giovedì 5 aprile 2012

Verso una primavera europea


Fuoco e tasse
di Francesco Mario Agnoli - 04/04/2012

Il 18 dicembre 2010  in una Tunisia già scossa da problemi economici e dal rincaro dei generi alimentari si cosparse di benzina e si  diede  fuoco il giovane Mohamed Bouazizi.
   Sempre per problemi economici a fine marzo 2012 nel  giro di due giorni alterettanto hanno fatto   a Bologna, davanti all'Agenzia Generale  delle Entrate, un imprenditore gravato da imposte
e debiti,  e, a Verona, in piazza Bra, un immigrato marocchino da quattro mesi senza  stipendio.

   Le fiamme  di Bouazizi  si sono estese a tutta l'Africa del Nord provocando la cosiddetta “primavera araba”, in Italia per i fuochi  di Bologna e Verona non si è scossa foglia.
      Ovviamente nessuno si augura, dopo quelle arabe, una primavera italiana tanto più che le prime si sono ben presto trasformate in un sanguinoso inverno. Tuttavia era lecito aspettarsi  qualcosa di più dei  rituali piagnistei dedicati dalle cronache giornalistiche a simili fatti e (supposto che pensasse anche a loro)  dei commenti “cinesi” di Monti  a proposito delle sue tasse che, per quanto rozze, avrebbero evitato all'Italia il destino della Grecia. Tanto più che  i due tentati suicidi “alla fiamma”  erano stati preceduti da una impressionante serie di tentativi “alla corda” coronati da successo (almeno sette da inizio anno). Non tanti se si pensa che nel 2011 sono fallite   ben 11.660 aziende con un ritmo di trentuno  per ogni giorno dell'anno, domeniche e feste comandate incluse.
      Oggi  governo tecnocratico e partiti politici esautorati  hanno trovato  un punto d'incontro  e sono concordi nel “vociare”  di provvedimenti  per la crescita e di additare al pubblico ludibrio gli evasori fiscali  come responsabili di tutti i guai dell'Italia.
      Ora nessuno vuole difendere mancati o infedeli contribuenti, che del dissesto hanno una buona fetta di colpa, ma è fin troppo ovvio che  la spinta all'evasione diviene tanto più forte quanto più  è  insopportabile l'imposizione fiscale e che,  una volta superata la soglia della tollerabilità, non solo  l'evasione non genera la “sanzione sociale” invocata  dal banchiere-ministro Passera, ma la giustifica anche agli occhi di chi ha sempre cercato di sostenere la sua parte di un peso vieppiù insostenbile.
        Quanto poi alla crescita,  si sono definite  “voci” (si potrebbe aggiungere “inconsulte”) le invocazioni e le assicurazioni  dei partiti della nuova inedita maggioranza e dei tecnocrati circa programmi a favore della crescita. Perfino gli studenti del liceo (e forse già quelli delle medie inferiori) sanno che per un'economia nazionale nel suo complesso nessuna crescita è possibile senza una forte domanda  interna, che in Italia è stata  stroncata  prooprio dalle  tasse di Monti, dall'aumento quasi giornaliero dei prezzi (carburanti, gas, elettricità, acqua ecc.) e dalla continua introduzione di nuovi prelievi e balzelli. L'Italia avrà pure evitato il destino della Grecia, ma è assai dubbio, tenuto anche conto del diverso  costo della vita,  che gli operai graci se la passino molto peggio di quelli italiani che nel corso della manifestazione milanese di sabato 31 marzo mostravano  buste paghe di 800 euro, o dei cosiddetti “esodati”, che non hanno più lo stipendio e, grazie ai rozzi provvedimenti trecnocratici, non  avranno nemmeno, in molti casi per anni, la pensione.
      In ogni caso Monti, a denti stretti, ha  implicitamente riconosciuto di avere preso provvedimenti rozzi  e ha creduto di scusarsene accampando, appunto,  il destino della Grecia e la loro ineluttabilità. Ma è davvero così? Davvero non era possibile evitarli o, quanto meno, renderli un po' meno rozzi e un po' più sopportabili?
   Al momento dell'insediamento il governo tecnocratico aveva promesso non solo una riduzione (a sua volta prssoché mancata) dei costi della politica, ma un  deciso taglio della spesa pubblica nel suo complesso.  Come scrive  sul “Corriere della sera” del  26 marzo Sergio Rizzo, “il fatto è che un governo così determinato a intervenire sulle pensioni e sull'articolo 18 non lo è stato finora altrettanto nei confronti di una spesa pubblica inefficiente e parassitaria”.  Una spesa pubblica  che, deficitari profitti per i cittadini a parte, secondo le stime non della Camusso o di Bossi, ma della Ragioneria  generale dello Stato  è superiore del 30% a quella tedesca, e della quale è arduo prevedere riduzioni,.Non solo nessun serio taglio è stato operato e, difatti (ho già avuto occasione di scriverlo) secondo i dati contenuti nel Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d'Italia il debito pubblico a gennaio ha toccato la soglia di 1.935,829 miliardi di euro, in rialzo di 37,9 miliardi rispetto ai 1.897,946 registrati a dicembre 2011, ma quasi  nemmeno più se ne parla, mentre di nuove tasse si parla eccome (ad es. ulteriore  aumento dell'IVA  in autunno) senza nemmeno attendere  che gli italiani provino davvero sulla loro pelle, col passaggio  delle “rozze”  imposte di Monti  dalle carte al portafoglio (il botto si avrà a giugno con l'Imu) cosa significhi essere il popolo più tartassato d'Europa.

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