L’Italia è una Repubblica… Fondata sulle battute di un comico…
di Francesco Mario Agnoli - 24/12/2012Fonte: Arianna Editrice
Siamo davvero alla frutta. Fallito il tentativo di rianimare l'Italia con le celebrazioni del centocinquantenario dell'unificazione politica, si è passati alla respirazione bocca a bocca introducendo nell'insegnamento scolastico fin dalle elementari l'inno composto da padre Canata (sacerdote neo-guelfo) e musicato da Goffredo Mameli (repubblicano garibaldino), sempre all'insegna del compromesso storico.
Tuttavia il tempo stringe, la situazione è disperata e non è possibile attendere i 10-15 anni per vedere maturare i teneri virgulti cresciuti sulle note del canto degli italiani. Ecco allora la trovata di celebrare la Costituzione, atto fondante della Repubblica, mettendo in campo il comico Roberto Benigni, che – ci sé detti nei pensatoi romani - se è riuscito a interessare le masse a un poema difficile come la Divina Commedia, è l'unico capace di fare altrettanto con una materia ostica come la Costituzione.
Del resto sono anni in cui i comici di ogni livello vanno per la maggiore sicché niente di meglio che contrapporre al comico anti-regime Beppe Grillo, il comico finto ribelle Roberto Benigni, della cui lealtà istituzionale non si può dubitare dal momento che iniziò la sua carriera nel 1977 con il film “Berlinguer ti voglio bene” e ha poi mostrato la sua fedeltà ai valori occidentali incarnati dalla Nato con un altro film di grande successo, “La vita è bella”, nel quale ha lievemente corretto la storia facendo liberare i prigionieri di Auschwitz dagli americani anziché dalle armate sovietiche. Un arrangiamento da nulla, che ha contribuito a guadagnargli l'Oscar.
In realtà anche per celebrare la Costituzione italiana occorre una notevole disponibilità alle omissioni e agli aggiustamenti. Nessun dubbio che quale fu scritta nel 1947 non sia piena di ottimi principi e di splendidi programmi che la rendono “bella” quasi come la Costituzione sovietica del 1936. Tuttavia, a differenza dei poemi, le Costituzioni non sono fissate una volta per sempre sulla carta, ma, indipendentemente dalle modifiche apportate con gli strumenti da loro stesse previsti, si realizzano, si evolvono (o degenerano) giorno per giorno nella pratica quotidiana. Può essere che Benigni non ne sia informato (del resto, nonostante l'incarico ricevuto, non è il suo mestiere), ma è per questo che costituzionalisti e giuristi parlano di “diritto vivente” e di “Costituzione materiale” e a questi fanno riferimento.
La Costituzione scritta enuncia solennemente che la sovranità appartiene al popolo, ma quando il popolo esprime attraverso i referendum la propria volontà la Costituzione materiale autorizza la classe politica a non tenerne conto (il caso più noto è quello del finanziamento pubblico dei partiti tuttora in essere nonostante la bocciatura al referendum, ma ci sono anche casi meno conosciuti come quello del ministero dell'Agricoltura abrogato dal popolo sovrano e salvato dai politici cambiandogli nome). Addirittura, quando si è trattato d rinunciare ad una parte della sovranità per delegarla agli eurocrati il popolo sovrano non è stato nemmeno consultato.
La Costituzione scritta prevede che l'Italia ripudi la guerra solo e la legittimi unicamente per scopi di difesa (in pratica per respingere l'invasione del territorio nazionale da parte di truppe straniere); quella materiale consente invece che soldati italiani siano inviati in giro per il mondo (in Afghanistan, in Libano, in Bosnia-Erzegovina ecc.) ad educare alla libertà e alla democrazia occidentale popoli che non ne vogliono sapere e che mai si sono sognati di aggredirci.
L'art. 1 della Costituzione scritta definisce l'Italia una Repubblica fondata sul lavoro e all'art. 36 specifica che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa”, ma nella realtà materiale o il lavoro non c'è e quando c'è nella stragrande maggioranza dei casi per tirare avanti la famiglia occorre lavorare in due e spesso non basta. Il lavoro e la Repubblica che lo ha scelto a proprio fondamento hanno molto sollecitato la verve patriottica-democratica del comico Benigni, che, suscitando, il giorno dopo, l'entusiasmo di alcuni commentatori, ha definito il lavoro “la nostra dignità, la nostra vita” e ha proclamato che “la paga non è avere, ma essere”. Indubbiamente vero. Difatti chi, come Benigni, riceve dalla Rai un compenso di quasi sei milioni di euro “è” molto di più di chi deve accontentarsi di 1.000-1.200 euro (e se è giovane anche meno) per un mese di lavoro.
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