martedì 27 novembre 2012

Sovranità popolare o signoraggio di banchieri pirati ?

La sfuggente questione del signoraggio bancario  


di Aldo Reggiani in Cavalcate nella prateriaPrima pagina



 





Quando il primo di novembre del duemilaundici lessi sulla prima pagina de il Giornale il breve e sintetico “Cucù” di Marcello Veneziani titolato “Lo strano caso di Mister Drake”, mi si spalancò un mondo. Anzi due.


Diceva: Da italiano sono fiero che il governa­t­ore della Banca centrale europea – che oggi si insedia- sia italiano. Ma Draghi è fiero di essere italiano, anzi si sente italiano?

Mister Drake è inglese dentro. Visse a Londra, fu vicepresidente della Gold­man Sachs, fu sempre molto british. Ri­cordo ( lo pubblicai in solitudine su L’Ita­lia settimanale ) quel 2 giugno del 1992 a bordo dello yacht Britannia di Sua Mae­stà la Regina quando alcuni big della fi­nanza fecero la festa alla Repubblica italiana svendendola a pezzi.
Decisero i destini del nostro Paese non nelle sedi isti­tuzionali e in territorio italiano, ma su una nave che batteva bandiera britannica. Tra loro a bordo c’era Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro. Dopo quell’incontro ci furono cessioni, fu svalutata la lira e le finanziarie di Wall Street poterono accaparrarsi i pez­zi forti dell’azienda Italia a prezzi scontati. La carriera politica di Prodi, senior partner della Goldman, nacque lì. Tre mesi dopo quel summit sullo yacht, in Assolombarda, Prodi suggerì, lui boiardo di Stato, di cedere anche le nostre banche d’interesse nazionale e privatizzare a man bassa. Intanto le gran­di agenzie internazionali provvedevano a declassare il nostro Paese, favorendo la svendita.(Ricorda qualcosa? ndr)

Vorrei dedicare la nomina di Draghi a due persone. A un sognatore della sovra­nità popolare della moneta che denu­nciò la Banca centrale, il professor Giacin­to Auriti.
E a un controverso governatore cattoitalo- ciociaro che contravvenne ai pote­ri forti e fu massacrato, Antonio Fazio. Auguri Mister Drake.

Così sintetizzava Veneziani.
La puntata successiva di quella telenovela iniziata sul Britannia, la raccontava invece con dovizia di particolari Francesco Agnoli sul sito cattolico “Libertà e Persona” in un succulento e a tratti esilarante  articolo titolato La privatizzazione dell’Iri negli anni Novanta e le sale bingo di D’Alema , dal quale si evinceva che le selvagge liberalizzazioni che hanno alienato praticamente tutto il patrimonio dell’Iri, e le grandi Banche di interesse nazionale, non fu effettuato da un centrodestra liberista sfegatato, come chiunque sarebbe  portato a credere per via di quel “Se a destra valgono gli affari, a sinistra valgon gli ideali”, bensì da governi di sinistra, spalleggiati soprattutto -ma guarda guarda – da Repubblica e Corriere.
Perché?
Perché questo, oltre che ad esser il Paese di Pulcinella e dello Smemorato di Collegno, è anche quello di Arlechin batocio, “orbo de na recia, sordo da n’ocio”.
E quindi nel Belpaese, per chi non l’avesse ancora capito,  tutto sta messo al  contrario. Come in un certo quiz televisivo condotto da Bonolis, nel quale  per vincere bisogna dare la risposta sbagliata. E l’articolo di Agnoli mi fece anche capire perché durante quella farsa (altro che “La sposa e la cavalla”) che furono le Primarie per Prodi, in cui quattro milioni di speranzose anime belle andarono a votare pagando quattro euro a cranio (sedici milioni di euro tondi tondi, minimo, nelle casse di quello che ancora non si chiamava Pd,  bensì L’Unione, ma l’è l’istess), potemmo assistere al fenomeno più unico che raro di una processione di banchieri che andavano ad omaggiare il prossimo leader della Sinistra, quel pretazzone di Prodi, “senior partner”, Nunzio Apostolico in Italia di Santa Ecclesia Finanziaria Goldman Sachs.
Ma la cosa, del breve pezzo di Veneziani, che mi fece drizzare le orecchie, a differenza di quelle moltitudini di Premi Pulitzer che affollano le redazioni dei nostri pur  blasonatissimi giornali, agguerriti e inflessibili  guardiani della Democrazia, fu la menzione del prof. Giacinto Auriti – pur proposto dal prof. Jerry Lodbill, dell’Università della California, per  il premio Nobel –  sostenitore  della “sovranità popolare della moneta”,  che aveva addirittura denunciato la Banca d’Italia. Il folle temerario.
Come mai nessuno aveva parlato di tale scandaloso scandalo? E che cos’era la faccenda della sovranità popolare della moneta?
Non era forse la Zecca una proprietà dello Stato, e quindi del Popolo italiano? Come qualunque persona normale è portata a credere?. No. Ovvero, lo era.
Il mistero lo spiegava l’esperto in finanze Marco Della Luna, in un durissimo articolo addirittura del 24 -12-2007, regnante il Mortadella,  pubblicato dal blog “MZ”,  titolato La privatizzazione finale dello Stato .
Vale la pena leggerlo attentamente.
Può suonare paradossale, ma è una seria e certa realtà giuridica: lo Stato italiano non è la Repubblica italiana voluta dalla Costituzione del 1948. È in radicale antitesi e contrapposizione con la Costituzione e con i fondamenti della medesima. Forse più di quanto lo sarebbe un ordinamento di tipo fascista. Perché in Italia siamo alla proprietà privata dello Stato e dei poteri politici.
L’articolo 1 della Costituzione afferma «L’Italia è una repubblica democratica. La sovranità appartiene al popolo». Al contrario, nello Stato italiano la sovranità economica, la sovranità monetaria, appartiene interamente ai privati. Ai finanzieri privati proprietari di Banca d’Italia. Sì, la Banca d’Italia non è degli Italiani, non è dello Stato: è di finanzieri privati.
La sovranità economica sull’Italia appartiene anche alla Banca Centrale Europea, che, in base al Trattato di Maastricht, è un’istituzione autocratica sopranazionale, esente da ogni controllo democratico e persino giudiziario, gestita da un direttorio nominato dal sistema delle banche private. I suoi direttori sono esonerati da ogni responsabilità e decidono nel segreto. Una vera e propria potenza straniera, alla quale i paesi dell’Eurozona sono sottomessi..
Chi ha il controllo della moneta e del credito, ha il controllo della politica, e incassa il signoraggio sulla produzione della moneta e del credito – per l’Italia, si tratta di circa 800 miliardi di Euro l’anno. Chi ha il potere di fissare il tasso di interesse, di dare e togliere liquidità al mercato, ha perciò stesso il potere di dare e togliere forza all’economia, di far saltare i bilanci delle aziende private e degli Stati. Di costringere questi ultimi ad aumentare le tasse. Di ricattare parlamenti, governi, società. Come sta avvenendo. Come è sempre avvenuto, ad esempio, in America Latina. Bene: questo potere è in mano a privati, che lo esercitano in totale esenzione da ogni responsabilità e sorveglianza. Dicono che ciò sia bene, perché lo esercitano meglio dei politici, che sono corrotti e demagogici. Sì, meglio – ma per se stessi, non per la gente. Non per quelli che non riescono più a pagare il mutuo, e che perdono la casa, mandata all’asta dai banchieri, che la ricomprano attraverso loro società-schermo. Non per le imprese che chiudono o falliscono. Non per i contribuenti, non per i risparmiatori regolarmente truffati ad opera di banchieri privati(che poi forse ritroviamo azionisti di Banca d’Italia, da Parmalat a Enron a Cirio a Halliburton ai credit derivatives).
Veniamo alla Banca d’Italia. Fino al 12 Dicembre 2006, essa era un ente di diritto pubblico con uno statuto emanato per legge dello Stato, e questo statuto, al suo articolo 3, stabiliva che la proprietà della Banca d’Italia doveva essere per la maggioranza in mano pubblica aveva la struttura legale di una società di capitali privati, di una s.p.a., ma una norma – l’art. 3 – stabiliva che la maggioranza del capitale dovesse essere in mano pubblica e che nessuna cessione di quote potesse avvenire, se non a soggetti pubblici. In realtà, questa norma era sempre stata violata: la grande maggioranza delle quote della Banca d’Italia era in mano aifinanzieri privati (banchieri e assicuratori), e quando Prodi eseguì le privatizzazioni delle tre banche di Stato (BNL, CREDIT e Banca Commerciale) proprietarie di quote di Banca d’Italia, non trattenne quelle quote allo Stato, ma le cedette ai privati. Operazione contraria all’articolo 3, o perlomeno elusiva, a cui nessuno di oppose, a suo tempo.
Berlusconi, verso la fine della scorsa legislatura, sollevò la questione della proprietà della Banca d’Italia, che doveva essere pubblica, e propose un piano per renderla tale.
Ma il mondo bancario, e per esso Mario Draghi, nuovo governatore di Banca d’Italia, pose unsecco veto: la Banca d’Italia deve restare privata. Un altro esponente del mondo e degli interessi bancari, Romano Prodi della Banca Goldman Sachs, andato al governo assieme al suo collega della Banca Centrale Europea, Tommaso Padoa Schioppa, si mise subito all’opera: se la legge è violata perché la proprietà della Banca d’Italia è al 95% privata anziché in maggioranza pubblica, non bisogna – sarebbe un sacrilegio – mettere la proprietà in regola con la legge, bensì, al contrario, mettere la legge in regola con la proprietà.
Così si è fatto col decreto del 12 dicembre 2006, firmato da Napolitano, Prodi, Padoa Schioppa. Già! Prodi e Padoa Schioppa è ovvio che lo firmino – sono fiduciari dei banchieri. Ma che lo firmi Napolitano, un vecchio comunista, uno che era comunista nel 1948, quando essere comunisti significava essere stalinisti, intransigenti fautori della proprietà collettiva dei mezzi di produzione – che lo firmi Napolitano, è davvero il colmo! Dov’è il suo comunismo? Dov’è la difesa della Costituzione, per la quale doveva dare, se necessario, la vita? Dov’è la difesa del supremo principio della sovranità popolare? E del lavoro come fondamento della Repubblica, del lavoro che invece viene sacrificato all’usura? Napolitano doveva semplicemente rifiutarsi di firmare per far salvi principi essenziali della Costituzione che giurò di difendere.
In realtà, chi conosce i “comunisti” (non la base ingenua e idealista, ma i capi freddi e lucidi – non i Rubashov, cioè, ma i Gletkin del romanzo di Arthur Köstler, Buio a Mezzogiorno), sa che essi non sono comunisti, non gli importa nulla di socialità etc. – i capi “comunisti”, da Stalin in poi, hanno come scopo la conquista e la gestione del potere fini a se stesse. Non hanno un’identità ideologica: per questo fine, essi si servono di tutto, di ogni idea, di ogni uomo, dello Stato, dei principi, come di un puro mezzo, strumenti sostituibili. Sono tecnici della manipolazione sociale. Tutto il resto, per loro, è puerile romanticismo. Va bene per il popolino.Paris vaut bien une messe.
E i partiti della sinistra? Ebbene, si è visto anche nella vicenda Consorte: i partiti della sinistra seguono i finanzieri e si occupano di allineare la società agli interessi dei banchieri.
Ma va?
Fatemi capire: mentre, cioè, la Sinistra, complice Napolitano, completava la svendita anticostituzionale voluta da quel tapirone  di Giuliano Amato nel 1992, della più importante proprietà degli Italiani (la proprietà della Zecca è il “potere dei poteri”) a Banche private, quello schifoso concussore, pedofilo, corrotto e corruttore del  “Propenso a delinquere” di Arcore pianificava come riportarla di proprietà del Popolo sovrano?
Nun ce se crede!
Quella del Della Luna, quindi, si prospettava una rivelazione e rivoluzione copernicana.
A questo punto prendeva ancor più autorevolezza quel mai abbastanza incensato articolo del settembre 2011 di Daniela Coli Il vero conflitto d’interessi in Italia va cercato nei giornali
E si capiva anche perché nientepopodimeno che il Presidente della Consiglio Europeo, il Van Rompuy, marionetta dell’Europa delle Banche, si fosse scomodato personalmente per scendere fino a Roma, ad imporci come Presidente del Consiglio, con una arroganza che mai si era vista, il responsabile per l’Europa della Trilateral Commission e anche lui assiduo frequentatore dei felpati corridoi di Goldman Sachs: Mario Monti.
Trattandoci né più né meno come una colonia.
Come spettegolava su Libero quella malalingua di Franco Bechis in Il passo indietro di Berlusconi? Costretto da un ricatto
Confermato da un Senatore della Repubblica: Come funziona il sistema e come e’ nato il Governo Monti .
Come anche nei desiderata della Premiata Ditta D’Alema&Bersani, che il Monti, non a caso, da tempo lo invocavano.
E ciò, malgrado che  nel novembre 2011 l’Economist con un articolo  titolato – ma guarda guarda – “Non si tratta di Berlusconi”,dichiarasse “Ma com’è possibile che fino a poco tempo fa il debito italiano (ed europeo) era considerato tranquillo e ora tutti vogliono venderlo? Se il punto chiave è la fiducia dei mercati, le pesanti riforme che dovranno essere attuate per dare la tranquillità sulla solvibilità del Paese agli investitori, rischiano di avere conseguenze sociali insostenibili. Tanto da paventare uno stop politico che porterebbe a una spaccatura della moneta unica. Le dimissioni del premier italiano non garantiscono insomma un cessato pericolo dal rischio «bail-out»”.
Mentre David Weidner, sul Wall Street Journal, l’11 dello stesso mese, in un articolo titolato saviamente Italy isn’t the problem, commentava che non è Silvio Berlusconi, non è il livello di spesa dell’Italia ma neanche i sindacati o i benefit dei dirigenti. Non c’entrano nulla la Grecia, José Manuel Barroso, Nicolas Sarkozy o Angela Merkel: sono le banche il problema. (…) Da Lehman Brothers in avanti, il mondo ha imparato che il crac di una banca è in grado di trascinare nel baratro l’economia globale. Troppe interconnessioni, troppe ingerenze nella finanza pubblica. E troppo grandi per fallire. E ricorda la quantità di titoli pubblici in pancia ai principali istituti di credito del pianeta. Che in questo modo sono in grado di influenzare qualsiasi governo.
Sulla natura fraudolenta e sui  nefasti effetti  del suesposto Signoraggio Monetario esercitato da  Banche private, lo stesso Marco Della Luna è chiaro e sintetico in un breve video, perfettamente comprensibile anche –udite udite – ai laureati della Bocconi o della LSE, London School of Economics Marco Della Luna sul signoraggio.
Mentre l’unico che nel Parlamento Italiano ha sollevato la spinosa e penosa questione è stato l’On. domenico Scilipoti. question time signoraggio bancario.
Ma mentre la Banca d’Italia di proprietà pubblica lo è stata, la statunitense Federal Reserve (Fed) mai.
Infatti mentre i Cittadini statunitensi sono giustamente convinti, come tuttora quelli italiani, che la loro Banca Centrale sia di loro proprietà, essa fu invece istituita nel 1913 da grandi banchieri privati, (Morgan, Rothshild ecc.), e ciò malgrado che l’articolo 1, Sezione 8 della Costituzione a Stelle e Strisce, stabilisca che il Congresso deve avere il potere di coniare moneta e di stabilirne il valore, come minuziosamente esplicitato in La Federal Reserve è una proprietà privata .
E non è un caso che gli amici statunitensi, da subito dopo la sua fondazione, si siano ritrovati con una novità, fino a quella data a loro sconosciuta: l’istituzione delle Imposte sul Reddito.
Colle quali lo Stato federale ripagava il debito contratto con la Fed acquistando da essa il denaro che alla Fed, come alle altre Banche centrali, private o no, costa solo il prezzo del conio.
Pochi centesimi di dollaro (o di euro) a banconota.
Avverando così la profezia di Thomas Jefferson, che fin dal 1776 metteva in guardia dichiarando che “Se gli Americani consentiranno mai a banche private di emettere il proprio denaro, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le grandi imprese che ne cresceranno attorno, priveranno la gente delle loro proprietà finché i loro figli si sveglieranno senza tetto nel continente conquistato dai loro padri. Il potere di emissione va tolto alle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene propriamente”
Come stiamo sperimentando anche in questa Europa dei Banchieri.
Nella quale il denaro “sano” estirpato dalle tasche dei Cittadini tramite tassazione, va a sanare i buchi delle Banche.
Soprattutto francesi e tedesche.
Come Giuliano Ferrara rivelava in Fondamentali buoni, il resto merda. E come la stessa Grecia sta ora gioiosamente constatando, visto che solo una minima, minimissima parte degli “aiuti” (sic) europei arriva nelle casse dello Stato ellenico.

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