martedì 2 ottobre 2012

La trappola dell’euro


Nell'attesa del libro di Alberto Bagnai, esperto economista che da tempo si occupa della crisi dell'euro, lasciatemi spendere due parole su un libretto niente male uscito in questi giorni, e del quale
proprio Bagnai ha scritto la Prefazione.
Si tratta de La trappola dell'euro - La crisi, le cause, le conseguenze, la via d'uscita, edito da Asterios, Trieste. Gli autori sono due: Marino Badiale, docente di Analisi Matematica all'Università di Torino, e Fabrizio Tringali, sindacalista della Fiom. Una bella accoppiata. La crisi attuale viene spesso presentata come una crisi del debito
pubblico. La causa? Stati poco competitivi per via di governi spendaccioni e cittadini con poca voglia di lavorare. La soluzione? Copiare il rigore tedesco e le sue riforme del lavoro. Ma pochi ricordano che, seppure il rapporto debito/PIL italiano è
alto, intorno al 120%, esso è tale, o poco più basso, da almeno vent'anni. E che quello di altri Paesi colpiti duramente dalla crisi era assolutamente basso fino a poco tempo fa: in Spagna, per esempio
era del 36,2% del 2007, del 39,8% nel 2008, del 53,2% nel 2009.
E meno persone ancora sanno come si e' formato il divario di competitività fra la Germania e le Cenerentole d'Europa. In questo libro trovate una risposta su cui meditare..... dopo averlaletto vedrete che le tanto declamate virtù teutoniche non sembreranno
più tali, dato che scoprirete che è tramite la moderazione salariale che gli Stati del centro-nord Europa, in primis la Germania, riescono a mantenere il loro ruolo di Paesi esportatori. Vacillerà anche il diffusissimo luogo
comune secondo il quale in Germania si guadagna molto più che da noi, e così comincerà a sembrarvi meno assurda l'idea di abbandonare un’alleanza monetaria dove il più forte rifiuta di introdurre meccanismi
di riequilibrio delle disparità.
Alle argomentazioni economiche si affianca, nel libro, un'analisi dettagliata delle conseguenze sul piano sociale e politico delle scelte che i governanti, o meglio i banchieri che ormai governano
l'Europa, stanno realizzando. Vengono presentate le più discusse risposte alla crisi. Da una parte quelle che riguardano il piano economico-finanziario: eurobond, fondo salvastati, acquisto di titoli di Stato da parte della BCE; dall'altra quelle
attinenti alla sfera politica: aumento dei poteri e delle competenze delle istituzioni europee.
Gli autori sostengono come tutto ciò, da un punto di vista economico, non sia altro che un mero “prendere tempo” senza intaccare i meccanismi della crisi, mentre da un punto di vista politico determini
l'avvio di un processo destinato a sfociare nella perdita complessiva della sovranità degli Stati nazionali.
Il quadro che emerge mostra che stiamo tutt'altro che uscendo dal tunnel. Non solo. Per realizzare il salvataggio dell'euro stiamo realizzando ciò che fino a poco tempo fa sarebbe apparso impossibile:
l'attacco ai diritti e ai redditi dei lavoratori, la distruzione di quel “patto sociale europeo” che ha portato decenni di relativo benessere, e infine lo svuotamento della democrazia, necessario affinché si metta a tacere ogni forma di
possibile opposizione. Esempio? Nel nostro Paese tutto ciò si traduce in modifiche costituzionali di grandissimo rilievo, che vanno dall'obbligo del pareggio di bilancio sancito dalla Carta costituzionale, alla
possibilità di commissariamento dello Stato da parte degli organismi europei, all'azzeramento del potere degli istituti di controllo democratico a partire dallo stesso Parlamento.
La conclusione che gli autori ricavano dalle loro analisi è che la moneta unica va abbandonata il prima possibile. Gli autori conoscono molto bene le obiezioni che
immediatamente emergono ogni qual volta si proponga una discussione sull'opportunità di restare o meno nell’euro, e mostrano come tali obiezioni siano prive di fondamento. La principale è rappresentata dal diffuso timore di dover attraversare un periodo di
iper-inflazione in caso di ritorno alla valuta nazionale, a causa della necessaria svalutazione della nuova moneta. Ma il nostro Paese è già uscito da un sistema a cambi fissi svalutando
la propria moneta: era il settembre del 1992 e l'Italia abbandonava il Sistema Monetario Europeo, svalutando del 7%. Nel periodo successivo la lira continuò a deprezzarsi, ma l'inflazione non ne risentì. Il
tasso di aumento dei prezzi addirittura diminuì passando dal 5% del 1992 al 4% del 1993 fino al 3% del 1994. La svalutazione, quindi, non determinò alcun effetto catastrofico. Ed il motivo è che non esiste
nessuna legge che imponga al tasso di svalutazione di “riflettersi” in modo automatico su quello di inflazione.
Insomma questo libro sfata un bel po' di falsi miti e contribuisce a riportare la discussione sulla crisi, sull'euro e sulla UE fuori da catastrofismi irrazionali e dogmatismi fuorvianti. Un bel passo avanti
per cominciare a capire qual che sta accadendo.

Fonti:

sul rapporto debito/PIL italiano: Giorgio Arfaras, "Il debito pubblico
italiano, quando e chi lo ha formato", scaricabile all'indirizzo
internet: http://www.linkiesta.it/debito-pubblico-italiano

sul rapporto debito/PIL spagnolo: SPAGNA - Rapporto Congiunto
Ambasciata/ENIT 2012, scaricabile all'indirizzo internet
http://www.esteri.it/MAE/pdf_paesi/EUROPA/Spagna.pdf

sui tassi di inflazione del 1992, 1993 e 1994: Slides "Dati
macroeconomici: il prodotto" di Alberto Bagnai - Università “G.
D’Annunzio”, Facoltà di Economia, scaricabile all'indirizzo internet
http://w3.uniroma1.it/econometria/teaching/epol/Prodotto.pdf

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