lunedì 1 ottobre 2012

L'economista Zingales: Rottamiamo i banchieri

Zingales: “Monti? Non parlatemi di bis. Rottamiamo i banchieri come Bazoli”

Secondo l'economista, bocconiano come il premier e titolare di una cattedra alla Chicago University, il Presidente del Consiglio ha contenuto i danni ma "non ha mandato popolare". Su D'Alema e il centrosinistra: "E' il leader di quella parte politica che sta lì per fare inciuci col mondo delle imprese"
di  | 29 settembre 2012, Il Fatto Quotidiano


Zingales: “Monti? Non parlatemi di bis. Rottamiamo i banchieri come Bazoli”


Oltre al presidente di Intesa Sanpaolo, chi deve andare a casa? Mario Monti ha contenuto i danni sull’orlo della bancarotta, ma non parlatemi di bis. Non ha mandato popolare ed è il Bondi della politica: chiamato a salvare un’azienda al collasso, come Enrico Bondi a Montedison e Parmalat, taglia ma non rilancia. E inaufraghi della politica si aggrappano al Monti bis come a una scialuppa”. Luigi Zingales, padovano di 49 anni, bocconiano come Monti, non ha bisogno di pesare le parole. Con quella cattedra di economia alla Chicago University, dove insegnava il padre del neoliberismo Milton Friedman, può dire ciò che vuole. È tornato in Italia per lanciare un libro che nel titolo dice tutto: “Manifesto capitalista – Una rivoluzione liberale contro un’economia corrotta”. E già che c’era, è andato alla Banca d’Italia a insolentire il patriarca dei banchieri italiani, Giovanni Bazoli. La sua voglia di rottamazione parte dal potere economico.
Tutta l’oligarchia del capitalismo, vecchia, inadeguata, incapace di riformarsi.
Questa oligarchia distrugge la ricchezza o se ne appropria in modo ingiusto?
Entrambe le cose. Per appropriarsi della ricchezza la distrugge. Molti dicono che il capitalismo di relazione, dove non conta il merito ma vincono i favori tra amici, qualche vantaggio ce l’ha. Non ci credo, ma vorrei discuterne: ho chiesto a Bazoli perché dice che la sua banca cerca l’interesse generale prima del profitto, ma non mi ha voluto rispondere. Il suo culto del profitto non è molto popolare in Italia. Lo so, c’è un’antica cultura anticapitalistica, e quindi diffidenza. Il mio libro in America è intitolato “Un capitalismo per il popolo”, ma qui sarebbe stato tacciato di populismo.
I liberisti sono considerati i teorici dell’ingiustizia.
Certo, se il liberismo è praticato come in Italia hanno ragione. Ma il libero mercato, quello vero, è l’antidoto più efficace contro l’ingiustizia sociale. Quando dico meritocrazia, penso che i primi a negarla sono gli oligarchi del capitalismo. Hanno un sistema di intrecci azionari, patti e accordi, per cui sono tutti legati e nessuno giudica nessuno. Io oggi non licenzio te, tu domani non licenzi mia figlia.
Capitalismo delle figlie, come quelle di Ligresti?
La Fonsai sarà mica andata a rotoli per colpa dei dipendenti?
La figlia di Bazoli che entra nel consiglio di Ubi Banca quando ne esce il padre per incompatibilità, come la spiega ai suoi studenti?
Parto da Alessandro Borgia. È la tradizione cattolica, il potere che si tramanda senza possedere azioni. Episodi del genere dimostrano mancanza di sensibilità, perché il potere corrompe e il potere assoluto corrompe assolutamente, come diceva lord Acton.
Insegnava a Chicago?
No, storico inglese dell’Ottocento, nato a Napoli.
Però è comodo venire qui a sparare a zero con la cattedra a Chicago.
Ah sì, anche perché siamo provinciali. Uno arriva dall’America e tutti stanno a sentirlo.
E i colleghi italiani non la chiamano mai per dirle beato te che puoi parlare?
Gli economisti no, ma molti manager e imprenditori mi dicono che tacciono per paura.
Paura fa rima con omertà.
Nelle scuole americane ai miei figli insegnano a battersi contro l’ingiustizia, ad avere fiducia in se stessi, a credere che tu puoi fare la differenza. Qui ti insegnano che è tutto inutile, e l’omertà è un obbligo morale.
Battersi per la legalità è roba da rompiscatole.
Sì, e mi ribello. Le regole sono essenziali per l’economia. Non c’è liberismo senza legalità. Il mio libro parte da Enrico Berlinguer, che ha sollevato la questione morale. La sinistra è stata l’unica parte politica a battersi contro le porcherie. Mentre la borghesia, per paura dei comunisti, ha difeso l’illegalità.
Ma allora c’è il Pd già pronto. Perché il movimento “Fermare il declino”?
Per rompere il legame tra sinistra anticapitalista e sinistra liberale. Se Matteo Renzi vince le primarie sto con lui, naturalmente a patto che cacci gente come D’Alema.
Ma D’Alema è un vecchio tifoso del liberismo…
No, è il leader di quella parte del Pd che sta lì per fare inciuci con il mondo delle imprese.
Marchionne che definisce “folklore locale” la sentenza sulla discriminazione a Pomigliano, come sta nella classifica liberismo-legalità?
Se ha detto questo dell’applicazione di una legge europea ha sbagliato. Si sta esagerando. I sindacati hanno abusato della giustizia troppo tutelante, ma non si può dare sempre la colpa a chi lavora. All’economia italiana fanno più male gli oligarchi che mantengono il loro potere in un sistema senza regole.
Ma lei che ci fa in America, l’ha scelto o non l’hanno voluta alla Bocconi?
A Chicago mi pagavano e mi facevano fare ricerca. In Italia avrei dovuto chiedere soldi ai miei. Lei che avrebbe fatto?
Ma adesso che viene a fare? Ci sarà qualcuno che le chiede che vuole, no?
Vengo a cercare qualcuno con cui discutere del futuro del Paese: se un popolo non è in grado di mettere in galera i corrotti non saprà neppure scegliere le tecnologie su cui investire.
da Il Fatto Quotidiano del 29 settembre 2012

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