Mercati finanziari: chi comanda veramente?
di Alfonso Tuor - 01/03/2012Fonte: ticinonews
Come funzionano i mercati finanziari? Chi sono i protagonisti? La speculazione ha un nome e un volto?
Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che i mercati sono efficienti e in grado di autoregolarsi. In pratica le decisioni di milioni di investitori determinerebbero i prezzi di azioni, obbligazioni, materie prime e tassi di cambio delle valute in base alle informazioni disponibili. Questi milioni di scelte individuerebbero correttamente i prezzi che varierebbero in seguito solo in base ad informazioni nuove. Inoltre, queste scelte determinerebbero anche quella che gli economisti chiamano la migliore allocazione delle risorse, ossia premierebbero gli investimenti e le attività che hanno le migliori prospettive e non incorerebbero in clamorosi sprechi, come invece accadrebbe alle scelte di investimento effettuate dai Governi e quindi dalla politica. Queste teorie, sostenute da autorevoli personaggi come l’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, hanno determinato non solo le scelte del mondo della finanza, ma anche di quello della politica fino all’inizio di questo secolo. Insomma, sono assurte a paradigma indiscusso ed indiscutibile. Il crollo della bolla dei titoli tecnologici nel 2000, la crisi dei mutui americani subprime nel 2007/2008, la crisi del sistema bancario del 2008 e l’attuale crisi dei debiti sovrani hanno mostrato l’inconsistenza di queste convinzioni che di fatto servivano unicamente a giustificare l’operato della grande speculazione finanziaria.
Restano dunque aperte le domande fondamentali: come funzionano i mercati finanziari? Chi sono gli attori principali di questi mercati? La risposta non è assolutamente facile e scontata. Effettivamente ogni giorno sui mercati finanziari operano milioni di persone e, quindi, questa indiscutibile realtà serve da tuta mimetica che nasconde i veri e determinanti attori (oppure manipolatori) dei mercati. I mercati finanziari si comportano in realtà come greggi. Si tratta dunque di individuare i caproni che guidano il gregge. Questa teoria del gregge è addirittura formalizzata dalla scuola della cosiddetta finanza comportamentale (“behaviour finance”) che cerca correttamente di individuare i meccanismi psicologici che inducono i milioni di attori a reagire e a comportarsi in modo uniforme. Questa uniformità di comportamenti è ulteriormente esaltata dai meccanismi di valutazione dei risultati della gestione degli investitori istituzionali, ossia dei gestori dei capitali delle casse pensioni, dei grandi fondi di investimento, ecc. Questi ultimi non vengono tanto valutati annualmente in base ai guadagni conseguiti, ma rispetto a parametri di confronto (benchmark). Ad esempio, la gestione di un fondo azionario svizzero viene confrontata con l’andamento della Borsa svizzera. Quindi è importante non perdere molto più dell’indice della Borsa svizzera, quando quest’ultima chiude l’anno in ribasso, e non guadagnare molto meno dell’indice, quando chiude in rialzo. La prima conclusione da trarre è che i risparmiatori pagano la gestione dei loro soldi a persone che spesso non fanno altro che imitare (copiare) con variazioni di scarsa rilevanza l’andamento dei mercati.
Ma chi determina il loro andamento? In realtà un pugno di uomini o meglio di grandi banche di investimento e di grandi società multinazionali. Questi istituti sono in realtà più organi di propaganda che vere e proprie banche. Infatti attraverso analisi, ricerche, studi e raccomandazioni di investimento riescono a determinare l’andamento dei mercati. Per essere più chiari, negli anni Novanta hanno esaltato il fenomeno delle nuove tecnologie informatiche, creando una mania che ha spinto milioni di persone ad investire nelle azioni delle società di telecomunicazione, in quelle Internet e via dicendo, creando una bolla che è poi scoppiata nel 2000, dando il via alla crisi dalla quale non siamo ancora usciti. Un altro esempio: sono le analisi sulla scarsità delle derrate alimentari, rafforzate dai disastri provocati dalla siccità o dalle alluvioni in varie parti del mondo, che hanno provocato grandi ondate di acquisti nei Paesi occidentali e la fame nei Paesi poveri. Oppure ancora, le analisi sull’aumento del consumo di petrolio provocato dai nuovi grandi Paesi emergenti (Cina e India) che ha fatto impennare il prezzo del greggio. Queste analisi, che si fondano sempre su dati reali e soprattutto facilmente comprensibili, vengono diffuse in tutto il mondo e vengono sostenute da queste stesse banche con massicci acquisti da parte dei fondi che gestiscono direttamente e da parte delle loro sale di trading (sale di compravendita delle più diverse attività finanziarie). Infatti negli ultimi decenni il grosso degli utili delle grandi banche di investimento è generato dalla speculazione effettuata con il capitale proprio. Per capirci è generata da quel tipo di attività che talvolta è afflitta da incidenti, come quello che ha provocato perdite miliardarie ad UBS a Londra.
La speculazione ha dunque un nome e un volto. Sono le grandi banche di investimento che si indebitano per moltiplicare le loro scommesse sui mercati (la cosiddetta leva), affiancate dai grandi Hedge Fund (che dipendono dalle banche per le linee di credito e per l’operatività) e dalle grandi società multinazionali, la cui attività sui mercati finanziari è spesso più redditizia e più importante di quella industriale. Molto probabilmente chi ha avuto l’ardire di giungere fino a questo punto nella lettura di questo articolo, potrebbe dire che queste affermazioni non sono suffragate da prove. Ebbene un recente studio dell’Università di Zurigo mette in luce la concentrazione delle strutture proprietarie e delle strutture di controllo dell’attuale sistema economico. In pratica, esiste una rete, che si potrebbe definire “invisibile”, formata da una cinquantina di società multinazionali (prevalentemente istituti finanziari), che attraverso un complicato meccanismo di relazioni di proprietà, controlla il 40% del valore economico e finanziario di 43'060 società multinazionali. Possiamo sostenere, senza timore di poter essere smentiti, che questo è il cuore (o la plancia di comando) dell’economia occidentale.
Oggi è in crisi questo cuore del sistema, che ha giocato per anni ad ingrossare la propria redditività scommettendo su un continuo aumento del debito. Ora il meccanismo gli si è rotto in mano e gli uomini della plancia di comando non sanno come uscire dall’attuale crisi. Sanno però che bisogna a tutti i costi tenere in piedi il castello di debiti costruito negli anni. Quindi, obbligano i Governi a salvare le banche, le banche centrali a rifornirle di liquidità a costo pressoché zero e alla politica di estrarre dall’economia reale le risorse ancora esistenti per tentare di rinviare il momento della verità. L’aspetto maggiormente preoccupante è che anche sulla plancia di comando non vi è alcuna strategia pacifica e non eccessivamente dolorosa per uscire dall’attuale crisi. Insomma, non si sa quale rotta seguire. Non si può escludere quindi che queste persone, di fronte al precipitare della situazione, scelgano vie pericolose per l’intera umanità.
In conclusione, i mercati finanziari dove milioni di persone operano sono in realtà una bella tuta mimetica, che serve a far credere a tutti di essere coinvolti e corresponsabili di quanto succede e che serve soprattutto a celare la plancia di comando, dalla quale uomini e società gestiscono il nostro mondo.
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