Uscita-Euro
Seguo con molto interesse il dibattito, tanto serrato, quanto tutto sommato sotterraneo, che in questi mesi infuria in Italia sull’opportunità della permanenza del nostro Stato all’interno dell’eurozona. Dico “sotterraneo” perché questo dibattito è quasi clandestino: va cercato nei blog, nei siti di informazione alternativa. Al cittadino medio, viceversa, attraverso i giornali e la stampa di regime, arriva sempre la solita voce.

Quando per sbaglio in televisione arriva qualcuno a dire non solo che l’entrata dell’Italia nell’euro è stata una sciagura e una truffa, ma che solo un’uscita potrebbe salvarla dalla certa e lenta agonia cui assistiamo tutti i giorni, si leva un fuoco di fila, un polverone immenso. Gente che strepita, che dà dell’ignorante al coraggioso di turno, dell’incosciente, etc. Come se si toccasse un vero tabù.
Ma non impressioniamoci più di tanto per questo motivo ed andiamo dritto alla questione. Le tante affermazioni che vengono fatte hanno ovviamente come riferimento l’Italia. Nessuno, nemmeno dei più coraggiosi economisti, ad esempio Alberto Bagnai, pensa neanche lontanamente alla possibilità che alcune regioni d’Italia costituiscano in tutto e per tutto sistemi economici alieni, estranei, rispetto a quello italiano. Per loro sono “regioni”, ci mancherebbe altro. Come mettere del resto in discussione una verità tanto elementare, che ci viene inculcata sin dai primi giorni di scuola?
Eppure le motivazioni da loro addotte per giustificare l’insostenibilità dell’unione monetaria tra Italia e Germania, perlomeno alle vessatorie condizioni attuali, sono più o meno le stesse, che avrebbero dovuto consigliare da tempo una separazione monetaria interna all’Italia stessa, e che certamente, senza pregiudizi ideologici, che condurrebbero a considerare la Sicilia, la nostra Sicilia, “piccola” quanto si vuole di fronte ai colossi del XXI secolo, né più né meno che una vera e propria AVO (Area Valutaria Ottimale nella terminologia economica ricorrente).
Un recente articolo, di Piero Valerio, su “Informare per resistere”, che prendo a base del mio ragionamento si intitola significativamente “L’uscita dall’euro e i terroristi dell’inflazione e della svalutazione”. L’autore di questo brillante articolo dimostra quanto siano infondate le operazioni sistematiche di disinformazione, di vero e proprio terrorismo psicologico, che gli adepti del sistema pongono in essere; adepti che peraltro l’autore definisce automi, per il fatto che in realtà essi non sono esseri pensanti,  ma semplici ripetitori di verità politico/ideologiche messe in bocca loro dalle élite globalizzanti. L’autore smonta, una ad una, le follie terroristiche in parola, ma – questo è il punto – le sue osservazioni non si attagliano per nulla alla Sicilia. Egli parla di Italia, le sue considerazioni sono valevoli per un paese che, stando a quello che scrive, non ci appartiene minimamente. Mentre leggevo quell’articolo provavo ad applicare quanto diceva al caso siciliano. Le considerazioni sono praticamente sconvolgenti, e voglio provare a metterle nero su bianco in queste pagine.
Intanto, quando si parla di uscita dall’euro, si comincia, prima ancora di entrare nel merito di argomentazioni economiche, a parlare in maniera irrazionale di “catastrofe”, “disastro”, “sciagura”, e così via. Ora, io non riesco a confutare razionalmente argomentazioni del tutto irrazionali e non motivate, ma mi accorgo con una semplicissima evidenza come, per la Sicilia, esse siano del tutto fuori luogo. L’Italia, infatti, è in crisi, in recessione, e si può spaventarla minacciandola che potrebbe succedere di peggio. Ma la Sicilia? Beh, la Sicilia è in crisi economica da 50 anni e la catastrofe è sotto gli occhi di tutti. Ridotta a colonia di un paese esso stesso in caduta libera, siamo all’esplosione sociale. Cosa potrebbe accadere di peggio di una disoccupazione giovanile reale al 70 %? Cosa potrebbe accadere di peggio di fronte alla totale desertificazione economica, quasi un genocidio, quale quello cui stiamo assistendo? Dobbiamo credere che mancherebbe il pane se uscissimo dall’euro? Ma in molte famiglie siciliane è quello che sta realmente accadendo. In Sicilia, a differenza che in Italia, non esiste o è tremendamente sottile persino quello strato di alta borghesia che dalla dittatura finanziaria può lucrare qualche vantaggio personale. Le folli e inconcludenti politiche di austerity stanno danneggiando, su scala, tanto la categoria dei migliori imprenditori e professionisti quanto le massaie e i lavoratori precari. La Sicilia non ha mai conosciuto una pressione e depressione economica così forte forse dai tempi dell’annessione all’Italia, quando milioni di siciliani presero il largo da una terra che non aveva mai sperimentato alcuna forma di emigrazione. Ma forse oggi le cose stanno ancora peggio di allora. Di quale “sciagura” abbiamo dunque paura se non abbiamo più di cosa mangiare?
Ma poi c’è il secondo spauracchio: la svalutazione. Una Sicilia con moneta propria la dovrebbe svalutare immediatamente di … non si sa nemmeno quanto. Se all’Italia in maniera infondata si attribuisce un 30/50 %, la Sicilia considerati i differenziali dovrebbe svalutare almeno del doppio. È chiaro che queste percentuali sono del tutto arbitrarie. Chi lo ha detto? E poi, ci scusino, ma “svalutare” non è un termine assoluto, bensì relativo. Svalutare nei confronti di chi? Della nuova dracma? Ne dubito. Della nuova lira (se anche l’Italia uscisse)? Dubito che il rapporto sia così sfavorevole. Persino per il marco/euro ipotizzare una svalutazione così pesante non si capisce da dove derivi. Tutti gli esempi storici dicono che la rottura delle unioni valutarie porta ad una svalutazione esattamente pari ai differenziali di prezzo che non si sono potuti recuperare. Dal 1999 ad oggi i prezzi in Sicilia sono cresciuti del 60 % in più che in Germania? Non credo. Una valutazione realistica sarebbe quella che la moneta siciliana nei confronti dell’euro potrebbe perdere non più del 20 %. Ma sarebbe poi così devastante? Se vorrò mandare un figlio a studiare a Parigi o se vorrò comprare un auto tedesca, costerà il 20 % in più, e quindi molti di noi non potranno più farlo. Ma….sarà più conveniente esportare. I nostri prodotti agricoli, che oggi distruggiamo, diventerebbero di nuovo competitivi, certamente, per il rapporto prezzo/qualità, straccerebbero la concorrenza dei paesi emergenti. La bilancia commerciale diventerebbe rapidamente positiva e questo avverrebbe tanto più quanto più sarebbe la paventata svalutazione. Quasi quasi ci sarebbe da dire “magari potessimo svalutare…!”, magari l’avessimo potuto fare di tanto in tanto in questo secolo e mezzo di Italia unita. Non avremmo i nostri giovani a spasso e i paesi pieni di vecchi. Le nostre campagne sarebbero arate peggio che nella campagna del grano di mussoliniana memoria.
Ma c’è di più. La nostra moneta, se anche dopo il primo assestamento, non fossimo riusciti a compensare il differenziale di produttività con l’Europa, tenderebbe per qualche tempo ad aggiustamenti verso il basso. Non traumatici, certo, ma sicuramente benefici perché assesterebbero in breve la nostra bilancia dei pagamenti. In più la Sicilia, staccata dall’Italia, certamente riprenderebbe il controllo delle proprie fonti di energia. La Sicilia è in surplus energetico, ma oggi questo surplus è travasato gratuitamente nel grande calderone italiano. La storiella che viene raccontata in Italia che con la svalutazione dovremmo comprare il petrolio in dollari, questo sarebbe molto più caro e quindi saremmo o poverissimi o al freddo per l’inverno, in Sicilia non funziona.
Noi non “compriamo” in dollari il petrolio, semmai potremmo “venderlo” o comunque consumarlo da noi. Il nostro surplus energetico ci darebbe addirittura un vantaggio valutario immediato che rischia addirittura di neutralizzare in pochi anni il vantaggio della svalutazione iniziale. Al limite, controllando il nostro petrolio, potremmo anche non accorgerci di essere usciti dall’eurozona sul fronte della svalutazione. Ci sarebbe anche da valutare l’opportunità di venderlo proprio in “dollari” e non in oro o in valuta russa o cinese: ormai il tabù è caduto, perché mai saremmo gli unici a dover raccogliere quella che sempre più è vista come carta straccia?
Altro terrorismo psicologico è quello secondo il quale la svalutazione, ammesso che ci sia, si dovrebbe tradurre tutta immediatamente in inflazione. Lo capite? I poveri pensionati vedrebbero perso immediatamente il 30/40 % del valore del loro misero reddito…. Niente di più falso e tendenzioso. Intanto – come detto sopra – le percentuali di svalutazione sono completamente sballate, praticamente casuali, gettate lì apposta proprio per creare panico. Ma, ammesso che siano vere, non c’è manuale di primo anno di università che dica che ad ogni svalutazione corrisponda una inflazione di pari entità. Ma dove? Ma quando? La svalutazione, infatti, genera immediatamente un effetto di sostituzione tra prodotti interni ed esteri tale che solo una quota di questa si traduce effettivamente in aumento dei prezzi. E questa quota è tanto più bassa, quanto più c’è capacità produttiva inutilizzata, cioè, in sostanza, disoccupazione.
Cioè, detto in termini spiccioli, se ci sono persone a spasso, l’immissione di moneta nel sistema e la svalutazione della moneta non solo non creano inflazione, ma creano un’impennata del reddito e dell’occupazione. E se questo vale per l’Italia che dire della Sicilia? La disoccupazione siciliana, cronica, drammatica, strutturale, spaventosa, è tutt’altra cosa da quella pur drammatica che sta sperimentando ora l’Italia. La Sicilia, con una propria moneta, ammesso pure che si abbia una qualche svalutazione della stessa nei confronti dell’euro, non sperimenterebbe che minimamente una spirale inflazionistica. Ma ammesso che ci sia, quanto? Il 6/7 %? Cioè praticamente un punto in più di quella vera che c’è oggi, non dichiarata dai conti farlocchi dell’Istat, fatti per frodare i lavoratori dipendenti. E non vogliamo sopportare un punto in più di inflazione che ci consentirebbe di occupare tutti i nostri giovani, sgravare le imprese dalla confisca tributaria, dare ossigeno ai servizi pubblici e all’economia? E, per contro, mentre questo 6/7 % di inflazione potrebbe essere recuperato con un’indicizzazione adeguata dei salari, è forse meglio attendere che, a colpi di 4/5 %, si azzerino progressivamente stipendi e pensioni, e con loro la domanda aggregata? È un non senso, ma nessuno sembra accorgersene.
Altro terrorismo ancora è quello sui tassi d’interesse. Dovrebbero, chissà perché, schizzare in alto. Non ho ben capito in ragione di che. L’interesse reale, al netto dell’inflazione è legato essenzialmente all’offerta di moneta: molta moneta offerta, uguale interessi bassi, poca moneta offerta, interessi alti e credit crunch. Mi pare che sia l’euro quello che causa stretta monetaria e finanziaria e non viceversa. Del resto un’autorità monetaria nostra, competente e responsabile, saprebbe come tenere i tassi ai loro livelli fisiologici.
E i mutui? I mutuatari sarebbero rovinati. I loro stipendi sarebbero trasformati in lire italiane o in onze siciliane, ma i debiti resterebbero in euro. Rovina, sciagura. Ma perché mai? Se si fa un change over, come quello che fu fatto nel 1999-2002 tra lira ed euro, tutti i contratti, pensioni, affitti, retribuzioni, mutui, tutto insomma, passa dalla vecchia alla nuova valuta. Ma quale legislatore pazzo potrebbe escludere da questo cambio solo i mutui bancari? Solo un cameriere delle banche. Forse è questo che danno per scontato. Ho forse stipulato il mio mutuo per l’acquisto della prima casa in un istituto del Granducato del Lussemburgo, soggetto a disciplina legale estera? Ho forse stipulato un contratto in cui espressamente è scritto che l’assolvimento dell’obbligazione da parte del mutuatario in euro prescinde dalla moneta legale? La moneta è “legale” perché ha il valore di assolvere tutte le obbligazione stipulate secondo il diritto interno. Perché se il debito è dello Stato e in Bot o Btp si traduce nella nuova valuta, facendo perdere il creditore, mentre se il debito è dell’impresa o della famiglia, “Non” si traduce nella nuova valuta, facendo perdere il debitore? Mistero! Forse chi dice queste cose dà per scontato che “Il banco vince sempre”, qualunque cosa accada, e le leggi si devono piegare a questa legge.
Mi pare come quella notizia che ho sentito qualche tempo fa secondo cui l’euribor, che regola molti mutui contratti prima della crisi, deve essere “ricalcolato”, perché nel modo attuale le banche ci stanno rimettendo. Ma se a rimetterci fossero stati i debitori che sarebbe successo? Niente di particolare, sfratti per centinaia di migliaia di persone, come sta accadendo in Spagna, e presto anche da noi.
La Sicilia ha dunque convenienza a staccarsi dall’eurozona molto di più di quanto non l’abbia la stessa Italia. Il suo surplus energetico e di capacità produttiva inutilizzata, la sua posizione geografica strategica di rendita, farebbero sí che altri paesi avrebbero bisogno di essa e non viceversa. Al contrario, è sotto il giogo europeo che moriremo, anzi, che stiamo morendo, di lenta asfissia.
Ma il problema è comunicarlo ai Siciliani sotto un regime mediatico fortissimo che dice ogni giorno il contrario. Potessimo almeno negoziare qualcosa della nostra autonomia valutaria, sarebbe già tanto. Dipende da noi. Da quanto ci sentiamo Siciliani e da quanto siamo disposti a lottare per la nostra Libertà e il nostro Benessere.