mercoledì 29 agosto 2012

Saviano scopre i banchieri mannari


Mafie, i padroni della crisi Perché i boss non fanno crac.


La crisi è un busi­ness plan­e­tario per le mafie. I clan crim­i­nali entrano di pre­potenza nelle banche Usa per rici­clare mil­ioni di dol­lari. In Gre­cia approf­ittano della cor­ruzione e fanno affari coi car­bu­ranti. In spagna si infil­trano nel mer­cato immo­bil­iare e pun­tano ai prof­itti colos­sali come il prog­etto Eurove­gas. Un’economia sporca che si mime­tizza nei san­tu­ari della grande finanza
di ROBERTO SAVIANO
Roberto Saviano
CAPITALI mafiosi stanno traendo prof­itto dalla crisi eco­nom­ica euro­pea e, più in gen­erale, dalla crisi eco­nom­ica dell’Occidente, per infil­trare in maniera cap­il­lare l’economia legale. Eppure i cap­i­tali mafiosi non sono solo l’effetto della crisi glob­ale, ma anche e soprat­tutto la causa, per­ché pre­senti nei flussi eco­nomici sin dalle orig­ini di questa crisi. Nel dicem­bre 2009, il respon­s­abile dell’Ufficio Droga e Crim­ine dell’Onu, Anto­nio Maria Costa, riv­elò di avere le prove che i guadagni delle orga­niz­zazioni crim­i­nali fos­sero l’unico cap­i­tale d’investimento liq­uido che alcune banche ave­vano avuto a dis­po­sizione durante la crisi del 2008 per evitare il collasso.
Sec­ondo le stime del Fmi tra gen­naio 2007 e set­tem­bre 2009 le banche statu­nitensi ed europee persero più di 1 bil­ione di dol­lari in titoli tossici e prestiti inesi­gi­bili e più di 200 eroga­tori di mutui ipote­cari andarono in ban­car­otta. Molti grandi isti­tuti di cred­ito fal­lirono, furono ril­e­vati o com­mis­sion­ati dal gov­erno. È pos­si­bile dunque indi­vid­uare il momento esatto in cui le orga­niz­zazioni crim­i­nali ital­iane, russe, bal­caniche, giap­ponesi, africane, indi­ane sono diven­tate deter­mi­nanti per l’economia inter­nazionale. Ciò è avvenuto nella sec­onda metà del 2008, quando la liq­uid­ità era diven­tata il prob­lema prin­ci­pale del sis­tema ban­cario. Il sis­tema era prati­ca­mente
par­al­iz­zato a causa della rilut­tanza delle banche a con­cedere prestiti e solo le orga­niz­zazioni crim­i­nali sem­bra­vano avere enormi quan­tità di denaro con­tante da inve­stire, da riciclare.
Una recente inchi­esta di due econ­o­misti colom­biani, Ale­jan­dro Gaviria e Daniel Mejiia dell’Università di Bogotà, ha riv­e­lato che il 97,4% degli introiti prove­ni­enti dal nar­co­traf­fico in Colom­bia viene pun­tual­mente rici­clato da cir­cuiti ban­cari di Usa ed Europa attra­verso varie oper­azioni finanziarie. Sti­amo par­lando di centi­naia di mil­iardi di dol­lari. Il rici­clag­gio avviene attra­verso un sis­tema di pac­chetti azionari, un mec­ca­n­ismo di scat­ole cinesi per cui i soldi con­tanti ven­gono trasfor­mati in titoli elet­tron­ici, fatti pas­sare da un Paese all’altro, e quando arrivano in un altro con­ti­nente sono pres­soché puliti e, soprat­tutto, irrin­trac­cia­bili. Così i prestiti inter­ban­cari iniziarono a essere sis­tem­ati­ca­mente finanziati con i soldi prove­ni­enti dal traf­fico di droga e da altre attiv­ità ille­cite. Alcune banche si sal­varono solo gra­zie a questi soldi. Gran parte dei 352 mil­iardi di dol­lari prove­ni­enti dal nar­co­traf­fico sono stati assor­biti dal sis­tema eco­nom­ico legale, per­fet­ta­mente rici­clati. Questo non dimostra soltanto che in tempo di crisi le difese immu­ni­tarie delle banche si abbas­sano peri­colosa­mente, ma anche che in tempo di ripresa eco­nom­ica i cap­i­tali crim­i­nali deter­min­er­anno le politiche finanziarie delle banche salve gra­zie ai cap­i­tali crim­i­nali. Questa dinam­ica spinge a inter­rog­a­rsi sul peso che le orga­niz­zazioni crim­i­nali hanno sul sis­tema eco­nom­ico in tempo di crisi e a con­sid­er­are nec­es­sario un mag­giore con­trollo del set­tore bancario.
E se i soldi della droga sono così utili alle banche e ai Paesi che li rici­clano, ciò aiuta a spie­gare anche come mai la lotta alla droga in molti Paesi occi­den­tali viene fatta “con il freno a mano”, soprat­tutto in momenti di crisi in cui la liq­uid­ità mon­e­taria è vista come un’oasi nel deserto. Si pren­dono di mira solo la fase pro­dut­tiva e le attiv­ità dei cartelli crim­i­nali, e si trascura la fase di rici­clag­gio dei proventi. In defin­i­tiva si com­batte la micro­econo­mia della droga, ma non la macro­econo­mia. Basti pen­sare che se in Colom­bia esistono mis­ure alta­mente restrit­tive per impedire l’immissione nelle banche di ingenti quan­tità di denaro, negli Usa la legge sulla pri­vacy e il seg­reto ban­cario per­me­tte la creazione di un fondo ban­cario senza conoscerne l’origine. Il sospetto, quindi, è che le isti­tuzioni amer­i­cane ed europee sap­pi­ano molto di più di quanto dicano e che attac­care i grandi gruppi finanziari non sia facile per i governi.
I cap­i­tali crim­i­nali stanno tor­nando nelle banche. In questo con­testo, i momenti più crit­ici sono stati la crisi finanziaria in Rus­sia — le cui cause furono attribuite anche al dila­gare della mafia russa — e quelle glob­ali del 2003 e del 2007–2008. Il set­tore finanziario si ritrovò a corto di liq­uid­ità, così le banche si aprirono ai cartelli crim­i­nali che ave­vano soldi da inve­stire. “Le banche negli Stati Uniti sono usate per accogliere grandi quan­tità di cap­i­tali illeciti occul­tati nei mil­iardi di dol­lari che ven­gono trasfer­iti tra banca e banca ogni giorno”, ha dichiarato il capo della Sezione Rici­clag­gio del Dipar­ti­mento di Gius­tizia degli Stati Uniti, Jen­nifer Shasky Calvery, a feb­braio 2012 durante una seduta al con­gresso sul crim­ine orga­niz­zato. New York e Lon­dra sareb­bero diven­tate le due più grandi lavan­derie di denaro sporco del mondo. Non più i par­a­disi fis­cali come le Cay­man Islands, o la Isle of Man. Ma la City e Wall Street. Durante la crisi, le banche diven­tano più con­ve­ni­enti e soprat­tutto sicure per il rici­clag­gio. Quando si riu­nisce, il G20 dovrebbe farlo con la sola pri­or­ità di costru­ire nuove regole per far fronte all’economia crim­i­nale, forza assai più potente del ter­ror­ismo nello svuotare la democrazia ed erodere i diritti, com­pro­met­tere i mer­cati, con­cedere appar­enti
ricchezze.
La Gre­cia da molti anni vive un’aggressione crim­i­nale che l’Europa e i gov­erni greci hanno sot­to­va­l­u­tato. Questa aggres­sione è cer­ta­mente uno degli ele­menti che hanno por­tato al dis­as­tro eco­nom­ico e alla fragilità delle isti­tuzioni. L’Indice di Cor­ruzione 2011 sti­lato da Trans­parency Inter­na­tional vede la Gre­cia allo stesso liv­ello della Colom­bia. La cor­ruzione in Gre­cia è costata circa 860 mil­ioni di euro nel 2009 e circa 590 nel 2010. Tra le isti­tuzioni più cor­rotte del Paese ci sareb­bero ospedali e uffici dell’erario. Questi dati dicono chiara­mente che la Gre­cia è da decenni terra di inves­ti­mento mafioso. Non è un caso che il più grande ver­tice della mafia russa degli ultimi anni si sarebbe tenuto a dicem­bre 2010 pro­prio in Gre­cia, in un ris­torante di Salonicco. Vi avreb­bero preso parte i rap­p­re­sen­tanti di una ses­san­tina di famiglie mafiose per porre fine a una guerra san­guinosa iniziata nel 2008 e che ha coin­volto anche la Gre­cia, dove nel mag­gio 2010 morì improvvisa­mente Lavrenty Chok­ladis, rap­p­re­sen­tate per l’Europa del padrino 73enne Aslan Usoyan detto “Nonno Has­san”. Ora, a causa della crisi, i greci hanno dovuto met­tere mano ai loro risparmi: circa 50 mil­iardi di euro sono stati prel­e­vati dalle banche greche dal 2009 al 2011. Venendo a man­care i canali di prestito uffi­ciali, sem­pre più per­sone ricor­rono ai prestiti ille­gali, riv­ol­gen­dosi agli strozzini.
Sec­ondo alcuni dati, in Gre­cia, il mer­cato nero dei prestiti ille­gali avrebbe un giro d’affari di circa 5 mil­iardi di euro all’anno; sec­ondo il gov­erno, invece, sarebbe addirit­tura pari al doppio, cioè 10 mil­iardi. Attiv­ità che pare sia qua­dru­pli­cata dall’inizio della crisi nel 2009. Di questa cifra, più della metà rimane nelle tasche degli usurai, che appli­cano tassi di inter­esse a par­tire dal 60% annuo. A gen­naio a Salonicco (sec­onda città più grande della Gre­cia) è stata sgom­i­nata un’organizzazione crim­i­nale che prestava soldi a un tasso di inter­esse tra il 5 e il 15% a set­ti­mana. E per chi non pagava erano pre­viste punizioni. Il gruppo era attivo a Salonicco da più di 15 anni ed era com­posto da 53 estor­sori, tra cui due avvo­cati, un medico, un dipen­dente di una squadra di cal­cio. Il numero di vit­time accer­tate è tra 1.500 e 2.000, per un guadagno totale di circa 1 mil­iardo di euro.
Nell’organizzazione spunta il nome di Mar­cos Karam­beris, il pro­pri­etario di un ris­torante che si era can­didato come vice-governatore dell’Imathia, regione della Gre­cia set­ten­tri­onale. Un ruolo di spicco era svolto dai fratelli Kon­stan­ti­nos e Mar­ios Meletis, in pas­sato accusati di traf­fico di droga. Tra i nomi degli accusati vi è anche quello di Dim­itrios Lam­bakis, impren­di­tore di 54 anni, pro­pri­etario di una fab­brica per la pro­duzione di pasta sfoglia a Halkidiki: sec­ondo la polizia la fab­brica era stata rilavata dagli usurai per­ché il prece­dente pro­pri­etario non era rius­cito a pagare i suoi deb­iti. Sec­ondo fonti del Min­is­tero delle Finanze greco, molte delle oper­azioni di usura in Gre­cia sono con­nesse alle bande del crim­ine orga­niz­zato dei Bal­cani e dell’Est Europa. Quando la Roma­nia e la Bul­garia entrarono a far parte dell’Unione Euro­pea nel 2007, le bande crim­i­nali guadag­narono un facile accesso alla Gre­cia. Le loro prin­ci­pali attiv­ità sono il traf­fico di donne e di eroina, l’usura è solo un affare secondario.
Ma il mer­cato nero che ha le cifre più inci­sive nel con­tra­b­bando greco è quello che riguarda il petro­lio. Dal con­tra­b­bando di gaso­lio ille­gale si rica­vano fino a 3 mil­iardi di euro all’anno (dati del
2008). Le leggi greche fis­sano il prezzo del gaso­lio per uso navale/ marit­timo — l’industria navale è il fiore all’occhiello dell’economia greca — a un terzo rispetto al prezzo del gaso­lio per le auto­mo­bili o per il riscal­da­mento domes­tico. Suc­cede però che i traf­fi­canti trasformino il com­bustibile navale eco­nom­ico in cos­toso com­bustibile per case e auto­mo­bili. È una prat­ica che richiede un’ampia infra­strut­tura crim­i­nale, inclusi depositi ille­gali vicino ai porti e alle grandi città per stoc­care il com­bustibile navale, che viene adul­ter­ato e riven­duto per altro uso. Si stima che il 20% della ben­z­ina ven­duta in Gre­cia venga dal mer­cato ille­gale: i ben­z­i­nai, a quel che si dice, ven­dono una ben­z­ina che sarebbe un mix di car­bu­rante com­prato legal­mente e car­bu­rante acquis­tato sul mer­cato nero, cosa che per­me­tte ai riven­di­tori di guadagnare di più ed evitare le tasse. Inoltre la Gre­cia importa il 99% del suo car­bu­rante, eppure sec­ondo le cifre uffi­ciali rius­cirebbe a esportarne ai Paesi vicini più di quanto importa. Panos Kostakos, poli­tol­ogo greco, ricorda che “La Gre­cia è il luogo di nascita della democrazia, ma il guaio è che l’attuale sis­tema politico è una Mafiocrazia Par­la­mentare. Dovremmo sem­pre ten­erlo a mente quando dis­cu­ti­amo ques­tioni di legge, ordine e giustizia”.
La Gre­cia da molto tempo assieme alla Spagna è la porta delle rotte della cocaina in Europa. Nel dicem­bre 2011 un’indagine dell’antimafia di Milano ha por­tato all’arresto com­p­lessi­va­mente di 11 per­sone al seque­stro di 117 chili di cocaina, 48 di hashish e di vari automezzi uti­liz­zati per un traf­fico illecito di droga dal Sudamer­ica in Italia attra­verso la Gre­cia. Anche dietro la crisi spag­nola ci sono anni di potere dei cap­i­tali crim­i­nali, di assenza di regole, di con­trasto soltanto ai seg­menti mil­i­tari delle orga­niz­zazioni. Oggi la Spagna è col­o­niz­zata da gruppi crim­i­nali autoc­toni (i gal­iziani, i baschi e gli andalusi) e da orga­niz­zazioni straniere (ital­iane, russe, colom­biane e mes­si­cane). Stori­ca­mente è sem­pre stata un rifu­gio per i lati­tanti ital­iani, sebbene con l’entrata in vig­ore del mandato di cat­tura europeo le cose siano cam­bi­ate. Anche la leg­is­lazione anti­mafia spag­nola è miglio­rata, ma il Paese con­tinua a offrire grandi oppor­tu­nità di rici­clag­gio, che con l’attuale crisi euro­pea sono diven­tate ancora più grandi. Il boom immo­bil­iare che la Spagna ha avuto dal 1997 al 2007 è sicu­ra­mente stato manna per queste orga­niz­zazioni, che hanno investito i loro guadagni sporchi nel mat­tone iberico.
Zakhar Kalashov e Taniel Oni­ani, arrestati rispet­ti­va­mente nel 2006 e nel 2011, sono espo­nenti dell’organizzazione denom­i­nata “Ladri nella legge” attiva in Rus­sia e Geor­gia; rein­ves­ti­vano i ricavi dei loro traf­fici nel mer­cato immo­bil­iare spag­nolo. La Spagna poi è stata per tanti anni punto d’arrivo priv­i­le­giato in Europa per i traf­fi­canti di cocaina: qui, seguendo la rotta atlantica, sbar­ca­vano i carichi prove­ni­enti dalla Colom­bia, prima che le mis­ure anti­mafia europee costringessero le orga­niz­zazioni a deviare il per­corso verso l’Africa. Il boss del clan dei casalesi Nun­zio De Falco risiedeva a Granada, dove uffi­cial­mente ges­tiva un ris­torante, ma in realtà traf­fi­cava droga. Gli “Spag­noli di Scampia” — come Raf­faele Amato, arrestato a Mar­bella nel 2009 — sta­vano a Madrid, Bar­cel­lona e Costa del Sol e inves­ti­vano nel mer­cato immo­bil­iare e in finanziarie. Roberto Pan­nunzi e suo figlio Alessan­dro, bro­ker del nar­co­traf­fico legati a varie ‘ndrine cal­abresi, uti­liz­za­vano la Spagna come base oper­a­tiva per i loro traf­fici. Sebbene la “rotta africana” abbia mod­i­fi­cato i per­corsi della pol­vere bianca e la col­lo­cazione delle orga­niz­zazioni, la rotta atlantica non è stata abban­do­nata, si è solo ridi­men­sion­ata. La Spagna, quindi, rap­p­re­senta ancora uno snodo fon­da­men­tale per il traf­fico di cocaina verso i Paesi europei. In una situ­azione del genere la pro­posta del mag­nate amer­i­cano Shel­don Adel­son di un inves­ti­mento di 35 mil­iardi di dol­lari per Eurove­gas, un com­p­lesso di cas­inò, attrazioni e strut­ture tur­is­tiche sulla scia di Las Vegas, da real­iz­zarsi in Cat­a­logna o vicino a Madrid, rischia di trasfor­mare quei luoghi nel cen­tro
di rici­clag­gio mafioso dell’Occidente.
Nel 2006 ci fu un’indagine della Banca Cen­trale di Spagna volta a spie­gare l’incredibile quan­tità di ban­conote da 500 euro pre­senti sul ter­ri­to­rio nazionale, sopran­nom­i­nate “Bin Laden” per­ché se ne parla tanto ma si vedono pochissimo, come accadeva per il capo tale­bano. Le ban­conote da 500 euro sono uti­liz­zate molto di fre­quente dalle orga­niz­zazioni crim­i­nali per­ché occu­pano poco spazio per il trasporto e per lo stoccag­gio: in una cas­setta di sicurezza da 45 cm stanno fino a 10 mil­ioni di euro in pezzi da 500. Nel 2010 le agen­zie di cam­bio inglesi smis­ero di con­ver­tirla dopo aver scop­erto che il 90% delle transazioni erano col­le­gate a fenomeni crim­i­nali come nar­co­traf­fico o rici­clag­gio. Eppure, ancora nel 2011 le ban­conote da 500 euro rap­p­re­sen­ta­vano il 71,4% del val­ore di tutte le ban­conote pre­senti in Spagna.
L’Italia, purtroppo, non fa eccezione. La mafia ital­iana ogni anno (rap­porto SOSimpresa) può con­tare su una liq­uid­ità di 65 mil­iardi con un utile di circa 25 mil­iardi supe­ri­ore all’ultima manovra finanziaria ital­iana. Le orga­niz­zazioni mafiose inci­dono diret­ta­mente sul mondo dell’impresa per 100 mil­iardi, pari al 7% del Pil nazionale. Tutti soldi di cui Stato e cit­ta­dini onesti ven­gono pri­vati, e che finis­cono invece nelle tasche dei mafiosi. “Scon­fig­ger­emo la mafia entro la fine della leg­is­latura”, aveva dichiarato il Pre­mier Berlus­coni nel 2009. “In tre anni scon­fig­ger­emo la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta”, aveva rib­a­dito nel 2010. Una delle tante promesse non man­tenute. Il Pre­mier ital­iano Mario Monti ha dichiarato che l’Italia si trova in uno stato di dif­fi­coltà soprat­tutto a causa dell’evasione fis­cale, che va com­bat­tuta con stru­menti forti: con stru­menti anche più forti va com­bat­tuto il som­merso cre­ato dalle mafie, che uccide l’economia pulita. Le mafie sono ormai orga­niz­zazioni inter­nazion­ali, glob­al­iz­zate, agis­cono ovunque.
Par­lano diverse lingue, stringono alleanze con gruppi oltre­o­ceano, lavo­rano in joint-venture e fanno inves­ti­menti come qual­si­asi multi­nazionale legale: non si può rispon­dere a colossi multi­nazion­ali con provved­i­menti locali. Bisogna che ogni Paese fac­cia la pro­pria parte, per­ché nes­suno è immune. Bisogna colpire i cap­i­tali, il loro motore eco­nom­ico, che troppo spesso rimane illeso, per­ché più dif­fi­cile da trac­ciare, e per­ché, come abbi­amo visto, è un cap­i­tale che fa gola a tanti in momenti di crisi, alle banche prime fra tutti.

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