Per non precipitare nel baratro
di Roberto Fiorin - 17/09/2012Fonte: Arianna Editrice
La denuncia di una situazione mondiale ai limiti del fallimento sotto la pressione del neocapitalismo invasivo e totalizzante.
Un libro che affronta in maniera diretta e con un linguaggio facilmente comprensibile, nonostante gli argomenti economici, i temi di attualità legati al dominio del capitalismo. Tutto ciò è contenuto nel volume tradotto dal francese(Giuseppe Giaccio), intitolato Sull’orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, scritto da Alain de Benoist, scrittore, saggista e noto conferenziere. Il libro è stato presentato nella primavera scorsa a Sassuolo con viva e folta partecipazione di pubblico, che ha dimostrato grande interesse alle tematiche esposte, dato anche il forte impatto degli argomenti.. Infatti l’autore dimostra di avere concepito l’opera a seguito degli ultimi sviluppi della crisi finanziaria a partire dal 2008, incentrando poi gli interessi sui dati economici e sociali relativi agli anni 2010-11. Come confermano la nota dell’editore Eduardo Zarelli e la prefazione di Massimo Fini il mondo viene a trovarsi a un bivio, al di là del quale è ormai ineluttabile percorrere la strada aperta sul futuro, che faccia tabula rasa dell’attuale presente, fondato esclusivamente sul dominio del denaro. In particolare il Fini sottolinea che questa situazione è legata alle responsabilità dei governi, quando dichiara: “Metteranno[i governi] un altro po’ di futuro, cioè di denaro, in un futuro che non c’è, sperando che il loro illusionismo duri ancora un po’, fino a quando i protagonisti di questo sporco gioco saranno usciti di scena” (pag. 11). La responsabilità dei governanti è davvero enorme, ma alla luce delle scelte compiute diventa enormemente illusorio sperare in una volontà di cambiamento. E su questa condizione di dominio del denaro il De Benoist sviluppa l’intera analisi, che abbraccia momenti storici, aspetti economici ed elementi sociali. L’intreccio tra i vari segmenti è abbastanza congegnato senza tuttavia costituire impedimento alla comprensione del pensiero messo in campo. Dopo un capitolo incentrato sul valore di totem attribuito al denaro, quasi un corrispettivo del pensiero teologico intorno al monoteismo, la successiva suddivisione del libro prende in considerazione gli aspetti legati alla crisi finanziaria, al dollaro come centro della crisi, al libero scambio e al debito pubblico. Poi, accanto alla proposta di rendere l’euro effettivamente moneta comune, si prendono in esame le condizioni delle classi medie e popolari, per allargare il discorso anche all’immigrazione, definita come esercito di riserva del capitale.
Dall’insieme dell’ esposizione si ricava una posizione di netto rifiuto del capitalismo, soprattutto della sua evoluzione intervenuta negli ultimi trent’anni, evoluzione indirizzata sempre più verso una finanziarizzazione, cioè verso il dominio della finanza. Questo ha rotto il compromesso prima esistente tra capitale e lavoro, intercorso durante il periodo fordista, cioè durante il trentennio 1945-1975, che aveva permesso il pieno impiego e la diffusione dello stato sociale nel contesto europeo. In quel periodo la maggiore produzione era collegata a un progressivo aumento dei salari e delle retribuzioni, cui corrispondeva una diffusione più estesa degli acquisti privati e pubblici. Quegli anni avevano rappresentato la prosecuzione della linea di John Keynes(1883-1946), favorevole al pieno impiego e all’intervento dello Stato nei momenti di crisi (sulle teorie dell’economista inglese era stata affrontata con successo la crisi del 1929). La rottura di questo fragile equilibrio ha dovuto fare i conti con un’eccessiva ricerca dei profitti e delle rendite in un contesto che premiava sempre più l’investimento virtuale a danno di un debito che s’allargava a vista d’occhio. Sull’eccessivo credito concesso alle famiglie americane per l’acquisto di una casa è scoppiata la crisi del 2008, crisi che ha investito il mondo intero. Ma questo è solo la conseguenza di una logica intrinseca al capitalismo, che si avvantaggia sempre ed esclusivamente sul libero scambio, esteso attualmente a livello mondiale.
E’ sulla base di queste condizioni immanenti al capitalismo, che l’autore sollecita, da un capitolo all’altro, nuove soluzioni, prima che il trascorrere del tempo non costringa inevitabilmente a precipitare dentro al baratro. Una prima urgenza è quella di introdurre forme di protezionismo, non di tipo regionale, ristretto alla difesa del particolare, ma secondo una dimensione di livello europeo. Infatti, se tutto viene lasciato al libero scambio sulla base di un rapporto non controllato tra domanda e offerta, l’esito non può essere che l’impoverimento delle classi medie, come ora si verifica, insieme all’indebitamento dei conti pubblici degli Stati, a favore di una forte minoranza senza scrupoli avviata a un eccessivo arricchimento. Inoltre viene accelerato il processo di delocalizzazione della produzione industriale, protesa alla ricerca di condizioni vantaggiose di sfruttamento della manodopera, disponibile ad ogni forma di sottomissione. Questa è sempre stata la logica dell’immigrazione, “beneficiare di una manodopera docile, a buon mercato e priva di coscienza di classe e di ogni tradizione di lotte sociali, per esercitare una pressione al ribasso sui salari dei lavoratori…All’inizio, l’immigrazione è stata dunque un fenomeno padronale. E continua ad esserlo oggi. Sono le grandi imprese a volere sempre più immigrazione. Questa immigrazione è conforme allo spirito stesso del capitalismo” (pag.115-16).
A fondamento delle proposte avanzate sta un nuovo paradigma economico, sul quale l’autore insiste nelle parti finali, dichiarandosi favorevole (e lui stesso impegnato in prima linea) alla corrente di pensiero incentrata sulla decrescita, cioè su uno sviluppo compatibile con le risorse, e nella difesa dei beni comuni. In pratica non è sufficiente indignarsi, ma occorre una forte spinta dei ceti popolari, per rendere attuabile un’inversione di rotta “verso un modello comunitario di economia sostenibile”.
Si prevede che queste proposte faticheranno ad imporsi, se al bivio della storia i governi non sapranno incamminarsi lungo il percorso correttamente riconosciuto e condiviso dalla popolazione.
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