero che siano così automatici: lo sono se fai bene il tuo lavoro, se sei disponibile, se hai spirito d’iniziativa, tutti parametri valutativi che altri ambiti lavorativi si sognano. Senza contare che il dipendente del Senato lavora già otto ore e mezzo e se va oltre lo straordinario non è previsto.
Se invidia e risentimento allignano nell’opinione pubblica ipereccitata è colpa dei politici, loro sì un monumento agli sprechi e ai privilegi. “Paghiamo la cattiva immagine della politica”, questa è la sintesi più efficace uscita dalla sobria riunione dei dipendenti del Senato. Il dipendente del Senato non piange il morto, non si lamenta e se lo fa lo fa sobriamente. Diciamo che per esempio non è d’accordo con l’assurda proposta del “questore” Aragna, parlamentare Pd, che un mese e mezzo fa aveva osato minacciare: “Se entro fine anno non si trova l’accordo sospenderemo la progressione economica per tutto il personale dipendente”. Il dipendente del Senato si è subito sistemato in posizione di sobria autotutela: lo scazzo automatico.
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