venerdì 8 febbraio 2013

Certificati di Credito Fiscale


Certificati di Credito Fiscale, la riforma "morbida" del Sistema Monetario Europeo

Certificati di Credito Fiscale Marco Cattaneo

 di Marco Cattaneo, dal blog di Grillo

 Mi chiamo Marco Cattaneo e da quasi trent’anni mi occupo di finanza aziendale e investimenti, soprattutto in piccole e medie imprese (il mio blog: bastaconleurocrisi.blogspot.it). Voglio illustrarvi il mio progetto su come risolvere il grave deterioramento della nostra economia. Si può fare, e rapidamente. La chiave è agire sulla tassazione del lavoro, utilizzando un nuovo strumento monetario.

 Premessa: la crisi non nasce dal debito pubblico. Nel 2011 era il 120% del PIL come nel 1995. USA, Francia, Germania, Inghilterra sono saliti in media dal 60% al 90%. Abbiamo dunque accorciato le distanze, non le abbiamo allungate. Il debito nel 1995 non era un grande guaio: perché lo è diventato adesso? E perché sono andate in crisi anche Spagna e Irlanda, dove il debito era basso ?

 Nell’estate del 2011 lo spread è salito e si è detto: il debito è costoso, quindi va ridotto. Invece il fenomeno è un altro. Dall’introduzione dell’euro, i costi di produzione e i prezzi, nei disciplinati paesi nordeuropei, sono cresciuti meno di quelli del sud. Il delta medio è stato poco più di un punto all’anno, ma il cumulo ha prodotto una differenza del 20% circa. In passato le monete del nord si rivalutavano. Con l’euro si sono invece prodotti sbilanci commerciali, e quindi accumuli di crediti del nord verso il sud. I creditori hanno cominciato a temere per i loro crediti e il timore riduce le quotazioni. Un BTP con un valore di rimborso di 100 cala a 80. Se la quotazione cala, il costo sale. Fraintendendo le origini della crisi, Monti ha agito su debito pubblico e spesa, quindi con tagli e tasse. Lo spread è sceso, ma solo per gli interventi della BCE. Ma nel frattempo l’austerità ha compresso il PIL, che nel 2012 è caduto del 2,5% e nel 2013 calerà ancora. E non c’è inversione in vista.

 Il problema è la rigidità dell’euro: "I cambi flessibili erano l’ammortizzatore che compensava gli squilibri, il riduttore – direbbe un ingegnere meccanico – che trasmetteva il movimento senza sfridi tra ingranaggi che ruotano a velocità diverse". Invece di svalutare il cambio, con la moneta unica i paesi in difficoltà devono svalutare i salari. Strada dolorosa, iniqua, antisociale. E destinata a fallire: il PIL cala, il gettito dovuto alle maggiori tasse viene eroso dal calo di base imponibile, il credito si blocca, le imprese non hanno soldi per investire e diventare più efficienti. Anzi spesso delocalizzano o chiudono.

 Oltre a svalutare la moneta o svalutare i salari, però, una terza strada per riequilibrare i costi tra nord e sud è possibile: abbassare le tasse sul lavoro. In Italia i costi di lavoro annui sono quasi 1.000 miliardi. I lavoratori ne percepiscono circa 500, il resto sono tasse e contributi. Immaginiamo di ridurre del 10% il costo lordo per l’azienda (100 miliardi) e di aumentare del 10% il netto per il dipendente (50 miliardi): immaginiamo un'operazione da 150 miliardi  in tutto. Come finanziare questi 150 miliardi ?

 Qui entra in gioco il nuovo strumento: i Certificati di Credito Fiscale. Aziende e dipendenti continuano a versare gli stessi importi di prima, per tasse e contributi, ma ricevono nello stesso tempo questi Certificati. Immagina che il tuo netto sia 30.000 € all’anno, mentre al lordo di tasse e contributi al tuo datore di lavoro ne costi 60.000. Tu continui a percepire 30.000 €. In aggiunta, lo Stato ti assegna un Certificato per 3.000 € d’importo. L’azienda continua a pagare 60.000 €, ma lo Stato italiano gli assegna un Certificato per 6.000 €.

 I Certificati sono utilizzabili per qualunque pagamento dovuto allo Stato, a partire da due anni dopo l’emissione. Se nel 2013 ti arrivano Certificati per 3.000 euro, nel 2015 potrai usarli per pagare tasse, imposte, ticket sanitari… perfino multe! In pratica è un forte sgravio fiscale sul lavoro, con effetti differiti. Inoltre, lo sgravio assume le vesti di un titolo. Se non ho bisogno dei soldi subito, mi tengo i Certificati. Se no li vendo: hanno un valore certo, realizzabile a due anni, quindi sarà possibile comprarli e venderli come un titolo di Stato, con uno sconto basato sugli interessi di mercato.

 Punto importante: i Certificati non sono debito. Lo Stato non li rimborserà, ma li accetterà per qualsiasi pagamento: è moneta, non debito. Rispetto al contante tradizionale, però, l’utilizzo è differito di due anni. Il differimento serve perché al momento dell’utilizzo i Certificati ridurranno gli euro incassati dallo Stato. Non è un problema se nel frattempo l’economia è cresciuta e i maggiori introiti compensano quindi l’utilizzo dei Certificati. Finanzio quindi un calo delle imposte emettendo una “simil-moneta” utilizzabile nei confronti dello Stato italiano (non in tutta l’area euro). Se fosse la BCE a stampare euro, ci sarebbe inflazione in Germania, dove la domanda non è depressa.

 La UE non ce lo contesta? No: l’Italia non rimborserà i Certificati in cash: s’impegna solo ad accettarli in pagamento. E’ sui debiti da pagare cash che abbiamo vincoli con la UE, legati alle garanzie che sono state fornite. Con i Certificati non stiamo chiedendo nulla a nessuno, ci stiamo attrezzando per portare la nostra economia a regime.

 I Certificati produrranno una forte ripresa: grossa riduzione dei costi aziendali, quindi più competitività, e insieme molto più potere d’acquisto per i singoli. Questorovescia gli effetti dell’austerità e avvia subito una crescita di domanda sia interna che estera. 150 miliardi sono quasi il 10% del PIL, pari all’“output gap”, la differenza tra PIL effettivo e potenziale - quello che avremmo in condizioni normali. Il “buco” si è formato prima per effetto della crisi 2009, non è stato recuperato e si è aggravato nel 2012 a causa dell’austerità. Questo è il recupero ottenibile in un paio di anni. L’intervento sul cuneo fiscale svolge funzioni simili a un riallineamento valutario. In un sistema di cambi flessibili i paesi più competitivi rivalutano. Questo riequilibra i costi di lavoro per unità di prodotto. Qui otteniamo un effetto analogo per un’altra via.

 Perché preferisco questa via rispetto all’uscita dall’euro, che pure ritengo attuabile? Gli impatti negativi di cui si vocifera – crollo dell’economia, megainflazione – sono fantasie. Gruppi di interesse forti, però, remano contro. Il rischio è proseguire con i “cerotti”, facendo il minimo per evitare crolli, default, ma senza risolvere le cause, con il Sud Europa che resta depresso, con alta disoccupazione e malessere sociale.

 Quaii sono questi gruppi d’interesse, e perché dovrebbero accettare viceversa un sistima di certificati di credito fiscali? In realtà la soluzione Certificati è molto più accettabile, per loro, rispetto alla rottura dell’euro. Il primo dei tre gruppi sono gli organismi europei: UE e BCE. Non dico che il progetto li entusiasmerà, perché ricrea autonomie nazionali mentre loro spingono per la centralizzazione: il “più Europa”. Tuttavia, è innegabile che sia molto meglio un euro riformato che la fine dell’euro ! Poi vengono i creditori internazionali, il secondo gruppo di interesse. Per loro, tutto ciò che riduce il rischio di default dei singoli stati, o di fuoriuscite che implichino un rimborso in moneta svalutata, evidentemente è positivo. Il terzo gruppo sono gli industriali tedeschi, del nord Europa. L’euro che si spezza li lascia con una moneta (che sia Euro Nord, Euro Residuo o Nuovo Marco)  fortemente rivalutata, con conseguente perdita di competitività verso il resto del mondo. La riforma “morbida” dei Certificati di Credito Fiscali invece no. Certo, avranno più concorrenza dal sud, ma i surplus commerciali nord-sud sono in calo, quindi anche lo status quo non è più così interessante.

 Tra l’altro la riduzione degli squilibri commerciali non indica che i problemi si stiano risolvendo (come qualcuno sostiene). Il Sud è in depressione e l’import è crollato.Gli scambi devono equilibrarsi a fronte di un buon livello di attività, non perché il PIL dei paesi deficitari affonda. Il progetto Certificati rende il sud competitivo e insieme aumenta il potere d’acquisto interno. L’Italia esporterà di più e comprerà anche di più, anche dalla Germania. Ci sarà un equilibrio, ma a livelli di attività ben più alti. Dico "sud", non solo Italia, perché i Certificati sono utilizzabili in tutti i paesi in deficit di competitività rispetto al “centro”, cioè rispetto alla Germania. I paesi chiave sono l'Italia, la Spagna e anche la Francia, che è in una situazione intermedia e dovrebbe quindi attivarli in proporzioni meno accentuate.

 Con i Certificati di Credito Fiscale avremo così reso il sistema sostenibile ed efficiente, usando una leva di intervento, di flessibilità, per armonizzare le varie economie. Italia e Sud Europa usciranno dalla depressione e verrà meno il grande fattore di instabilità che oggi preoccupa il mondo, non solo l’Europa. Il progetto Certificati, la riforma del sistema monetario, risolve la depressione dell’economia.

 Faccio quindi appello alle forze politiche perché questo sistema venga esaminato, discusso ed eventualmente introdotto nei programmi di governo. Non è un progetto di destra né di sinistra, non è statalista né liberale. E’ il rimedio a un meccanismo sbagliato, a un difetto di costruzione del sistema euro. L’Italia ha un grande tessuto di imprenditoria, soprattutto di piccole e medie aziende. Le possibilità di recupero, di forte ripresa, ci sono tutte. Dobbiamo solo rimuovere un blocco. Per citare Keynes, ai tempi della Grande Depressione, l’auto ha solo la batteria scarica. Se la sostituiamo, tornerà a funzionare esattamente come prima.


 Note sull'autore: Marco Cattaneo, nato a Magenta (MI) nel 1962, si è laureato a pieni voti in economia aziendale (Bocconi 1985). Tra il 1985 e il 1994, ha ricoperto cariche nell’area pianificazione, controllo, finanza aziendale e finanza straordinaria presso il Gruppo Montedison. Dal 1995 gestisce fondi e rappresenta primari investitori internazionali in operazioni di private equity. Nella sua qualità di amministratore delegato di LBO Italia (1995-2007) e di presidente di CPI Private Equity (dal 2008 in poi) ha finalizzato undici operazioni di investimento in società imprenditoriali italiane di dimensione compresa tra i 10 e i 50 milioni di euro di fatturato, supervisionandone la gestione e sovraintendendo alla loro valorizzazione nel tempo.

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