Il dibattito
Ho ricevuto qualche giorno fa da Sergio Cesaratto la locandina di questo convegno:
(potete scaricarla cliccando qui). Mi riproponevo di segnalarvelo, poi, distratto da cose meno liete (anche se più esilaranti), e da altri fatti miei, mi era sfuggito. Ma massimorocca e roberto, implacabili, mi richiamano ai miei doveri. Santi subito pure voi...
Il ritardo era anche dovuto al fatto che nonostante Sergio sia l'unico collega (o quasi) dal quale acquisterei un'auto usata, come dire, prima di acquistare un convegno o un paper preferivo capire cosa fosse. Perché insomma, è chiaro: luogo e personaggi ci sono tutti, e il copione quindi sembra già scritto. Naturalmente questo non toglie interesse. Anche l'Amleto è già scritto (e tra l'altro non si sa nemmeno bene da chi), ma se gli interpreti sono bravi... E qui gli interpreti sono ottimi (anche tolti i due che conosco personalmente).
Quindi, pensavo, in fondo dovrei segnalarlo. Magari fra i miei lettori ce ne sono che alla tragedia elisabettiana preferiscono la farsa angheliana, e allora andranno a divertirsi. Entrerà l'ambasciatore, intonando il noto proemio: " Noi non vogliamo annettervi, fuori dall'euro c'è la guerra". E poi entrerà il coro, che intonerà il disco rotto della sinistra: "più Europa, più Europa, più Europa" (il disco rotto della destra, lo ricorderete, è "debito sovrano, debito sovrano, debito sovrano").
Naturalmente il tema "più Europa" può essere intonato in vari modi: dorico, ionico, corinzio (no: corinzio, no, quello è un ordine... nun ce provate!), misolidio... e soprattutto ipomisotafazziano: "ma come siete bravi, ma come avete fatto!"
Nel coretto almeno una voce parzialmente discorde c'è (concordia discors), a mia scienza, ed è quella di Mario Nuti, che su "più Europa" via eurobond dice delle cose abbastanza definitive qui.
Ma io volevo vedere cosa dicesse Sergio, e me lo sono andato a vedere qui.
E ho trovato un articolo molto bello, sotto almeno due profili: l'organicità della visione (questa sì una visione, non una "viFione da Fognatore" Fellino), e il tono, molto ma molto più appropriato del mio.
La pacatezza e l'apertura del tono (lasciate che i morti seppelliscano i morti) espone Sergio a delle apparenti contraddizioni. Ad esempio, dipingere una Germania riluttante all'entrata nell'euro, ritrosa come una verginella di altri tempi, può sembrare contraddittorio da parte di chi come Sergio ci ha insegnato, nel suo mirabile lavoro con Stirati, che "il gioco (del mercantilismo) è perfetto se poi esso si svolge in un quadro di cambi fissi, come Bretton Woods, lo SME, l’UME" e che quindi la Germania era perfettamente consapevole dei vantaggi che avrebbe tratto dall'euro.
Ma qui devo fare due osservazioni (o magari tre).
La prima è che la contraddizione, in effetti, più che nel ragionamento di Sergio è nella storia e nelle esternazioni dei politici. O forse neanche in quelle. Ostentando ritrosia (ce la ricordiamo tutti, me la ricordo anch'io), le classi dirigenti del Nord sono riuscite a imporre alla costruzione europea delle regole fatte apposta per precipitare la catastrofe (a loro vantaggio), in una linea di continuità ben evidente che va dai parametri "tolemaici" di Maastricht al fiscal compact. Il problema, secondo me, non è mai stato quello di "tener fuori i cattivi" o non mischiarsi a loro (così come veniva proposto all'epoca), ma solo quello di dominarli meglio.
La seconda osservazione è che il lavoro di Sergio, pur riprendendo in parte l'agenda di altri appelli, dei quali sappiamo bene quale uso è stato fatto grazie alla tecnologia tedesca, se ne differenzia in un modo significativo, perché la richiesta fatta agli italiani di "pensare seriamente al proprio futuro indipendentemente da questa Europa" non viene posta come alternativa rispetto all'agenda ovvia di quello che si potrebbe fare per tener i cocci insieme, ma viene esplicitamente considerata come un punto dell'agenda. Secondo Sergio, quindi, come del resto secondo me, questa riflessione deve iniziare. Voi direte: ma è già iniziata, noi la stiamo facendo! Ma io posso dirvi che invece, ad esempio, nella sede del dibattito sono ancora ad anni luce di distanza dall'inizio di una riflessione simile. E bene fa Sergio a proporgliela.
La terza osservazione (ecco, lo sapevo che erano più di due) è che Sergio insiste, come faccio anch'io, sul fatto che in questo campo le categorie moralistiche sono fuori luogo. So bene che per i tifosi di altri blog il mio ragionamento è "Germania brutto". Per forza: loro si nutrono di ragionamenti del tipo "Stato brutto", e quindi, come dire, elevano tutti gli altri argomenti al livello dei loro.
Ma il mio ragionamento è esattamente quello di Sergio.
La Germania, in un'ottica di breve-medio periodo, ha fatto e fa bene a tirare il massimo vantaggio dalla situazione che ha creato. Male fanno gli altri paesi a consentirglielo (e i motivi di questo apparente suicidio ve li ho spiegati: importare la "disciplina", cioè la moderazione salariale, tedesca), e male fa la Germania a non capire che, in un'ottica più ampia, che dovrebbe essere quella della visione "europea":
1) le strategie mercantilistiche sono di corto respiro e foriere di conflitti;
2) alla risoluzione degli squilibri devono cooperare anche i paesi in surplus, e non perché sono stati furbi (in economia, eventualmente, sarebbe un merito!) o cattivi (in economia questa categoria non esiste), ma banalmente perché hanno le risorse per farlo.
Il mio quindi non è moralismo, ma solo la considerazione spassionata della (non) sostenibilità tecnico-economica di certi atteggiamenti, non sostenibilità che è sotto gli occhi di tutti. La miopia dell'atteggiamento tedesco forse è figlia dei nostri tempi, figlia di un capitalismo finanziario che non vede al di là della prossima relazione agli azionisti. Certo che qui una leadership politica forte (non necessariamente paneuropea) potrebbe far sentire la propria voce, per allargare gli orizzonti. Ma è anche probabile che la miopia sia semplicemente, almeno in certi casi, figlia di pura e semplice malafede. Quando l'amico Hans Werner Sinn accusa del tracollo della Grecia la "lobby delle importazioni", che grazie ai sussidi dell'UE avrebbe rincorso i facili guadagni (?) derivanti dalle importazioni di beni esteri, sinceramente c'è da restare a bocca aperta.Bisognerebbe chiedere, all'amico Hans Werner, e forse anche all'amico ambasciatore (ma questo non lo farà nessuno): le centinaia di milioni di euro spese dagli industriali tedeschi per corrompere i politici greci rientrano in questi sussidi?
Dopo aver detto tutto quello che mi unisce (oltre all'amicizia) a Sergio, voglio anche dire quello che mi divide. Una cosa molto semplice. Lui è "eterodosso" e io sono "ortodosso" (non "omodosso"). E da ortodosso faccio un ragionamento molto semplice. I problemi che stiamo subendo sono la conseguenza ovvia dell'aver inibito, tramite la moneta unica, il funzionamento di un mercato: il mercato valutario. E allora, invece di chiedersi, come fanno gli "etero" e gli "omo", quale meccanismo utilizzare per rimediare al danno fatto (per gli etero più spesa, per gli omo meno spesa, per entrambi un altro ltro), io, da "orto", dico semplicemente: ristabiliamo il funzionamento del mercato valutario.
Sorprendente, no, l'accanimento col quale certi liberisti, quelli che vorrebbero prezzare anche l'aria che respiriamo, si oppongono a che la valuta di un paese possa avere il suo prezzo? Non lo trovate un po' contraddittorio? Io sì, tantissimo! Anche perché, come ho spiegato in Crisi finanziaria e governo dell'economia, la moneta unica è un concetto intrinsecamente contraddittorio: se esistessero le condizioni per la sua sostenibilità (cioè se le economie fossero sufficientemente omogenee), di moneta unica non ce ne sarebbe bisogno, perché l'allineamento dei fondamentali renderebbe minime le oscillazioni del cambio: scomparirebbero cioè i costi che vengono normalmente invocati a sostegno della necessità di una moneta unica!As simple as that...
E allora concludo dicendo al mio caro amico "etero" quello che lui sa già: caro Sergio, il tuo articolo mi piace tanto, ma mi piacerebbe ancora di più se cominciasse dalla fine. So bene che tu sei un economista e anche un politico. Possa la tua visione politica non tradursi, come finora è stato per quelle degli altri, in una mera perdita di tempo.
(potete scaricarla cliccando qui). Mi riproponevo di segnalarvelo, poi, distratto da cose meno liete (anche se più esilaranti), e da altri fatti miei, mi era sfuggito. Ma massimorocca e roberto, implacabili, mi richiamano ai miei doveri. Santi subito pure voi...
Il ritardo era anche dovuto al fatto che nonostante Sergio sia l'unico collega (o quasi) dal quale acquisterei un'auto usata, come dire, prima di acquistare un convegno o un paper preferivo capire cosa fosse. Perché insomma, è chiaro: luogo e personaggi ci sono tutti, e il copione quindi sembra già scritto. Naturalmente questo non toglie interesse. Anche l'Amleto è già scritto (e tra l'altro non si sa nemmeno bene da chi), ma se gli interpreti sono bravi... E qui gli interpreti sono ottimi (anche tolti i due che conosco personalmente).
Quindi, pensavo, in fondo dovrei segnalarlo. Magari fra i miei lettori ce ne sono che alla tragedia elisabettiana preferiscono la farsa angheliana, e allora andranno a divertirsi. Entrerà l'ambasciatore, intonando il noto proemio: " Noi non vogliamo annettervi, fuori dall'euro c'è la guerra". E poi entrerà il coro, che intonerà il disco rotto della sinistra: "più Europa, più Europa, più Europa" (il disco rotto della destra, lo ricorderete, è "debito sovrano, debito sovrano, debito sovrano").
Naturalmente il tema "più Europa" può essere intonato in vari modi: dorico, ionico, corinzio (no: corinzio, no, quello è un ordine... nun ce provate!), misolidio... e soprattutto ipomisotafazziano: "ma come siete bravi, ma come avete fatto!"
Nel coretto almeno una voce parzialmente discorde c'è (concordia discors), a mia scienza, ed è quella di Mario Nuti, che su "più Europa" via eurobond dice delle cose abbastanza definitive qui.
Ma io volevo vedere cosa dicesse Sergio, e me lo sono andato a vedere qui.
E ho trovato un articolo molto bello, sotto almeno due profili: l'organicità della visione (questa sì una visione, non una "viFione da Fognatore" Fellino), e il tono, molto ma molto più appropriato del mio.
La pacatezza e l'apertura del tono (lasciate che i morti seppelliscano i morti) espone Sergio a delle apparenti contraddizioni. Ad esempio, dipingere una Germania riluttante all'entrata nell'euro, ritrosa come una verginella di altri tempi, può sembrare contraddittorio da parte di chi come Sergio ci ha insegnato, nel suo mirabile lavoro con Stirati, che "il gioco (del mercantilismo) è perfetto se poi esso si svolge in un quadro di cambi fissi, come Bretton Woods, lo SME, l’UME" e che quindi la Germania era perfettamente consapevole dei vantaggi che avrebbe tratto dall'euro.
Ma qui devo fare due osservazioni (o magari tre).
La prima è che la contraddizione, in effetti, più che nel ragionamento di Sergio è nella storia e nelle esternazioni dei politici. O forse neanche in quelle. Ostentando ritrosia (ce la ricordiamo tutti, me la ricordo anch'io), le classi dirigenti del Nord sono riuscite a imporre alla costruzione europea delle regole fatte apposta per precipitare la catastrofe (a loro vantaggio), in una linea di continuità ben evidente che va dai parametri "tolemaici" di Maastricht al fiscal compact. Il problema, secondo me, non è mai stato quello di "tener fuori i cattivi" o non mischiarsi a loro (così come veniva proposto all'epoca), ma solo quello di dominarli meglio.
La seconda osservazione è che il lavoro di Sergio, pur riprendendo in parte l'agenda di altri appelli, dei quali sappiamo bene quale uso è stato fatto grazie alla tecnologia tedesca, se ne differenzia in un modo significativo, perché la richiesta fatta agli italiani di "pensare seriamente al proprio futuro indipendentemente da questa Europa" non viene posta come alternativa rispetto all'agenda ovvia di quello che si potrebbe fare per tener i cocci insieme, ma viene esplicitamente considerata come un punto dell'agenda. Secondo Sergio, quindi, come del resto secondo me, questa riflessione deve iniziare. Voi direte: ma è già iniziata, noi la stiamo facendo! Ma io posso dirvi che invece, ad esempio, nella sede del dibattito sono ancora ad anni luce di distanza dall'inizio di una riflessione simile. E bene fa Sergio a proporgliela.
La terza osservazione (ecco, lo sapevo che erano più di due) è che Sergio insiste, come faccio anch'io, sul fatto che in questo campo le categorie moralistiche sono fuori luogo. So bene che per i tifosi di altri blog il mio ragionamento è "Germania brutto". Per forza: loro si nutrono di ragionamenti del tipo "Stato brutto", e quindi, come dire, elevano tutti gli altri argomenti al livello dei loro.
Ma il mio ragionamento è esattamente quello di Sergio.
La Germania, in un'ottica di breve-medio periodo, ha fatto e fa bene a tirare il massimo vantaggio dalla situazione che ha creato. Male fanno gli altri paesi a consentirglielo (e i motivi di questo apparente suicidio ve li ho spiegati: importare la "disciplina", cioè la moderazione salariale, tedesca), e male fa la Germania a non capire che, in un'ottica più ampia, che dovrebbe essere quella della visione "europea":
1) le strategie mercantilistiche sono di corto respiro e foriere di conflitti;
2) alla risoluzione degli squilibri devono cooperare anche i paesi in surplus, e non perché sono stati furbi (in economia, eventualmente, sarebbe un merito!) o cattivi (in economia questa categoria non esiste), ma banalmente perché hanno le risorse per farlo.
Il mio quindi non è moralismo, ma solo la considerazione spassionata della (non) sostenibilità tecnico-economica di certi atteggiamenti, non sostenibilità che è sotto gli occhi di tutti. La miopia dell'atteggiamento tedesco forse è figlia dei nostri tempi, figlia di un capitalismo finanziario che non vede al di là della prossima relazione agli azionisti. Certo che qui una leadership politica forte (non necessariamente paneuropea) potrebbe far sentire la propria voce, per allargare gli orizzonti. Ma è anche probabile che la miopia sia semplicemente, almeno in certi casi, figlia di pura e semplice malafede. Quando l'amico Hans Werner Sinn accusa del tracollo della Grecia la "lobby delle importazioni", che grazie ai sussidi dell'UE avrebbe rincorso i facili guadagni (?) derivanti dalle importazioni di beni esteri, sinceramente c'è da restare a bocca aperta.Bisognerebbe chiedere, all'amico Hans Werner, e forse anche all'amico ambasciatore (ma questo non lo farà nessuno): le centinaia di milioni di euro spese dagli industriali tedeschi per corrompere i politici greci rientrano in questi sussidi?
Dopo aver detto tutto quello che mi unisce (oltre all'amicizia) a Sergio, voglio anche dire quello che mi divide. Una cosa molto semplice. Lui è "eterodosso" e io sono "ortodosso" (non "omodosso"). E da ortodosso faccio un ragionamento molto semplice. I problemi che stiamo subendo sono la conseguenza ovvia dell'aver inibito, tramite la moneta unica, il funzionamento di un mercato: il mercato valutario. E allora, invece di chiedersi, come fanno gli "etero" e gli "omo", quale meccanismo utilizzare per rimediare al danno fatto (per gli etero più spesa, per gli omo meno spesa, per entrambi un altro ltro), io, da "orto", dico semplicemente: ristabiliamo il funzionamento del mercato valutario.
Sorprendente, no, l'accanimento col quale certi liberisti, quelli che vorrebbero prezzare anche l'aria che respiriamo, si oppongono a che la valuta di un paese possa avere il suo prezzo? Non lo trovate un po' contraddittorio? Io sì, tantissimo! Anche perché, come ho spiegato in Crisi finanziaria e governo dell'economia, la moneta unica è un concetto intrinsecamente contraddittorio: se esistessero le condizioni per la sua sostenibilità (cioè se le economie fossero sufficientemente omogenee), di moneta unica non ce ne sarebbe bisogno, perché l'allineamento dei fondamentali renderebbe minime le oscillazioni del cambio: scomparirebbero cioè i costi che vengono normalmente invocati a sostegno della necessità di una moneta unica!As simple as that...
E allora concludo dicendo al mio caro amico "etero" quello che lui sa già: caro Sergio, il tuo articolo mi piace tanto, ma mi piacerebbe ancora di più se cominciasse dalla fine. So bene che tu sei un economista e anche un politico. Possa la tua visione politica non tradursi, come finora è stato per quelle degli altri, in una mera perdita di tempo.
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