LA SPECIAL RELATIONSHIP ITALIA-IRAN
ALLA PROVA DELLE SANZIONI
http://www.meridianionline.org/2012/05/02/special-relationship-italia-iran-sanzioni/
Sire, è un grande onore ed un privilegio eccezionale per me quello di confermare a Vostra Maestà Imperiale l’accordo concluso con Monsieur Maybud per la ricerca, lo sviluppo e la produzione di petrolio in Iran”. Questo l’incipit della lettera che nell’ottobre 1956 Enrico Mattei inviò allo Scià Reza Pahlevi. L’uomo che sfidò il cartello delle “Sette Sorelle” negli anni del dopoguerra proseguiva affermando: “approfitto di questa occasione per assicurare a Sua Maestà Imperiale che l’accordo è stato basato esclusivamente sul comune interesse dell’Iran e dell’Italia”.
Citare le parole dell’allora Presidente dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) è un buon modo per indicare l’eccezionalità dei rapporti tra Roma e la controparte persiana basati, essenzialmente, sull’oro nero. Eccezionalità che spesso ha creato qualche imbarazzo – e, perché no, anche qualche invidia – presso gli alleati occidentali della Penisola. Eccezionalità che oggi, dinanzi al pericolo nucleare, sembra stemperarsi nel quadro delle sanzioni adottate contro il regime degli Ayatollah.
Da Sapere
Quest’anno ricorre il 150esimo anniversario dalla prima missione diplomatica italiana in Iran. Fu Marcello Cerruti a guidare la delegazione della neonata Repubblica su iniziativa dell’allora Presidente del Consiglio Bettino Ricasoli. L’incarico fu affidato al diplomatico genovese in virtù dell’esperienza maturata come rappresentante a Costantinopoli del Regno di Sardegna. Cerruti riuscì ad intessere proficui rapporti con lo Scià Qajar Nasserroddin, inaugurando una stagione di scambi che durerà sino al 2012.
Roma ha deciso di appoggiare la linea dura tracciata da Bruxelles il 23 gennaio scorso. Si tratta dello stop alle importazioni di petrolio provenienti dall’Iran, di misure restrittive nei confronti della Banca Centrale Iraniana e del divieto di esportare materiali ed equipaggiamenti che potrebbero servire alla costruzione dell’atomica sciita. La strategia dell’Unione Europea segue la traiettoria del pugno sferrato da Washington contro gli Ayatollah al termine del 2011.
Mario Monti, discutendo della questione con il Presidente del Parlamento europeo, ha parlato di “sacrificio necessario”. Il Professore ha evidenziato la diversa sensibilità dei Paesi dell’Unione rispetto a quanto deciso. All’interno dei 27 vi è chi chiude a malincuore un rubinetto prezioso come quello di Teheran che sazia, secondo appetiti differenti, la domanda energetica del Vecchio continente. Tra gli scontenti rientra, appunto, l’Italia.
Le sofferenze non sono causate soltanto dal volume delle importazioni dall’Iran (circa il 13% del fabbisogno nazionale), ma anche dalla qualità del petrolio degli Ayatollah. Molti impianti di raffinazione italiani sono stati tarati su un greggio particolarmente pesantee rischiano di vedere drasticamente ridotta la loro capacità di produzione. Ma anche per Grecia e Spagna è stata una pillola amara. La prima dipendeva del 30% da Teheran, mentre la seconda del 10%, e se Atene è la maggiore fonte di preoccupazione a livello regionale, Madrid è considerata sull’orlo del baratro. Uno shock petrolifero bloccherebbe i già cigolanti meccanismi della ripresa nell’Europa meridionale.
Il placet italiano alle sanzioni non era scontato. Obama e Netanyahu hanno ringraziato Monti per aver dato il proprio assenso al tentativo di bloccare la corsa iraniana al nucleare. Una tale premura diplomatica è indice di quella che può essere definita la special relationship tra Roma e Teheran.
L’accordo stipulato da Mattei con lo Scià di Persia impresse una decisa accelerazione alle relazioni tra i due Paesi. Il Presidente dell’ENI presentò un volto nuovo dell’imprenditore straniero interessato al tesoro minerario iraniano. La proposta di una compartecipazione nello sfruttamento del petrolio aprì le porte alla presenza italiana in una zona considerata vero e proprio feudo della British Petroleum.
Lo scambio tra Roma e Teheran cominciò ad essere incentrato sulla formula “greggio per macchinari”, che consentiva all’Italia di sopperire in parte ai suoi bisogni energetici e all’Iran di acquistare macchinari ed attrezzature per lo sviluppo dell’industria nazionale. Un sodalizio basato sul mutuo interesse e sulla non ingerenza nei rispettivi affari che fu ufficiato nel 1999 con l’istituzione a Roma della Camera di Commercio e Industria Italo-Iraniana (CCII). Obiettivo dell’organismo: incentivare e facilitare le joint venture tra società nostrane e la Repubblica Islamica. Tra i grandi nomi italiani sbarcati sulle sponde del Golfo Persico si annoverano Ansaldo, Montedison, Fiat, Maire Tecnimont e Saipem (gruppo ENI).
Poco dopo, nel 2001, le promesse nuziali furono rinnovate con la stipulazione di un accordo tra l’iraniana Markazi Bank e l’UBAE (Unione Banche Arabe e Europee). L’impresa bancaria a capitale italo-arabo fu creata nel 1972 al fine di consigliare le imprese e le istituzioni finanziarie interessate a fare affari nel Maghreb e in Medio Oriente. Attraverso il ventaglio professionale consolidato dell’UBAE, il patto con la Markazi Bank intendeva quindi fornire un sostegno finanziario alle partnership italo-iraniane.
L’atteggiamento politico nei confronti di Teheran nell’ultimo decennio è cambiato. Si è passati dalle rassicurazioni del Presidente del Consiglio Romano Prodi circa una soluzione pacifica del contenzioso sul nucleare nel 2006 al discorso del suo successore, Silvio Berlusconi, alla knesset israeliana nel 2010. In quest’ultima occasione, l’affondo dell’allora Premier nei confronti dell’Iran era stato seguito da dimostrazioni contro la nostra ambasciata nella capitale degli Ayatollah.
Sempre nella sua allocuzione alla camera legislativa, Berlusconi aveva annunciato il ritiro progressivo dell’ENI dall’Iran. In effetti, di pari passo con l’inasprirsi della tensione internazionale contro il regime, le società italiane iniziarono un progressivo ripiegamento dal Paese. Ciò nonostante, l’interscambio tra Roma e Teheran ha continuato a registrare ottime performance. L’Italia è divenuta il secondo Paese esportatore europeo verso l’Iran (dopo la Germania) e la percentuale dell’import è aumentata del 30,5% tra il 2010 ed il 2011. Ovviamente l’incremento è trascinato dalla voce “petrolio”.
Crisi economica, deboli equilibri mediorientali, una lunga storia di relazioni proficue. Questi gli elementi di incertezza per Roma nell’assecondare la pressione internazionale sull’Iran. La fiducia riposta da Teheran nella controparte italiana è tale da aver suggerito l’inserimento della piccola Penisola nel gruppo 5+1 che sta negoziando sul nucleare proprio con l’Iran. Ma l’invito è stato rifiutato per garantire un’equidistanza più congeniale ad un Paese dal tallone d’Achille energetico.
L’embargo stabilito contro l’import di petrolio iraniano entrerà in vigore il 1° luglio. Si tratta di un intervallo tecnico per consentire agli Stati più dipendenti da Teheran di organizzare una differenziazione degli approvvigionamenti.
Gli operatori del settore In Italia lanciano l’allarme sulla capacità di tenuta delle raffinerie (il nostro sistema ne conta 16), nelle quali il malcontento sfiora l’insubordinazione. Il greggio iraniano può essere sostituito, ma questo richiede investimenti per rinnovare le strutture e il pagamento di un prezzo maggiore per acquistare un prodotto di pari qualità. L’effetto dello strike sanzionatorio, inoltre, non è certo, mentre sono noti i canali per aggirare l’embargo.
Piccola consolazione per l’Italia è stata la concessione per l’ENI di riscuotere sotto forma di petrolio i crediti (2 miliardi di euro) che vanta nei confronti dell’Iran sulla base dei contratti “buy back”. Questi ultimi garantiscono di recuperare l’ammontare investito attraverso un compenso fisico, per poi restituire il giacimento alla NIOC (National Iranian Oil Company).
Quella delle sanzioni contro l’Iran è un’equazione a molte – forse troppe – incognite. La certezza è che trovare un’alternativa a Teheran comporterà dei costi per il comparto energetico italiano, in un momento nero per il sistema produttivo. Ma non è solo per il petrolio, è anche per un sistema di scambi florido e per un rapporto di fiducia sul quale la potenza sciita pensava di poter contare.
Chissà se gli operatori della NIOC staccheranno la foto dei tecnici di Mattei (impegnati in esplorazioni sui monti Zagros) che, si narra, è ancora appesa negli uffici di Teheran della compagnia iraniana.
2 maggio 2012
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