di Sergio Luciano, 2 agosto 2012 – Fonte: http://www.ilmondo.it/economia/2012-08-02/bankitalia-conflitti-interni-chi-deve-detenere-propriet-stato-o-banche_68696.shtml
Gli istituti azionisti vogliono la rivalutazione del capitale
Milano, 2 ago. Due anime si confrontano, all’interno del ministero dell’Economia, sul tema della proprietà di Banca d’Italia: un confronto pacato e cavilloso, non certo sostanzialista né acceso, visti i tempi. Eppure un confronto serrato: quella istituzionalista e gradualista rappresentata dal neo-ministro Vittorio Grilli, e quella più movimentista incarnata dal sottosegretario Gianfranco Polillo. Grilli è contrario a cambiare le cose, Polillo, e dietro di lui molti altri opinion-leader, spinge affinché si cambi.
Inutile dire che la partita è vinta a tavolino dal ministro sul Sottosegretario: ma solo al primo round, perché nel prosieguo gli equilibri potrebbe cambiare. Di che si tratta? La sostanza riguarda l’abrogazione ufficiale della legge del 2005 con cui il governo Berlusconi, ministro dell’Economia Giulio Tremonti, direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, stabilì che la proprietà del capitale di Bankitalia avrebbe dovuto passare dalle banche che attualmente la detengono allo Stato. Quella legge è rimasta lettera morta perché di lì a poco la legislatura terminò e questo avvenne prima che venisse promulgato il controverso regolamento d’attuazione.Ora le banche, sia attraverso l’Acri che attraverso l’Abi, rivendicano a gran voce l’abrogazione ufficiale della legge per arrivare a una successiva rivalutazione contabile delle loro quote di capitale in Banca d’Italia, che apporterebbe loro circa 10 miliardi di nuovo patrimonio “di vigilanza” (quello che Basilea 3 conteggia ne famosi ratio e rappresenta quindi una base per poter erogare nuovo credito). In soldoni, le quote che oggi valgono nominalmente 156 mila euro, potrebbero essere rivalutate a quota 10 miliardi. Questo produrrebbe per l’erario un prezioso miliardo di imposta di registro; e per le banche avrebbe un valore patrimoniale capace di attivare una leva di nuovi crediti per 125 miliardi di euro, il tutto senza spendere neanche un euro “vero”.Non c’è da scandalizzarsi: tutta la costruzione di Basilea 3 è infarcita di simili nominalismi euroburocratici, basti pensare all’assurdo per cui i titoli di Stato in portafoglio vengono contabilizzati col criterio del mark-to-market (in altre parole devono essere iscritti a bilancio per il loro valore di mercato e non per quello facciale, che pure è garantito al 100% in sede di rimborso) mentre i derivati finanziari verso controparti private non devono essere registrati con questo criterio ma discrezionalmente …
Inutile dire che la partita è vinta a tavolino dal ministro sul Sottosegretario: ma solo al primo round, perché nel prosieguo gli equilibri potrebbe cambiare. Di che si tratta? La sostanza riguarda l’abrogazione ufficiale della legge del 2005 con cui il governo Berlusconi, ministro dell’Economia Giulio Tremonti, direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, stabilì che la proprietà del capitale di Bankitalia avrebbe dovuto passare dalle banche che attualmente la detengono allo Stato. Quella legge è rimasta lettera morta perché di lì a poco la legislatura terminò e questo avvenne prima che venisse promulgato il controverso regolamento d’attuazione.Ora le banche, sia attraverso l’Acri che attraverso l’Abi, rivendicano a gran voce l’abrogazione ufficiale della legge per arrivare a una successiva rivalutazione contabile delle loro quote di capitale in Banca d’Italia, che apporterebbe loro circa 10 miliardi di nuovo patrimonio “di vigilanza” (quello che Basilea 3 conteggia ne famosi ratio e rappresenta quindi una base per poter erogare nuovo credito). In soldoni, le quote che oggi valgono nominalmente 156 mila euro, potrebbero essere rivalutate a quota 10 miliardi. Questo produrrebbe per l’erario un prezioso miliardo di imposta di registro; e per le banche avrebbe un valore patrimoniale capace di attivare una leva di nuovi crediti per 125 miliardi di euro, il tutto senza spendere neanche un euro “vero”.Non c’è da scandalizzarsi: tutta la costruzione di Basilea 3 è infarcita di simili nominalismi euroburocratici, basti pensare all’assurdo per cui i titoli di Stato in portafoglio vengono contabilizzati col criterio del mark-to-market (in altre parole devono essere iscritti a bilancio per il loro valore di mercato e non per quello facciale, che pure è garantito al 100% in sede di rimborso) mentre i derivati finanziari verso controparti private non devono essere registrati con questo criterio ma discrezionalmente …
E’ chiaro che Banca d’Italia non potrà mai essere venduta, né dallo Stato, se, come pure quella legge prescriveva, ne avesse acquisito la proprietà, né dalle banche che oggi nominalmente la detengono. Ma insomma, in tempi di penuria, l’operazione andrebbe fatta e appunto mai con tanta energia sia l’Abi che l’Acri l’avevano rivendicata. Ma mentre Polillo aveva rilasciato una dichiarazione più che possibilista, il “niet” di Grilli, per quanto informale, è stato perentorio. E ha fatto capire ai banchieri che c’è ancora molto, ma molto da lavorare per ottenere un obiettivo di buon senso …
Sembra l’uovo di Colombo. Anche perché l’idea è di un genovese puro come Giovanni Berneschi, classe 1937, da 55 anni fedele prima alla Cassa di Risparmio di Genova, poi a Banca Carige, di cui è presidente dal 2003. Idea semplice ma non banale: ripatrimonializzare la Banca d’Italia attraverso un aumento di capitale gratuito da 10 miliardi che permetterebbe alle banche azioniste di rafforzare a loro volta il patrimonio, liberare 125 miliardi di nuovo credito e remunerare lo Stato con un assegno da 1,6 miliardi a titolo d’imposta. Per Berneschi è un vecchio cavallo di battaglia. Ma ora che è appena stato rieletto alla vicepresidenza dell’Abi, è convinto che sia la volta buona. Sono anni che si parla delle quote di Bankitalia…«Da almeno 5-6 anni me ne occupo in forma riservata e nelle sedi opportune, attraverso un lavoro nascosto che, come la goccia che batte sulla roccia apuana e prima poi fa il buco, ora comincia a dare i suoi frutti: il riassetto del capitale di Bankitalia è uno dei punti del documento finale del convegno Acri di Palermo. Siamo usciti allo scoperto, ponendo la questione a livello istituzionale».
Si tratta di rivalutare il capitale della Banca Centrale, fermo a valori storici: ci spieghi bene.«L’attuale capitale della Banca d’Italia risale al ’36 quando, non a caso dopo una crisi come questa, enti pubblici e Casse di risparmio investirono 300 milioni di lire a titolo oneroso. E forzoso. Da allora non è stato più toccato e oggi ammonta a 156mila euro. Ma nel frattempo l’Istituto ha accumulato, imputandoli a riserva, 25 miliardi di euro di utili non distribuiti. Allora la proposta è questa: di quei 25 miliardi di patrimonio trasformiamone una parte, per esempio 10, in capitale, attraverso un aumento gratuito».
Operazione solo cartacea … «Certo. Ma con conseguenze concrete: il sistema bancario oggi privato che, in seguito alle trasformazioni delle Casse di risparmio, alla nascita delle Fondazioni, a fusioni e acquisizioni detiene il capitale di via Nazionale, avrebbe all’istante 10 miliardi di patrimonio in più; con questi, sulla base dei rapporti tra impieghi e capitale, sarebbero immediatamente disponibili 125 miliardi di nuovi crediti a famiglie e imprese; infine, applicando l’imposta sostitutiva del 16% sulle rivalutazioni, le banche verserebbero alle casse dello Stato 1,6 miliardi: soldi veri».
Detta così non è male. Ma c’è il rischio di consegnare definitivamente Bankitalia nelle mani di Intesa, Unicredit & c. «Ma no. L’indipendenza dell’Istituto centrale va salvaguardata e ciò è già garantito dallo statuto della Banca d’Italia: i soci di capitale non hanno alcun potere decisionale. Da essi dipende solo il Consiglio superiore, un organo essenzialmente di controllo, mentre i poteri di gestione vera e propria spettano al Direttorio, cioè al governatore (nominato dal Consiglio dei ministri, ndr), insieme con direttore generale e i suoi tre vice (nominati su proposta del governatore stesso, ndr)». Non c’è nemmeno il rischio che la rivalutazione delle quote finisca nelle tasche delle banche azioniste?«No. L’operazione non transita dal conto economico, ma è confinata nello stato patrimoniale».
Una boccata d’ossigeno anche per la sua Carige, che ha il 4% di Bankitalia: conflitto d’interesse?«Ma che c’entra? Questa operazione non fa che aumentare il rapporto tra patrimonio e attività come viene richiesto dall’Eba e dalle regole di Basilea 3. E di sicuro sarebbe di grande aiuto soprattutto per le banche minori, quelle con maggiori difficoltà nel raccogliere nuovo capitale». C’è però il problema della legge sul risparmio, la 262-2005, che prevede l’esatto contrario, cioè la «nazionalizzazione» di Bankitalia. «Vero, infatti quella legge va modificata: è l’unico passaggio parlamentare necessario per avviare la ricapitalizzazione, l’unico reale problema da superare».
È questo il motivo per cui non si è mai fatta la rivalutazione?«Diciamo che quella della statalizzazione, più o meno strisciante, della Banca d’Italia era un’idea fissa di Giulio Tremonti che ha trovato terreno fertile nella fase politica ed economica della metà del decennio scorso. Ma ora siamo in un mondo completamente diverso».E com’è il clima politico e istituzionale per procedere in questa direzione? Cosa ne pensa il governo?«Il clima, nel Governo e nel Parlamento, a differenza del passato è oggi molto più positivo: il ministro Passera è favorevole; lo sono anche le banche e i loro grandi azionisti; il progetto è noto al governatore a cui lo abbiamo sottoposto. L’operazione si può fare subito. Anche perché sarebbe urgente dare ossigeno all’economia.
Sergio Luciano
Sergio Luciano
Dare ossigeno alla grande usura per salvare l'economia ? Ma a chi la raccontano ?
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