Fuoco e tasse
di Francesco Mario Agnoli - 04/04/2012
Fonte: Arianna Editrice
Il 18 dicembre 2010 in una Tunisia già scossa da problemi economici e dal rincaro dei generi alimentari si cosparse di benzina e si diede fuoco il giovane Mohamed Bouazizi.
Sempre per problemi economici a fine marzo 2012 nel giro di due giorni alterettanto hanno fatto a Bologna, davanti all'Agenzia Generale delle Entrate, un imprenditore gravato da imposte
e debiti, e, a Verona, in piazza Bra, un immigrato marocchino da quattro mesi senza stipendio.
Le fiamme di Bouazizi si sono estese a tutta l'Africa del Nord provocando la cosiddetta “primavera araba”, in Italia per i fuochi di Bologna e Verona non si è scossa foglia.
Ovviamente nessuno si augura, dopo quelle arabe, una primavera italiana tanto più che le prime si sono ben presto trasformate in un sanguinoso inverno. Tuttavia era lecito aspettarsi qualcosa di più dei rituali piagnistei dedicati dalle cronache giornalistiche a simili fatti e (supposto che pensasse anche a loro) dei commenti “cinesi” di Monti a proposito delle sue tasse che, per quanto rozze, avrebbero evitato all'Italia il destino della Grecia. Tanto più che i due tentati suicidi “alla fiamma” erano stati preceduti da una impressionante serie di tentativi “alla corda” coronati da successo (almeno sette da inizio anno). Non tanti se si pensa che nel 2011 sono fallite ben 11.660 aziende con un ritmo di trentuno per ogni giorno dell'anno, domeniche e feste comandate incluse.
Oggi governo tecnocratico e partiti politici esautorati hanno trovato un punto d'incontro e sono concordi nel “vociare” di provvedimenti per la crescita e di additare al pubblico ludibrio gli evasori fiscali come responsabili di tutti i guai dell'Italia.
Ora nessuno vuole difendere mancati o infedeli contribuenti, che del dissesto hanno una buona fetta di colpa, ma è fin troppo ovvio che la spinta all'evasione diviene tanto più forte quanto più è insopportabile l'imposizione fiscale e che, una volta superata la soglia della tollerabilità, non solo l'evasione non genera la “sanzione sociale” invocata dal banchiere-ministro Passera, ma la giustifica anche agli occhi di chi ha sempre cercato di sostenere la sua parte di un peso vieppiù insostenbile.
Quanto poi alla crescita, si sono definite “voci” (si potrebbe aggiungere “inconsulte”) le invocazioni e le assicurazioni dei partiti della nuova inedita maggioranza e dei tecnocrati circa programmi a favore della crescita. Perfino gli studenti del liceo (e forse già quelli delle medie inferiori) sanno che per un'economia nazionale nel suo complesso nessuna crescita è possibile senza una forte domanda interna, che in Italia è stata stroncata prooprio dalle tasse di Monti, dall'aumento quasi giornaliero dei prezzi (carburanti, gas, elettricità, acqua ecc.) e dalla continua introduzione di nuovi prelievi e balzelli. L'Italia avrà pure evitato il destino della Grecia, ma è assai dubbio, tenuto anche conto del diverso costo della vita, che gli operai graci se la passino molto peggio di quelli italiani che nel corso della manifestazione milanese di sabato 31 marzo mostravano buste paghe di 800 euro, o dei cosiddetti “esodati”, che non hanno più lo stipendio e, grazie ai rozzi provvedimenti trecnocratici, non avranno nemmeno, in molti casi per anni, la pensione.
In ogni caso Monti, a denti stretti, ha implicitamente riconosciuto di avere preso provvedimenti rozzi e ha creduto di scusarsene accampando, appunto, il destino della Grecia e la loro ineluttabilità. Ma è davvero così? Davvero non era possibile evitarli o, quanto meno, renderli un po' meno rozzi e un po' più sopportabili?
Al momento dell'insediamento il governo tecnocratico aveva promesso non solo una riduzione (a sua volta prssoché mancata) dei costi della politica, ma un deciso taglio della spesa pubblica nel suo complesso. Come scrive sul “Corriere della sera” del 26 marzo Sergio Rizzo, “il fatto è che un governo così determinato a intervenire sulle pensioni e sull'articolo 18 non lo è stato finora altrettanto nei confronti di una spesa pubblica inefficiente e parassitaria”. Una spesa pubblica che, deficitari profitti per i cittadini a parte, secondo le stime non della Camusso o di Bossi, ma della Ragioneria generale dello Stato è superiore del 30% a quella tedesca, e della quale è arduo prevedere riduzioni,.Non solo nessun serio taglio è stato operato e, difatti (ho già avuto occasione di scriverlo) secondo i dati contenuti nel Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d'Italia il debito pubblico a gennaio ha toccato la soglia di 1.935,829 miliardi di euro, in rialzo di 37,9 miliardi rispetto ai 1.897,946 registrati a dicembre 2011, ma quasi nemmeno più se ne parla, mentre di nuove tasse si parla eccome (ad es. ulteriore aumento dell'IVA in autunno) senza nemmeno attendere che gli italiani provino davvero sulla loro pelle, col passaggio delle “rozze” imposte di Monti dalle carte al portafoglio (il botto si avrà a giugno con l'Imu) cosa significhi essere il popolo più tartassato d'Europa.
Nessun commento:
Posta un commento