Via Formigoni, Via Solferino
Il gran ballo meneghino (e molto corrierista) tra Ambrosoli, Bazoli & co.
L’ultimo vecchio della finanza (bianca), il sogno di una nuova alleanza borghese tra laici e cattolici, le elezioni lombarde
“Si dimetterà dal consiglio di amministrazione del Corriere?”. Umberto Ambrosoli risponde con la sua innata cautela: “Se vinco le primarie lo farò”. Intanto, domenica partecipa al vertice straordinario sul piano lacrime e sangue dell’amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane. Candidato alla poltrona di governatore nel nuovissimo grattacielo fatto costruire da Roberto Formigoni, fino a pochi mesi fa l’avvocato Ambrosoli era il figlio di Giorgio, “l’eroe borghese” ucciso nel 1979 da un sicario ingaggiato da Michele Sindona, perché stava curando la liquidazione dell’ex impero del banchiere siciliano con ramificazioni in America. Poi, ad aprile, eccolo nel cda del Corriere della Sera all’insegna del rinnovamento che taglia fuori Diego Della Valle e introduce uomini nuovi come Giuseppe Vita, presidente di Unicredit e di Axel Springer in Germania, il finanziere Andrea Bonomi, Fulvio Conti (Enel), Luca Garavoglia (Campari), per conto della Fiat che sceglie anche il top manager.
Il secondo passaggio di questa folgorante discesa in campo dell’avvocato Ambrosoli sorprende ancor più del primo. Spinto dalla “società civile”, sostenuto da una lunga lista di borghesi progressisti, sponsorizzato da Giuliano Pisapia che vede nella operazione lombarda un parallelo con la sua conquista di Milano e soprattutto sostenuto dalla macchina elettorale del Pd. Ancora una volta il cambio di stagione nella politica, nell’editoria, nella finanza, procede per convergenze parallele. Ma qual è il punto d’incontro tra la campagna per la regione e il rimescolamento nella proprietà del Corriere?
Il segreto lo tiene in mano l’ultimo grande vecchio della finanza italiana (e cattolica) che del Corriere è il protettore: Giovanni Bazoli, 80 anni, presidente di Mittel, la propria finanziaria, e di Banca Intesa, l’uomo al quale Beniamino Andreatta affidò nel 1982 il salvataggio del Banco Ambrosiano dopo la rovina della P2, per bilanciare il potere di Enrico Cuccia. Dentro l’Ambrosiano c’era la Rizzoli e dentro la Rizzoli c’è il Corriere. Fu sempre Bazoli a chiamare in causa Agnelli. “Fece tutto lui, anche il prezzo e noi ci fidammo”, ricorda Cesare Romiti che, come Cuccia, era contrario. Al capezzale dell’Avvocato è stato Bazoli a raccogliere l’invito a vegliare su Via Solferino e dintorni.
Galli e la strategia delle “linee esterne”
Oggi Rcs, colpita dalla crisi anche lei come gran parte dell’editoria, ha bisogno di soldi, si dice di 800 milioni di euro. Bazoli vuole un aumento di capitale, ma dispone di circa il sette per cento. Ambrosoli è sulla stessa linea, così come Giuseppe Rotelli che ha acquisito l’ospedale San Raffaele, in dissesto dopo la morte di don Verzé, con l’aiuto di Intesa. E’ diventato primo azionista e vicepresidente Rcs, però ha intenzione di contare ancor di più. Nel maggio scorso, quando si trattava di nominare il nuovo top manager, insieme a Bazoli aveva sostenuto Alessandro Belloni, ad della De Agostini. Fuori dal salotto resta Diego Della Valle il quale rastrella quei pochi titoli ancora in circolazione. Invece, Mediobanca non è in grado di spendere ancora per Rcs, anzi il piano proposto dall’amministratore delegato Alberto Nagel prevede di cedere parte dei pacchetti sensibili, compreso quello delle Generali. E la Fiat? Jaki Elkann ha giocato un ruolo determinante a primavera. E in un’intervista a Prima comunicazione si è presentato come editore parlando della “nostra” Rcs. Ma quattrini freschi, nisba. L’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, ha le chiavi della cassa e pensa ad altro. La Fiat si dichiara disponibile ad aumentare il capitale, però non in contanti: vorrebbe portare in cambio Publikompass, la società che raccoglie pubblicità per la Stampa di Torino, come pegno del futuro matrimonio.
Galli e la strategia delle “linee esterne”
Oggi Rcs, colpita dalla crisi anche lei come gran parte dell’editoria, ha bisogno di soldi, si dice di 800 milioni di euro. Bazoli vuole un aumento di capitale, ma dispone di circa il sette per cento. Ambrosoli è sulla stessa linea, così come Giuseppe Rotelli che ha acquisito l’ospedale San Raffaele, in dissesto dopo la morte di don Verzé, con l’aiuto di Intesa. E’ diventato primo azionista e vicepresidente Rcs, però ha intenzione di contare ancor di più. Nel maggio scorso, quando si trattava di nominare il nuovo top manager, insieme a Bazoli aveva sostenuto Alessandro Belloni, ad della De Agostini. Fuori dal salotto resta Diego Della Valle il quale rastrella quei pochi titoli ancora in circolazione. Invece, Mediobanca non è in grado di spendere ancora per Rcs, anzi il piano proposto dall’amministratore delegato Alberto Nagel prevede di cedere parte dei pacchetti sensibili, compreso quello delle Generali. E la Fiat? Jaki Elkann ha giocato un ruolo determinante a primavera. E in un’intervista a Prima comunicazione si è presentato come editore parlando della “nostra” Rcs. Ma quattrini freschi, nisba. L’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, ha le chiavi della cassa e pensa ad altro. La Fiat si dichiara disponibile ad aumentare il capitale, però non in contanti: vorrebbe portare in cambio Publikompass, la società che raccoglie pubblicità per la Stampa di Torino, come pegno del futuro matrimonio.
Un passaggio che non piace agli altri azionisti. Tanto che circolano le contromosse più diverse, compreso un accordo tra Rcs e il Sole 24 Ore. Bazoli, “un intellettuale del potere”, lo definisce il saggista Giancarlo Galli, vuole puntellare l’equilibrio favorendo dietro le quinte uno spostamento progressivo. La vittoria di Ambrosoli in Lombardia, potrebbe dare il segno che c’è ancora una borghesia in grado di stare in piedi, grazie a una nuova alleanza tra laici e cattolici. Cambiare per conservare. “E se uno ha paura di perdere, preferisce agire per linee esterne”, sottolinea Galli.
La caduta di Milano ha segnato la sconfitta per il mondo berlusconiano, ora la crisi alla regione lombarda rispecchia il disfarsi di un blocco sociale, culturale e politico il cui perno è dentro il mondo cattolico. Bazoli, discendente da una famiglia di primo piano nella Brescia di Papa Montini (il nonno fu tra i fondatori del Partito popolare), rappresenta quel cattolicesimo rimasto all’opposizione nell’èra di Comunione e Liberazione che aveva espresso Formigoni. E proprio a Brescia si sta consumando un significativo passaggio. Dopo la morte del potente notaio Giuseppe Camadini, nel luglio scorso, il punto di riferimento del mondo cattolico è rimasto Bazoli. Sua figlia Francesca, principessa del foro, potrebbe candidarsi a sindaco, se non opta a favore del marito Gregorio Gitti. Francesca è tra le grandi firme che sostengono Ambrosoli e cercano di portargli un pacchetto di voti che pesa e si conta. Alfredo Bazoli, nipote del banchiere, consigliere del Pd, considera l’operazione Pisapia “un modello” da replicare. Ma convincere la Lombardia bianca a votare per il candidato sostenuto dal Pd e benedetto da Pier Luigi Bersani, non è davvero facile.
Ambrosoli, per quanto ancora tutto da scoprire, avrebbe il profilo giusto per una transizione che agli occhi di molti fa da pendant con quella di Mario Monti al quale, del resto, sta a cuore la sorte del Corriere. Altro che la rude razza padana o il popolo delle partite Iva. Qui siamo al ripristino delle grandi istituzioni, rinnovate, per carità. Un Direttorio riformista se il paragone con la Grande rivoluzione non fosse irriverente. Fatto sta che proprio l’ingresso in via Solferino rivela Ambrosoli urbi et orbi. Una sua vittoria non sarebbe aliena da potenziali conflitti d’interesse. La Sanità dipende dalla regione. E per Rotelli potrebbe essere difficile combinare la necessaria mediazione con il potere pubblico e il ruolo di azionista non passivo in Rcs. Ubbie infondate, probabilmente. Ma quando ci si muove dentro un universo relazionale, più che l’economia politica conta l’antropologia culturale.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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