Mafie, i padroni della crisi Perché i boss non fanno crac.
La crisi è un business planetario per le mafie. I clan criminali entrano di prepotenza nelle banche Usa per riciclare milioni di dollari. In Grecia approfittano della corruzione e fanno affari coi carburanti. In spagna si infiltrano nel mercato immobiliare e puntano ai profitti colossali come il progetto Eurovegas. Un’economia sporca che si mimetizza nei santuari della grande finanza
di ROBERTO SAVIANO
di ROBERTO SAVIANO
I CAPITALI mafiosi stanno traendo profitto dalla crisi economica europea e, più in generale, dalla crisi economica dell’Occidente, per infiltrare in maniera capillare l’economia legale. Eppure i capitali mafiosi non sono solo l’effetto della crisi globale, ma anche e soprattutto la causa, perché presenti nei flussi economici sin dalle origini di questa crisi. Nel dicembre 2009, il responsabile dell’Ufficio Droga e Crimine dell’Onu, Antonio Maria Costa, rivelò di avere le prove che i guadagni delle organizzazioni criminali fossero l’unico capitale d’investimento liquido che alcune banche avevano avuto a disposizione durante la crisi del 2008 per evitare il collasso.
Secondo le stime del Fmi tra gennaio 2007 e settembre 2009 le banche statunitensi ed europee persero più di 1 bilione di dollari in titoli tossici e prestiti inesigibili e più di 200 erogatori di mutui ipotecari andarono in bancarotta. Molti grandi istituti di credito fallirono, furono rilevati o commissionati dal governo. È possibile dunque individuare il momento esatto in cui le organizzazioni criminali italiane, russe, balcaniche, giapponesi, africane, indiane sono diventate determinanti per l’economia internazionale. Ciò è avvenuto nella seconda metà del 2008, quando la liquidità era diventata il problema principale del sistema bancario. Il sistema era praticamente
paralizzato a causa della riluttanza delle banche a concedere prestiti e solo le organizzazioni criminali sembravano avere enormi quantità di denaro contante da investire, da riciclare.
paralizzato a causa della riluttanza delle banche a concedere prestiti e solo le organizzazioni criminali sembravano avere enormi quantità di denaro contante da investire, da riciclare.
Una recente inchiesta di due economisti colombiani, Alejandro Gaviria e Daniel Mejiia dell’Università di Bogotà, ha rivelato che il 97,4% degli introiti provenienti dal narcotraffico in Colombia viene puntualmente riciclato da circuiti bancari di Usa ed Europa attraverso varie operazioni finanziarie. Stiamo parlando di centinaia di miliardi di dollari. Il riciclaggio avviene attraverso un sistema di pacchetti azionari, un meccanismo di scatole cinesi per cui i soldi contanti vengono trasformati in titoli elettronici, fatti passare da un Paese all’altro, e quando arrivano in un altro continente sono pressoché puliti e, soprattutto, irrintracciabili. Così i prestiti interbancari iniziarono a essere sistematicamente finanziati con i soldi provenienti dal traffico di droga e da altre attività illecite. Alcune banche si salvarono solo grazie a questi soldi. Gran parte dei 352 miliardi di dollari provenienti dal narcotraffico sono stati assorbiti dal sistema economico legale, perfettamente riciclati. Questo non dimostra soltanto che in tempo di crisi le difese immunitarie delle banche si abbassano pericolosamente, ma anche che in tempo di ripresa economica i capitali criminali determineranno le politiche finanziarie delle banche salve grazie ai capitali criminali. Questa dinamica spinge a interrogarsi sul peso che le organizzazioni criminali hanno sul sistema economico in tempo di crisi e a considerare necessario un maggiore controllo del settore bancario.
E se i soldi della droga sono così utili alle banche e ai Paesi che li riciclano, ciò aiuta a spiegare anche come mai la lotta alla droga in molti Paesi occidentali viene fatta “con il freno a mano”, soprattutto in momenti di crisi in cui la liquidità monetaria è vista come un’oasi nel deserto. Si prendono di mira solo la fase produttiva e le attività dei cartelli criminali, e si trascura la fase di riciclaggio dei proventi. In definitiva si combatte la microeconomia della droga, ma non la macroeconomia. Basti pensare che se in Colombia esistono misure altamente restrittive per impedire l’immissione nelle banche di ingenti quantità di denaro, negli Usa la legge sulla privacy e il segreto bancario permette la creazione di un fondo bancario senza conoscerne l’origine. Il sospetto, quindi, è che le istituzioni americane ed europee sappiano molto di più di quanto dicano e che attaccare i grandi gruppi finanziari non sia facile per i governi.
I capitali criminali stanno tornando nelle banche. In questo contesto, i momenti più critici sono stati la crisi finanziaria in Russia — le cui cause furono attribuite anche al dilagare della mafia russa — e quelle globali del 2003 e del 2007–2008. Il settore finanziario si ritrovò a corto di liquidità, così le banche si aprirono ai cartelli criminali che avevano soldi da investire. “Le banche negli Stati Uniti sono usate per accogliere grandi quantità di capitali illeciti occultati nei miliardi di dollari che vengono trasferiti tra banca e banca ogni giorno”, ha dichiarato il capo della Sezione Riciclaggio del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, Jennifer Shasky Calvery, a febbraio 2012 durante una seduta al congresso sul crimine organizzato. New York e Londra sarebbero diventate le due più grandi lavanderie di denaro sporco del mondo. Non più i paradisi fiscali come le Cayman Islands, o la Isle of Man. Ma la City e Wall Street. Durante la crisi, le banche diventano più convenienti e soprattutto sicure per il riciclaggio. Quando si riunisce, il G20 dovrebbe farlo con la sola priorità di costruire nuove regole per far fronte all’economia criminale, forza assai più potente del terrorismo nello svuotare la democrazia ed erodere i diritti, compromettere i mercati, concedere apparenti
ricchezze.
ricchezze.
La Grecia da molti anni vive un’aggressione criminale che l’Europa e i governi greci hanno sottovalutato. Questa aggressione è certamente uno degli elementi che hanno portato al disastro economico e alla fragilità delle istituzioni. L’Indice di Corruzione 2011 stilato da Transparency International vede la Grecia allo stesso livello della Colombia. La corruzione in Grecia è costata circa 860 milioni di euro nel 2009 e circa 590 nel 2010. Tra le istituzioni più corrotte del Paese ci sarebbero ospedali e uffici dell’erario. Questi dati dicono chiaramente che la Grecia è da decenni terra di investimento mafioso. Non è un caso che il più grande vertice della mafia russa degli ultimi anni si sarebbe tenuto a dicembre 2010 proprio in Grecia, in un ristorante di Salonicco. Vi avrebbero preso parte i rappresentanti di una sessantina di famiglie mafiose per porre fine a una guerra sanguinosa iniziata nel 2008 e che ha coinvolto anche la Grecia, dove nel maggio 2010 morì improvvisamente Lavrenty Chokladis, rappresentate per l’Europa del padrino 73enne Aslan Usoyan detto “Nonno Hassan”. Ora, a causa della crisi, i greci hanno dovuto mettere mano ai loro risparmi: circa 50 miliardi di euro sono stati prelevati dalle banche greche dal 2009 al 2011. Venendo a mancare i canali di prestito ufficiali, sempre più persone ricorrono ai prestiti illegali, rivolgendosi agli strozzini.
Secondo alcuni dati, in Grecia, il mercato nero dei prestiti illegali avrebbe un giro d’affari di circa 5 miliardi di euro all’anno; secondo il governo, invece, sarebbe addirittura pari al doppio, cioè 10 miliardi. Attività che pare sia quadruplicata dall’inizio della crisi nel 2009. Di questa cifra, più della metà rimane nelle tasche degli usurai, che applicano tassi di interesse a partire dal 60% annuo. A gennaio a Salonicco (seconda città più grande della Grecia) è stata sgominata un’organizzazione criminale che prestava soldi a un tasso di interesse tra il 5 e il 15% a settimana. E per chi non pagava erano previste punizioni. Il gruppo era attivo a Salonicco da più di 15 anni ed era composto da 53 estorsori, tra cui due avvocati, un medico, un dipendente di una squadra di calcio. Il numero di vittime accertate è tra 1.500 e 2.000, per un guadagno totale di circa 1 miliardo di euro.
Nell’organizzazione spunta il nome di Marcos Karamberis, il proprietario di un ristorante che si era candidato come vice-governatore dell’Imathia, regione della Grecia settentrionale. Un ruolo di spicco era svolto dai fratelli Konstantinos e Marios Meletis, in passato accusati di traffico di droga. Tra i nomi degli accusati vi è anche quello di Dimitrios Lambakis, imprenditore di 54 anni, proprietario di una fabbrica per la produzione di pasta sfoglia a Halkidiki: secondo la polizia la fabbrica era stata rilavata dagli usurai perché il precedente proprietario non era riuscito a pagare i suoi debiti. Secondo fonti del Ministero delle Finanze greco, molte delle operazioni di usura in Grecia sono connesse alle bande del crimine organizzato dei Balcani e dell’Est Europa. Quando la Romania e la Bulgaria entrarono a far parte dell’Unione Europea nel 2007, le bande criminali guadagnarono un facile accesso alla Grecia. Le loro principali attività sono il traffico di donne e di eroina, l’usura è solo un affare secondario.
Nell’organizzazione spunta il nome di Marcos Karamberis, il proprietario di un ristorante che si era candidato come vice-governatore dell’Imathia, regione della Grecia settentrionale. Un ruolo di spicco era svolto dai fratelli Konstantinos e Marios Meletis, in passato accusati di traffico di droga. Tra i nomi degli accusati vi è anche quello di Dimitrios Lambakis, imprenditore di 54 anni, proprietario di una fabbrica per la produzione di pasta sfoglia a Halkidiki: secondo la polizia la fabbrica era stata rilavata dagli usurai perché il precedente proprietario non era riuscito a pagare i suoi debiti. Secondo fonti del Ministero delle Finanze greco, molte delle operazioni di usura in Grecia sono connesse alle bande del crimine organizzato dei Balcani e dell’Est Europa. Quando la Romania e la Bulgaria entrarono a far parte dell’Unione Europea nel 2007, le bande criminali guadagnarono un facile accesso alla Grecia. Le loro principali attività sono il traffico di donne e di eroina, l’usura è solo un affare secondario.
Ma il mercato nero che ha le cifre più incisive nel contrabbando greco è quello che riguarda il petrolio. Dal contrabbando di gasolio illegale si ricavano fino a 3 miliardi di euro all’anno (dati del
2008). Le leggi greche fissano il prezzo del gasolio per uso navale/ marittimo — l’industria navale è il fiore all’occhiello dell’economia greca — a un terzo rispetto al prezzo del gasolio per le automobili o per il riscaldamento domestico. Succede però che i trafficanti trasformino il combustibile navale economico in costoso combustibile per case e automobili. È una pratica che richiede un’ampia infrastruttura criminale, inclusi depositi illegali vicino ai porti e alle grandi città per stoccare il combustibile navale, che viene adulterato e rivenduto per altro uso. Si stima che il 20% della benzina venduta in Grecia venga dal mercato illegale: i benzinai, a quel che si dice, vendono una benzina che sarebbe un mix di carburante comprato legalmente e carburante acquistato sul mercato nero, cosa che permette ai rivenditori di guadagnare di più ed evitare le tasse. Inoltre la Grecia importa il 99% del suo carburante, eppure secondo le cifre ufficiali riuscirebbe a esportarne ai Paesi vicini più di quanto importa. Panos Kostakos, politologo greco, ricorda che “La Grecia è il luogo di nascita della democrazia, ma il guaio è che l’attuale sistema politico è una Mafiocrazia Parlamentare. Dovremmo sempre tenerlo a mente quando discutiamo questioni di legge, ordine e giustizia”.
2008). Le leggi greche fissano il prezzo del gasolio per uso navale/ marittimo — l’industria navale è il fiore all’occhiello dell’economia greca — a un terzo rispetto al prezzo del gasolio per le automobili o per il riscaldamento domestico. Succede però che i trafficanti trasformino il combustibile navale economico in costoso combustibile per case e automobili. È una pratica che richiede un’ampia infrastruttura criminale, inclusi depositi illegali vicino ai porti e alle grandi città per stoccare il combustibile navale, che viene adulterato e rivenduto per altro uso. Si stima che il 20% della benzina venduta in Grecia venga dal mercato illegale: i benzinai, a quel che si dice, vendono una benzina che sarebbe un mix di carburante comprato legalmente e carburante acquistato sul mercato nero, cosa che permette ai rivenditori di guadagnare di più ed evitare le tasse. Inoltre la Grecia importa il 99% del suo carburante, eppure secondo le cifre ufficiali riuscirebbe a esportarne ai Paesi vicini più di quanto importa. Panos Kostakos, politologo greco, ricorda che “La Grecia è il luogo di nascita della democrazia, ma il guaio è che l’attuale sistema politico è una Mafiocrazia Parlamentare. Dovremmo sempre tenerlo a mente quando discutiamo questioni di legge, ordine e giustizia”.
La Grecia da molto tempo assieme alla Spagna è la porta delle rotte della cocaina in Europa. Nel dicembre 2011 un’indagine dell’antimafia di Milano ha portato all’arresto complessivamente di 11 persone al sequestro di 117 chili di cocaina, 48 di hashish e di vari automezzi utilizzati per un traffico illecito di droga dal Sudamerica in Italia attraverso la Grecia. Anche dietro la crisi spagnola ci sono anni di potere dei capitali criminali, di assenza di regole, di contrasto soltanto ai segmenti militari delle organizzazioni. Oggi la Spagna è colonizzata da gruppi criminali autoctoni (i galiziani, i baschi e gli andalusi) e da organizzazioni straniere (italiane, russe, colombiane e messicane). Storicamente è sempre stata un rifugio per i latitanti italiani, sebbene con l’entrata in vigore del mandato di cattura europeo le cose siano cambiate. Anche la legislazione antimafia spagnola è migliorata, ma il Paese continua a offrire grandi opportunità di riciclaggio, che con l’attuale crisi europea sono diventate ancora più grandi. Il boom immobiliare che la Spagna ha avuto dal 1997 al 2007 è sicuramente stato manna per queste organizzazioni, che hanno investito i loro guadagni sporchi nel mattone iberico.
Zakhar Kalashov e Taniel Oniani, arrestati rispettivamente nel 2006 e nel 2011, sono esponenti dell’organizzazione denominata “Ladri nella legge” attiva in Russia e Georgia; reinvestivano i ricavi dei loro traffici nel mercato immobiliare spagnolo. La Spagna poi è stata per tanti anni punto d’arrivo privilegiato in Europa per i trafficanti di cocaina: qui, seguendo la rotta atlantica, sbarcavano i carichi provenienti dalla Colombia, prima che le misure antimafia europee costringessero le organizzazioni a deviare il percorso verso l’Africa. Il boss del clan dei casalesi Nunzio De Falco risiedeva a Granada, dove ufficialmente gestiva un ristorante, ma in realtà trafficava droga. Gli “Spagnoli di Scampia” — come Raffaele Amato, arrestato a Marbella nel 2009 — stavano a Madrid, Barcellona e Costa del Sol e investivano nel mercato immobiliare e in finanziarie. Roberto Pannunzi e suo figlio Alessandro, broker del narcotraffico legati a varie ‘ndrine calabresi, utilizzavano la Spagna come base operativa per i loro traffici. Sebbene la “rotta africana” abbia modificato i percorsi della polvere bianca e la collocazione delle organizzazioni, la rotta atlantica non è stata abbandonata, si è solo ridimensionata. La Spagna, quindi, rappresenta ancora uno snodo fondamentale per il traffico di cocaina verso i Paesi europei. In una situazione del genere la proposta del magnate americano Sheldon Adelson di un investimento di 35 miliardi di dollari per Eurovegas, un complesso di casinò, attrazioni e strutture turistiche sulla scia di Las Vegas, da realizzarsi in Catalogna o vicino a Madrid, rischia di trasformare quei luoghi nel centro
di riciclaggio mafioso dell’Occidente.
di riciclaggio mafioso dell’Occidente.
Nel 2006 ci fu un’indagine della Banca Centrale di Spagna volta a spiegare l’incredibile quantità di banconote da 500 euro presenti sul territorio nazionale, soprannominate “Bin Laden” perché se ne parla tanto ma si vedono pochissimo, come accadeva per il capo talebano. Le banconote da 500 euro sono utilizzate molto di frequente dalle organizzazioni criminali perché occupano poco spazio per il trasporto e per lo stoccaggio: in una cassetta di sicurezza da 45 cm stanno fino a 10 milioni di euro in pezzi da 500. Nel 2010 le agenzie di cambio inglesi smisero di convertirla dopo aver scoperto che il 90% delle transazioni erano collegate a fenomeni criminali come narcotraffico o riciclaggio. Eppure, ancora nel 2011 le banconote da 500 euro rappresentavano il 71,4% del valore di tutte le banconote presenti in Spagna.
L’Italia, purtroppo, non fa eccezione. La mafia italiana ogni anno (rapporto SOSimpresa) può contare su una liquidità di 65 miliardi con un utile di circa 25 miliardi superiore all’ultima manovra finanziaria italiana. Le organizzazioni mafiose incidono direttamente sul mondo dell’impresa per 100 miliardi, pari al 7% del Pil nazionale. Tutti soldi di cui Stato e cittadini onesti vengono privati, e che finiscono invece nelle tasche dei mafiosi. “Sconfiggeremo la mafia entro la fine della legislatura”, aveva dichiarato il Premier Berlusconi nel 2009. “In tre anni sconfiggeremo la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta”, aveva ribadito nel 2010. Una delle tante promesse non mantenute. Il Premier italiano Mario Monti ha dichiarato che l’Italia si trova in uno stato di difficoltà soprattutto a causa dell’evasione fiscale, che va combattuta con strumenti forti: con strumenti anche più forti va combattuto il sommerso creato dalle mafie, che uccide l’economia pulita. Le mafie sono ormai organizzazioni internazionali, globalizzate, agiscono ovunque.
Parlano diverse lingue, stringono alleanze con gruppi oltreoceano, lavorano in joint-venture e fanno investimenti come qualsiasi multinazionale legale: non si può rispondere a colossi multinazionali con provvedimenti locali. Bisogna che ogni Paese faccia la propria parte, perché nessuno è immune. Bisogna colpire i capitali, il loro motore economico, che troppo spesso rimane illeso, perché più difficile da tracciare, e perché, come abbiamo visto, è un capitale che fa gola a tanti in momenti di crisi, alle banche prime fra tutti.
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