venerdì 2 marzo 2012

Europa e democrazia i nemici della UE


L'Unione Europea ha un nemico, l'Europa
di Francesco Mario Agnoli - 01/03/2012
Fonte: Arianna Editrice



    Ormai è chiaro:  L'Unione Europea ha due nemici contro i quali ha intrapreso una lotta mortale: l'Europa e la democrazia. Per l'esattezza il nemico da distruggere, facendone qualcosa di radicalmente diverso da quello che è,  è l'Europa, ma per conseguire il risultato occorre prima eliminare la   democrazia per impedire ai popoli europei di fare sentire la loro voce e pesare il loro parere.

    Del resto il rapporto  dell'Unione Europea con la democrazia è sempre stato conflittuale e i suoi vertici hanno sempre cercato di impedire ai popoli europei di esprimere  direttamente la loro volontà attraverso  lo strumento del referendum e quando non sono riusciti ad impedirlo hanno messo in moto tutte le loro arti per  annullare i risultati non conformi alle direttive. E' accaduto con  i francesi  e gli olandesi,  che si erano permessi di bocciare la cosiddetta Costituzione  europea (rispettivamente il 29 maggio e il 1° giungo 2005) e con gli irlandesi, che, avendo compreso  che si trattava di una rimasticatura della bocciata Costituzione, hanno fatto altrettanto con il Trattato di Lisbona (13 giugno 2008).
   In una recentissima intervista rilasciata al Wall Street Journal il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi,  ha dato per oggettivamente avvenuto  il decesso dell'Europa, dichiarando che la crisi dell'area euro mostra come il modello sociale europeo sia morto. Niente di più, da parte sua, di una presa d'atto. Esattamente come fa il medico, che una volta accertato che il cuore ha cessato di battere (e la società è, appunto,  il cuore di ogni organismo politico) rilascia il certificato di morte indispensabile per procedere alla sepoltura. 
     In realtà non tutta la “Nomenklatura” della Ue condivide l'ottimismo del presidente  della Bce e ritiene di avere ancora qualche passo  da fare, qualche ostacolo  da superare prima di conseguire il risultato e di potere cantare vittoria. Di conseguenza, non lascia la presa, continua ad attaccare l'Europa in quello che al momento è il punto più debole del suo organismo e tenta di impedire   al popolo greco il ricorso ai rimedi offerti dalla democrazia.
     Meno di cinque mesi fa, il 4 novembre 2011, l'allora presidente della Repubblica Ellenica, George Papandreu,  è stato letteralmente costretto con le brutte (tanto che si è dimesso subito dopo)  a  rinunciare  al referendum popolare che aveva lanciato appena un paio di giorni prima per consentire  ai cittadini di esprimersi sul piano di salvataggio più che proposto imposto dalla Ue e sui terribili sacrifici che avrebbe comportato.
     Evidentemente i greci sono più ostinati di altre popolazioni europee e, dopo avere sopportato per qualche mese il nuovo premier imposto dalla  Ue, Lucas Papademos, un tecnico targato Goldman Sachs, hanno preteso e ottenuto che il Parlamento, subito dopo avere adottato i provvedimenti più da miseria che da austerity voluti dall'Unione, indicesse per il prossimo mese di aprile le elezioni politiche generali.  I vertici dell'Ue,  rappresentati nel caso dal  ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schauble (è la Germania a tenere i cordoni della borsa), hanno tentato  di  conservare la  guida del governo al tecnico di loro fiducia e hanno “suggerito”, con molta malagrazia, il rinvio delle consultazioni elettorali.
   E' possibile che questa proposta, estrema sì, ma non del tutto nuova (anche in Italia, dove siamo ancora alla vasellina,  qualcuno aveva già fatto circolare la voce che il governo tecnico di Mario Monti potrebbe restare in carica anche dopo la scadenza naturale della legislatura nel 2013) non abbia successo, se non per altro  per il timore di Lucas Papademos e dei suoi ministri delle reazioni di un popolo inferocito. Tuttavia se i greci non rinunceranno alle elezioni, è già pronto il sistema  per sterilizzarle. Quale che ne sia l'esito, la corresponsione dei cosiddetti “aiuti” sarà condizionata alla formazione   di un governo di grande coalizione col sostegno di tutti i partiti che contano e, ovviamente, a linea politica vincolata (un po' come, con maniere più morbide, si è fatto anche in Italia, dove dalla sera alla mattina il principale  partito di governo e quelli di opposizione si sono trovati a far parte di una nuova inedita maggioranza).

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