domenica 2 settembre 2012

DE MICHELIS: "LA CIA SAPEVA DEI SOLDI AL PSI"


POLITICA
01/09/2012 - MANI PULITE I RAPPORTI ITALIA-USA

"La Seconda Repubblica
figlia di diplomatici e Fbi"

Gianni De Michelis, 71 anni, è stato segretario nazionale del nuovo Psi dal 2001 al 2007, iin compagnia di Bettino Craxi durante l’assemblea nazionale del partito a Roma nel 1991

De Michelis: «La Cia sapeva
dei soldi al Psi ma poi ci mollò»

MATTIA FELTRI, LA STAMPA
ROMA
Gianni De Michelis, lei nel 2003 scrisse un libro (La lunga ombra di Yalta, 2003) in cui delinea la sua teoria sui metodi del pool Mani pulite e sul ruolo non secondario degli Usa.
«E infatti per me non è stato sorprendente leggere le interviste a Reginald Bartholomew e Peter Semler: mi è sempre stato chiarissimo che l’inchiesta si è basata in gran parte sulla carcerazione preventiva come mezzo per ottenere confessioni, e ho sempre attribuito all’operazione Mani pulite una valenza essenzialmente politica».

Cioè?
«Non tutti i partiti hanno avuto lo stesso trattamento. La storia più famosa è quella di Primo Greganti alla cui vicenda il procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio diede una lettura particolarmente favorevole».

Perdoni ma non è così. Nonostante abbia subito una lunga carcerazione, Greganti ha sostenuto di aver intascato i soldi per sé. I giudici non gli hanno creduto, come dicono le sentenze, ma non hanno potuto dimostrare il coinvolgimento del Pci.
«Pensa che se Greganti fosse stato socialista sarebbe finita così?».

Questo è soltanto un sospetto.
«E il miliardo di Raul Gardini? Antonio Di Pietro ha raccontato di aver seguito i soldi fin sul portone di Botteghe Oscure, ma di non aver mai scoperto chi lo intascò. Ma come? Ma stiamo scherzando?».

Che il Pci c’entrasse in Mani pulite come gli altri è appurato.
«Benissimo, allora quello che voglio dire è che Bartholomew, e naturalmente mi spiace sia morto, quando si lamenta di certi sistemi degli inquirenti si lava la coscienza: lui e il suo paese avevano preso atto che la vecchia classe politica non c’era o non serviva più, e cominciò a dialogare con altri. Il gruppo dell’ex Pci doveva servire per vent’anni».

Un po’ poco per sostenere che gli Stati Uniti indirizzarono...
«La vostra intervista a Semler è illuminante. Il console dice che Di Pietro lo avvertì nel ’91 che presto il Psi e la Dc sarebbero stati spazzati via».

Per Di Pietro, Semler si è confuso.
«Ma siamo seri. Semler è un console, mica si confonde. I casi sono due: o dice la verità o mente. E io penso dica la verità».

Quindi?
«La Cia coprì l’apertura del Conto Protezione per il finanziamento illecito al Psi. Sapeva tutto. Il giorno dopo il disfacimento dell’impero comunista, la Cia ha preso e se n’è andata lasciandoci con il cerino in mano. Se ne andò perché l’Italia non aveva più un ruolo geopolitico e non c’era più da garantire l’equilibrio di Yalta. Da noi prevalse l’Fbi, interessata ad evitare che la mafia prendesse troppa forza».

Così paradossalmente voi e la Dc, che avevate garantito Yalta, venite lasciati nelle mani della magistratura.
«E nel ’92 Luciano Violante, del Pds, diventa presidente della Commissione antimafia. In quel ruolo ha un rapporto stretto con Louis Freeh, dell’Fbi. Niente di oscuro, s’intenda. Non parlo di complotti. Ma tutto si lega: l’ex Pci - con l’ambasciatore, con l’Fbi - diventa interlocutore dell’America. E al Pci non si applica il “non poteva non sapere”. Curioso no?».

C’è qualcosa che non torna. Sta dicendo che l’Fbi si occupa di mafia con lo Stato italiano e col Pds. Ma sono gli anni della trattativa, se trattativa ci fu. Furono gli americani a volerla?
«Non sono in grado di dirlo. Dovreste chiederlo a Di Pietro».

A Di Pietro?
«Sì, a Di Pietro. Dovreste chiedergli la natura dei suoi viaggi in America. Dovreste chiedergli di che cosa si parlò, che cosa avevano in testa gli americani in quegli anni, perché fu invitato dal Dipartimento di Stato».

Perché era l’uomo più importante d’Italia.
«No, era l’uomo politico più importante d’Italia. Altrimenti lo avrebbe invitato il Dipartimento della Giustizia, non il Dipartimento di Stato. Di Pietro aveva rapporti particolari e privilegiati con Washington, e sa molte cose su cui tace. E mi domando per quale ragione oggi torni fuori la trattativa: perché - è la mia sensazione - il disegno americano di impostare la Seconda repubblica è sostanzialmente fallito, e perché la magistratura è oggi frazionata su varie posizioni. È un altro equilibrio che si rompe».

Una teoria complicata ma chiara. Se è così, Bartholomew e Samler giocano la stessa partita: uno fa il poliziotto buono e uno il poliziotto cattivo.
«Esatto. A parte che Bartholomew racconta un fatto fondamentale: chiamò un grande giurista come Antonin Scalia e riunì sette alti magistrati italiani per parlare degli abusi del pool di Milano. A parte questo, Semler anticipava l’entrata dell’Fbi e Bartholomew compensava l’uscita della Cia. E’ lui, e lo racconta, che sceglie i nuovi interlocutori».

Aveva tutto questo peso, Bartholomew?
«Ma Bartholomew non era mica uno qualsiasi. Era un ambasciatore di rango. Era uno tosto, ascoltatissimo alla Casa Bianca. A un certo punto - non ricordo che incarico avesse all’epoca - si era persuaso nonostante le nostre rassicurazioni che Carlo De Benedetti se la facesse con l’Unione Sovietica. Nell’89 io e Francesco Cossiga andammo in vista dal presidente George Bush senior e anche lui ci parlò di De Benedetti. Voleva che prendessimo contromisure e non fu facile convincerlo che non era il caso».

Per dire quanto contasse Bartholomew?
«E per dire che la cortesia non ci fu restituita».

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